AUTONOMIA ED ETERONOMIA
APPUNTI PER UN APPROCCIO ANTROPOLOGICO A PARTIRE
DALLA LEZIONE DI TOMMASO D’AQUINO
di Giovanni Grandi
Università degli Studi di Padova
Per chiarire questa posizione occorre mettere a fuoco due questioni rilevanti. La prima riguarda il modo di intendere questo criterio di fondo, che può a sua volta essere detto «legge», ma che non può essere più concepito al modo di una «istruzione»
o di una «pressione». La seconda riguarda il processo di maturazione di questo criterio di fondo: è vero che questo criterio se lo dà la persona regolandosi, ma questo non significa che sia un criterio creato dalla persona.
È sempre un criterio scelto, o più precisamente accolto. Queste precisazioni consentiranno di chiarire ulteriormente il senso dell’«autonomia».
4.1 La questione del criterio: la legge divina
Se si presta attenzione al disegno complessivo della psicologia spirituale proposta da Tommaso si può notare che il discorso sul «nomos», sui principi esteriori, si concentra su quattro forme possibili: la legge eterna, la legge naturale, la legge positiva e la legge divina. Sono rilevanti a questo punto le osservazioni che la Summa propone in merito alla funzione della legge divina, perché consentono di coglierne la diversità rispetto alle altre leggi. Nel denso articolo 4 della quaestio 91 si trovano dunque le sottolineature che seguono.
Anzitutto si tratta di una legge che traguarda il fine ultimo dell’uomo, che Tommaso ribadisce essere la beatitudine. Secondo, è una legge che è d’aiuto proprio per discernere il da farsi nella grande varietà delle situazioni umane, avendo – si badi – come punto di riferimento proprio la tensione alla beatitudine, cioè alla comunione con Dio in cui si realizza la salvezza, e non solamente la tensione alla costruzione di una vita buona, rispetto a cui «non sarebbe necessario che [l’uomo] avesse un orientamento d’ordine razionale superiore alla legge naturale e alla legge umana positiva
che ne consegue» . Queste due prime annotazioni si comprendono solamente se si tiene presente l’intenso lavoro di chiarificazione del rapporto tra beatitudine e felicità che Tommaso porta a frutto proprio nell’impostazione della Prima Secundae della Summa Theologiae, riconoscendo una duplice intenzionalità del desiderio umano. Il cammino dell’uomo, il motus rationalis creaturae della cui dinamica qui si tratta, è animato nelle sue profondità da una tensione verso la salvezza dalla dissoluzione e dalla morte: la persona si indirizza verso ciò che ritiene le potrà dare vita e salvezza, e si adopera per legarsi sempre più risolutamente a questa sorgente. Nella cornice di questa tensione, e tenendo conto di ciò che è stato individuato come il legame salvifico, l’uomo distende ogni proprio gesto ed ogni decisione, gesti e decisioni che hanno evidentemente un impatto nella storia e nel tempo e concorrono anche alla realizzazione della vita buona, di quel ben vivere degli uomini con gli uomini e tra gli uomini di cui si era occupato efficacemente Aristotele (e non solo, ovviamente).
Tommaso suggerisce cioè che la risposta che l’uomo dà alla domanda di salvezza che vede emergere in se stesso incide strutturalmente – anche se in maniera non sempre evidente – sulle scelte più ordinarie. Ma in che modo più precisamente?
L’approccio antropologico permette a questo proposito di chiarire quale sia il nesso che la Summa Theologiae individua tra il piano dell’orientamento esistenziale della persona (rispetto alla quaestio de salutis) e il piano dell’agire nella storia e del discernimento in situazione.
Questo nesso è rappresentato proprio dalla legge divina, che occorre intendere in primo luogo nel suo aspetto per così dire funzionale.
La legge divina – precisa l’art. 4 della quaestio 91 – è tale perché viene da Dio stesso ed è finalizzata a legare a Dio. Se si considera che al posto di «Dio» è in effetti possibile collocare qualunque altra realtà tale da poter essere trattata come se fosse Dio, emerge più agevolmente la dinamica antropologica puntualmente colta da Tommaso. Un esempio consentirà di guadagnare in breve il punto.
Se una persona dovesse attendersi la salvezza, poniamo, dalla ricchezza, non farebbe altro che trattare il denaro ed i beni come il proprio dio. Ora, il dio-denaro darà una legge a quell’uomo, che potrebbe essere la legge del risparmio: questa legge viene dal dio in questione ed è finalizzata a legare l’uomo sempre di più a ciò che appunto ritiene essere la propria ancora di salvezza, il dio-denaro. Formalmente, la legge del risparmio è una legge «divina» quanto alla provenienza ed alla funzione, anche se di fatto è espressione di un idolo che non può salvare. La legge divina ha dunque la funzione di ricondurre l’uomo (attraverso ogni scelta) al dio/Dio a cui si affida: non è una tra le tante pressioni con cui la coscienza si misura, ne è piuttosto il criterio del discernimento; in ogni gesto in cui occorre sciogliere un dilemma, la persona tende a risolvere le situazioni indirizzandosi lungo quei percorsi che in ogni caso le sembreranno rinforzare il proprio legame di fondamento, il legame cioè con il Dio/dio a cui chiede salvezza. La persona legata al denaro di norma risolverà le proprie indecisioni guidata dalla legge (divina) del risparmio, e questo accadrà in modo per lo più inavvertito: «Non è necessario – annota infatti Tommaso – che nell’agire o nel desiderare qualsiasi cosa uno pensi sempre all’ultimo fine: l’influsso della prima intenzione rivolta all’ultimo fine rimane nel desiderio di qualsiasi cosa, anche se attualmente non si pensa quel fine. Come non è necessario che il viandante a ogni passo pensi al termine del viaggio» .
