AUTONOMIA ED ETERONOMIA
APPUNTI PER UN APPROCCIO ANTROPOLOGICO A PARTIRE
DALLA LEZIONE DI TOMMASO D’AQUINO
di Giovanni Grandi
Università degli Studi di Padova
La legge – di cui qui si parla – è dunque uno strumento strutturalmente privo di potere coercitivo, e naturalmente si ricordi che stiamo parlando di pressioni rivolte al volere, non al fare.
La provenienza «esteriore» va ulteriormente compresa riferendosi a ciò che è a sua volta «principio», ma viceversa «interiore»: si tratta degli habitus, delle abitudini più stratificate della persona, che non emergono mai come tali , La legge – di cui qui si parla – è dunque uno strumento strutturalmente privo di potere coercitivo, e naturalmente si ricordi che stiamo parlando di pressioni rivolte al volere, non al fare.
La provenienza «esteriore» va ulteriormente compresa riferendosi a ciò che è a sua volta «principio», ma viceversa «interiore»: si tratta degli habitus, delle abitudini più stratificate della persona, che non emergono mai come tali ,
La lex rappresenta, al pari della tentatio, ciò che provoca l’uomo ad un cambiamento di abitudine, costituendo inoltre una risorsa proprio per conoscere meglio – per contrasto – le disposizioni più profonde da cui emergono le soluzioni operative contrassegnate dalla spontaneità. L’intenzionalità specifica della legge – che per questo viene riferita a Dio – è appunto quella di far progredire l’uomo, consentendogli in primo luogo di conoscere meglio se stesso, le proprie resistenze o cattive abitudini (vizi) così come le proprie risorse da custodire e rinforzare (virtù). Viceversa la tentazione rimane una provocazione ed un invito a cambiare abitudine, ma la sua intenzionalità è di segno opposto (dunque mira a far recedere da una buona abitudine, ovvero da una virtù o a rinforzarsi in un vizio). Tommaso stesso, ritrovando la lezione dei Padri e la loro psicologia espressa nei termini di una demonologia, osserva ulteriormente che funzione conoscitiva della tentazione non è tanto a servizio della persona stessa (può esserlo, ma incidentalmente) quanto dei demoni:
«I demoni conoscono quello che agli uomini accade esteriormente: ma l’intimo stato dell’uomo, per cui alcuni sono più inclini a un vizio che a un altro, lo conosce solo Dio, “ponderatore degli spiriti”. Per questo motivo il diavolo tenta, cercando di esplorare l’intimo stato dell’uomo, per poterlo poi spingere a quel vizio verso cui è più inclinato» .
Al di là di queste specificazioni sulla funzione introspettiva dei principi esteriori, è possibile cogliere un tratto distintivo della prospettiva antropologica di Tommaso, nel cui quadro è pienamente significativo considerare la coscienza come «eterono
ma», cioè come strutturalmente vincolata al misurarsi con provocazioni di intenzionalità costruttiva e liberante (leggi) o distruttiva e schiavizzante (tentazioni) che giungono dall’esterno.
Tutto questo non significa in alcun modo dire che la coscienza sia da considerarsi eterodiretta, perché tanto le leggi e le tentazioni, quanto tutto ciò che viene dalla spontaneità (dunque da dentro) costituisce appunto lo spettro delle pressioni da vagliare quanto alla loro provenienza e intenzionalità profonda, il ventaglio delle ipotesi operative tra cui scegliere quella a cui acconsentire.
L’idea di una struttura dialogale della coscienza non fa altro che tradurre in termini diversi, per certi aspetti più ricchi, la più antica prospettiva della psicologia patristica, secondo cui l’uomo non è libero di scegliere cosa pensare – del resto tutti sperimentano quanto varie e sorprendenti siano le idee che, come si dice, passano per la testa – mentre piuttosto esercita la propria signoria nel decidere a quale prospettiva operativa aderire tra le tante prese in esame. Non essere liberi di scegliere cosa pensare significa peraltro riconoscere che la persona non coincide con tutto ciò che pensa, ma che piuttosto coincide con ciò che sceglie e con le prospettive a cui liberamente aderisce.
3.1 A proposito della legge naturale. Un inciso
L’angolatura proposta da Tommaso consente di comprendere che l’eteronomia, dal punto di vista antropologico, esprime null’altro che l’essere aperti ad un ampio spettro di sollecitazioni. Le stesse «leggi (morali) naturali», per essere intese nel loro significato più ampio, vanno collocate in questo quadro: rappresentano cioè non tanto le regole che l’uomo è tenuto a seguire, quanto piuttosto le sollecitazioni da cui l’uomo di qualsiasi cultura non può sottrarsi, e dinanzi alla cui pressione dovrà nelle diverse situazioni della vita decidersi, acconsentendo o meno al loro richiamo.
