Primi lustri
di Andrea Favaro

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“προσήκει πάσχειν τω μή ειδότι…
μαθειν παρά του ειδότος”

“c’è una pena per chi non sa…
imparare da colui che sa”

(Platone, Repubblica, 337d)

Ai naviganti capita spesso di riconoscere da lontano alcuni punti di riferimenti utili per proseguire il viaggio, come pure necessari per prendere respiro ad alzare il capo oltre la quotidiana frenesia dell’impegno e torcere lo sguardo al cammino finora compiuto, notando alla stessa stregua le tappe più feconde come quelle più difficili.
Questo momento pare giunto anche per la Rivista che vede compiere i suoi due primi lustri di vita.
Dieci anni di contributi e riflessioni, di ricerca e passione, ma anche, come già affermava Socrate, di umile rossore dinanzi a chi può testimoniare maggiore autorevolezza.

Mi han riferito che in quel dicembre del 2002 l’entusiasmo era palpabile per una avventura che ora può già verificare i primi esiti e intuire le future prospettive. Proprio perchè il presente Numero era inserito in questo clima tra memoria e progetto è parso utile riproporre all’attenzione del Lettore quello che è cronologicamente il contributo primigenio della Rivista vergato dal suo Fondatore (Fondo). Nel recuperarne il testo in una versione graficamente maggiormente godibile si desidera riconoscere il merito di chi ha palesato una feconda intuizione nel ricordo del terzo anniversario della sua morte.
Un ricordo che viene in questo numero valorizzato da alcune note di memoria incastonate in una esperienza di sapere svoltasi con semplici ritratti di vita vissuti da Wolfgang Waldstein.

Un percorso (di una vita, come pure di una Rivista) che riconosce un elemento comune in un Autore ampiamente studiato in questi due lustri, come pure nella teoresi filosofico-giuridica dell’intera età moderna e contemporanea: Thomas Hobbes, qui riproposto nella ben strutturata analisi critica di Gonzalo Letelier Widow.
Se dagli “autori” passiamo ai temi, ampio spazio hanno avuto in tutti questi anni le questioni relative al rapporto tra individuo/persona ed istituzioni, sia lungo l’iter finanche pedagogico della sussidiarietà (che in questo numero viene riproposto da Lucio Franzese), sia attraverso il paradigma mai completamente risolto della “autonomia” di un soggetto membro di una comunità politica, che nei tempi recenti ha avuto riproposizioni stimolanti e provocatoriamente coerenti in autori come James A. Sadowsky.
Le stesse riflessioni del gesuita statunitense, la cui scomparsa recente ha stimolato la richiesta a Carlo Lottieri, che lo ha conosciuto di persona, di redigere una breve nota biografica, permettono di inserire il professore della Fordham University in un non meglio precisato orientamento liberale sensibilmente distinto, se non distante, da quello che Markus Krienke presenta confrontando in termini dialettici le teoresi dell’italiano Rosmini e quelle del tedesco Röpke.
Al lettore l’ardua sentenza su quale tra gli autori riesca con maggior coerenza a tenere desta l’attenzione (e quindi la tutela) sulla autonomia del singolo dinanzi alle responsabilità che a questo sono attribuite dalle libere relazioni inter-soggettive come pure dalle istituzioni. Autonomia e responsabilità che sono sperimentate sin dall’interno di quel che Cicerone qualifica seminarium rei publicae, la famiglia, così come viene riconosciuta nel contesto ordinamentale vigente (Anna Chiara Zanuzzi).
In questi termini, il Numero intende proseguire nello stile suo peculiare sempre teso in questi lustri nel volet coniugare teoria e prassi. Così, è possibile dialetticamente passare dalla riflessione teoretico-fondativa sui modi di imputare la responsabilità (non solo giuridica) di un soggetto (Maria Antonietta Foddai) alla lettura critica di alcuni disposti normativi che si inseriscono proprio nei gangli di quelle relazioni inter-soggettive che prevedono spirito di liberalità, trasmissione di proprietà, lascito di identità (Anna Chiara Zanuzzi – Andrea Rinaldi).
In questi rapporti tra privati, come in quelli c.d. “pubblici”, non è mai scontato rammentare come il pertugio per il riconoscimento della verità permetta un reale equilibrio tra gli interessi come ha già insegnato Domenico Farias sulla scia di Platone. E non potrebbe essere altrimenti, poichè la prassi politico-giuridica, avvalendosi di presupposti che non è mai in grado di giustificare, non può non riconoscere il debitum suo proprio dinanzi a magisteri sempre fecondi, perchè realmente classici (Gabriele Civello).

Lo sforzo di riconoscere, oggi come dieci anni fa, reali punti di riferimento, tali perchè pedissequamente riconosciuti originali, non banali, in sunto “veri”, è l’impegno maggiormente tragico che spetta a chi desidera realmente eleggere la parte migliore di sè e di chi ha la “fortuna” di conoscere.
Buone elezioni… di letture e di sapere.