La legge divina – sospendendo la questione del dio/Dio a cui rinvia – assolve precisamente la funzione di criterio remoto, ma non per questo inefficace, di discernimento. Del resto Tommaso stesso prosegue nel sottolineare che «per reprimere, o
comandare efficacemente gli atti interiori, era necessario l’intervento della legge divina» , essendo incapaci le altre leggi di governare l’interiorità.
Anche nella riflessione sulle caratteristiche della «legge nuova» rispetto alla «legge antica» ritornano gli accenti sulla funzione della legge divina di discrimine interiore in relazione alla domanda di salvezza: la legge antica rappresenta uno strumento di governo dell’agire adatto al tempo dell’immaturità , indirizza al piano della ricerca della vita buona nel tempo , è rivolta alla disciplina dei comportamenti e deve la sua forza al timore per le pene ; viceversa la «legge nuova» – quella che nella visione di Tommaso è la legge evangelica della carità che lega efficacemente al Dio vivente – è uno strumento per il governo di sé (e quindi anche dell’agire) nel tempo della maturità , è indirizzata al piano della salvezza eterna , è rivolta al discernimento delle pressioni interiori e trova la sua forza «nell’amore, che viene infuso nei no
stri cuori mediante la grazia di Cristo conferita nella legge nuova» .
La «legge divina» non è dunque un’istruzione tra le altre, ma piuttosto ciò che consente alla persona di giudicare tutto il registro delle pressioni che si presentano nell’interiorità, selezionando tra esse quelle che maggiormente consentono di stringere il legame con ciò che si ritiene sia fonte di vita e di salvezza.
Il giudizio è allora «autonomo» nel senso che è letteralmente appeso ad una legge che la persona si è data scegliendo il dio/Dio a cui legarsi; non è la persona a produrre la legge divina, ma questa viene appunto dal dio/Dio accolto come fondamento di vita.
Tuttavia l’accogliere un dio/Dio quale fondamento dell’esistenza è precisamente l’atto più libero intestabile alla persona umana: per Tommaso l’unica libertà che in nessun caso può essere sottratta all’uomo è quella di scegliere a quale fine ultimo fare riferimento, cioè a cosa o a Chi chiedere salvezza . In questo senso ed a questo livello l’uomo è radicalmente libero di decidere di sé. E d’altra parte rimane che ciò che può costituire il fine ultimo è sempre qualcosa di altro rispetto a cui la persona prende posizione, accogliendo una proposta e rifiutando le altre .
4.2 L’interiorizzazione della legge
È chiaro allora che il punto di messa a fuoco della stessa riflessione morale si sposta su ciò che risulta essere il dio/Dio accolto dalla persona nel misurarsi con la domanda di salvezza. Quali siano i percorsi attraverso cui ciascuno trova la propria risposta a questa domanda è cosa difficile da ricostruire: Tommaso è persuaso che la storia della persona, con tutto ciò che vi si è stratificato in termini di esperienze e di ricomprensione meditata dei vissuti abbia grande importanza . Tuttavia è solo nella
stagione dell’età adulta che la persona può, a suo avviso, iniziare un lavoro serio su se stessa, passando dalla custodia dell’esteriorità (cioè dalla personale e sociale vigilanza sui comportamenti) alla dilatazione dell’interiorità e quindi alla vera e propria maturazione spirituale e di conseguenza morale: è questo, si è visto, il passo che segna la distanza tra l’immaturità e la maturità, tra il bambino e l’adulto che chiede, per così dire, di vedere le carte al proprio dio/Dio. Questo passo dall’animo bambino all’animo adulto non è tuttavia diretto: tra i due c’è la stagione in cui la persona si libera da una morale centrata sulla custodia dell’esteriorità e inizia il tirocinio dell’autonomia del giudizio.
È un tirocinio che porta la persona a contatto con i propri desideri profondi – più spesso nella confusione tra il piano della felicità e quello della salvezza – e la porta a sperimentare i primi legami che promettono di soddisfare quei desideri: la persona sceglie un fondamento e ne trae la relativa legge divina, regolandosi e decidendo di sé di conseguenza.
Nella stagione della vita adulta, ciò da cui l’uomo si attende salvezza gioca dunque già da tempo un ruolo chiave nel discernimento: l’«autonomia del giudizio» è una modalità d’essere ormai consolidata, rispetto a cui non è possibile fare passi indietro (ritornare bambini) ma soltanto passi avanti, iniziando a interrogarsi non tanto sulla legittimità dell’«autonomia di giudizio», quanto piuttosto sulla solidità del dio/Dio nelle cui mani si è riposta la propria fiducia di salvezza.