Non a caso Tommaso riporta le «leggi naturali» alle «inclinazioni naturali», cioè a ciò che l’uomo avverte come spontaneo:
«L’ordine dei precetti della legge naturale segue l’ordine delle inclinazioni naturali. Infatti prima di tutto troviamo nell’uomo l’inclinazione a quel bene di natura, che ha in comune con tutte le sostanze: cioè in quanto ogni sostanza tende per natura alla conservazione del proprio essere. E in forza di questa inclinazione appartiene alla legge naturale tutto ciò che giova a conservare la vita umana, e ne impedisce la di
struzione. – Secondo, troviamo nell’uomo l’inclinazione verso cose più specifiche, per la natura che ha in comune con gli altri animali.
E da questo lato appartengono alla legge naturale “le cose che la natura ha insegnato a tutti gli animali”, p. es., l’unione del maschio con la femmina, la cura dei piccoli, e altre cose consimili. – Terzo, troviamo nell’uomo un’inclinazione verso il bene che è conforme alla natura della ragione, e che è propriamente umano: l’inclinazione naturale, p. es., a conoscere la verità su Dio, e a vivere in società. E da questo lato appartengono alla legge naturale le cose riguardanti codesta inclinazione: vale a dire la fuga dell’ignoranza, il rispetto di coloro con i quali si deve convivere, e altre cose del genere» .
Conservazione della propria vita, cura dei figli, sviluppo della dimensione sociale, culturale e spirituale: sono tutte inclinazioni con cui l’uomo si misura ordinariamente. Tuttavia non si tratta di leggi in senso giuridico, ma appunto di leggi in senso psicologico-spirituale, ovvero di sollecitazioni con cui misurarsi, tra cui elaborare talvolta una mediazione così condivisibile da potersi tradurre in una legge positiva , o tra cui talaltra operare una scelta radicale, dal momento che in determinate circostanze quelle stesse leggi potrebbero costituire sollecitazioni tra loro antagoniste. Salvare la vita dei propri figli al costo della propria (o viceversa) rappresenta un di
lemma che rende concorrenti due leggi naturali. Tuttavia una cosa è pensare che si tratti di un conflitto di doveri morali (tra due leggi che, in quanto naturali, vadano riconosciute e in quanto morali debbano essere sempre rispettate, sic et simpliciter), altra è pensare che si tratti di un conflitto di possibilità operative, all’interno del quale la persona è provocata – qui drammaticamente – a decidere di sé, decidendo a quale pressione acconsentire. In altre parole, il decidere chiama sempre in causa, e proprio nelle soluzioni concrete, ciò che l’uomo vuole per sé e per gli altri, e ogni legge non può che misurarsi con questo volere profondo: la legge naturale rimane – sempre stando al quadro generale proposto da Tommaso – un’istruzione [Deus nos instruit per legem] che concorre al discernimento come elemento di pressione, non come regola da osservare in maniera necessaria.
Questo approccio tommasiano al tema della legge e dell’eteronomia risponde in effetti all’idea richiamata in apertura, e cioè che l’eteronomia non sia mai un problema per l’esercizio della libertà, ma ne sia al contrario la condizione di possibilità.
Giungendo dall’esterno, la legge non ha alcun potere coercitivo rispetto alla coscienza ed al volere, e questo semplicemente perché costituisce una tra le pressioni – una delle «voci» – tra cui in ogni caso occorre in coscienza scegliere. L’eteronomia non si oppone dunque alla libertà. Ma, più oltre ancora, se la persona non sperimentasse un dissidio tra diverse prospettive a cui poter aderire, se la persona non si trovasse ingaggiata in quella che già Platone inquadrava come una «lotta interiore» , non ci sarebbe spazio alcuno per la scelta morale, che è il luogo proprio della libertà.
Il vero problema diventa evidentemente il criterio con cui la persona sceglierà di acconsentire all’una o all’altra pressione che avverte nella vita della coscienza: ecco dunque la questione della strutturale libertà del decidersi (autonomia del giudizio), che ora va messa a fuoco.
4. La strutturale libertà del decidersi (autonomia del giudizio).
L’affermazione per cui l’uomo è strutturalmente libero di decidersi va a sua volta precisata. Si potrebbe dire semplicemente libero di «decidere», tuttavia specificare la libertà nel senso del «decidersi», cioè del «decidere di sé», consente di ricordare che le scelte si iscrivono sempre, ad avviso di Tommaso, in un tracciato più ampio, in una logica complessiva che rinvia a ciò che la persona intende fare di se stessa: è un quadro di cui occorre tener conto proprio per mettere a fuoco lo snodo della libertà della coscienza e dell’autonomia del giudizio.
L’autonomia del giudizio può dunque a sua volta intesa secondo una prospettiva antropologica. L’uomo sceglie a quale pensiero o prospettiva acconsentire (tra quelli da cui è sollecitato) in base ad una legge che ha dato a se stesso: a rigore, nel giudizio, cioè nel decidere a cosa aderire, la persona è «autonoma», cioè appunto si regola in base ad un criterio di fondo che – sempre secondo la lezione tommasiana – ne orienta l’agire complessivo.