RONALD COASE E L’ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO.
OSSERVAZIONI CRITICHE
di Carlo Lottieri
Università degli Studi di Siena
In tal modo, il testo del 1960 esprime una critica radicale nei riguardi della welfare economics pigouviana, la quale introduce tasse e norme orientate a limitare (o perfino impedire, e comunque a modificare) determinati comportamenti: e questo al fine di massimizzare il benessere complessivo. Contra Pigou, il teorema di Coase afferma come le imposte e la regolamentazione siano sub-efficienti rispetto alle soluzioni emergenti grazie a intese, contratti, liberi accordi.
Se ad esempio abbiamo un agricoltore e una ferrovia e le due attività entrano in conflitto (ad esempio perché le locomotive producono scintille che talora incendiano il raccolto), invece che imporre dall’alto come i due attori debbano organizzare i loro rapporti è bene lasciare la più ampia facoltà di negoziazione. In particolare, tutti i conflitti legati all’inquinamento (esternalità) possono essere affrontati non già con tasse pigouviane o apparati legislativi e burocratici di proibizioni e permessi, ma invece grazie ad intese volontarie volte a massimizzare il benessere.
2. I limiti della welfare economics e la negoziazione coasiana
Nella logica della welfare economics di Pigou l’asimmetria tra costi e benefici doveva essere superata attraverso meccanismi di proibizione e/o autorizzazione, ma soprattutto grazie all’imposizione di tasse volte a compensare il danno sociale. L’analisi pone l’accento su iniziative caratterizzate da benefici privati e danni collettivi. Quando abbiamo un’industria che per poter produrre un dato bene è costretta ad inquinare, i benefici sono tutti per gli azionisti e i costi – nella forma di danni all’ambiente – sono fatti pesare sulla popolazione. L’introduzione di una tassa scoraggia attività non rispettose dell’ambiente e obbliga gli inquinatori a compensare la collettività per il danno causato, eguagliando il beneficio marginale della produzione al costo marginale dell’inquinamento e massimizzando, così, il benessere sociale netto. Il principio di fondo, del tutto illiberale, è che l’inquinamento è lecito non già in ragione della sua accettazione da parte delle vittime – che non ono, per Pigou, individui ma collettività – bensì fino al punto in cui il valore dell’unità marginale prodotta non eccede il valore del danno causato.
La riflessione di Coase muove da qui: egli focalizza l’attenzione sulle esternalità e quindi sulla divergenza tra il prodotto privato (a favore di alcuni) e il prodotto sociale (che vede altri subire una perdita secca), ma offre una soluzione del tutto alternativa a quella pigouviana. D’altra parte i limiti dell’impostazione tradizionale, a cui ancora si fa spesso ricorso all’interno dei nostri ordinamenti legislativi, sono numerosi.
L’idea di imporre una tassa equivalente per ogni esternalità implica in primo luogo la possibilità di misurare il danno: cosa, ovviamente, che non è possibile fare in termini rigorosi a causa della soggettività radicale del valore. Nella realtà effettiva dei concreti ordinamenti giuridici, poi, la determinazione di ciò che un’impresa è tenuta a pagare in caso di “costo sociale” è il risultato di un complesso gioco di pressioni e influenze in virtù del quale i gruppi politicamente più forti ottengono benefici a scapito dei gruppi politicamente più deboli.
In secondo luogo, un grave limite teorico dell’approccio pigouviano sta nel fatto anche quando si chiamasse – ad esempio – una determinata società aeroportuale a versare una somma rilevante nelle casse dello Stato (sotto forma di imposta “compensativa”) per il danno procurato dal rumore degli aeromobili che utilizzano quella infrastruttura, ancora si sarebbe molto lontani dall’aver posto rimedio all’aggressione subita da coloro che, abitando o possedendo una casa nei pressi dell’aeroporto, hanno patito un grave peggioramento della loro qualità della vita e hanno visto una netta riduzione del valore dei loro immobili.
Lo schema della tassazione pigouviana colpisce gli inquinatori, ma lo fa secondo logiche discutibili e con il risultato che infine consegna tali risorse non già alle vittime dell’azione inquinante, ma al ceto politico-burocratico. La nozione stessa di costo sociale, d’altra parte, appare ambigua, dato che nella realtà dei fatti abbiamo sempre un qualche individuo (chi produce esternalità negative) che danneggia qualche altro soggetto (chi subisce l’azione invasiva).
Anche quando non si ricorre alla tassazione, ma invece alla proibizione, non necessariamente si adotta la soluzione migliore, dato che quella che viene vietata o limitata potrebbe essere un’iniziativa in grado di produrre benefici altissimi, tali da poter compensare ampiamente gli aspetti negativi.
Secondo Coase, la welfare economics ha il proprio limite fondamentale nel fatto che di fronte ad ogni ipotesi di permettere o proibire un’attività «è necessario pesare il danno con il beneficio che ne risulta. Niente potrebbe essere più “antisociale” che contrastare ogni azione che causa un qualche danno a chicchesia».
[16] Allo studioso inglese le soluzioni pigouviane appaiono inefficienti e l’alternativa ai meccanismi amministrativi (tasse e regolamentazione) è da rinvenire nella negoziazione tra chi danneggia e chi è danneggiato. Da utilitarista qual è, Coase è sostanzialmente interessato ad offrire esiti che siano complessivamente più vantaggiosi e la sua contestazione verso Pigou si basa sull’idea che in assenza di negoziazioni si può impedire l’emergere di aggiustamenti socialmente maggiormente efficienti.
Egli non ha preoccupazioni propriamente giuridiche (né una qualche attenzione alle vittime), ma invece pretende di ricondurre l’intera questione giuridica delle esternalità entro un quadro esclusivamente economico, nella persuasione che senza trattative tra quanti sono attivamente o passivamente interessati dalle esternalità si possa giungere a esiti sub-ottimali.
Punto di partenza dell’analisi è quindi l’assegnazione (o il riconoscimento) di titoli di proprietà, quale premessa per un’autonoma negoziazione. Lo studioso inglese fa vari esempi e uno di essi riguarda due vicini, uno dei quali è pasticcere e l’altro medico. Per poter lavorare, il primo deve usare macchinari rumorosi che inibiscono l’attività del dottore. Poiché si assume che la produttività del medico sia 300 e quella del pasticcere soltanto 100, la tesi di Coase è che evitando una regolamentazione calata dall’alto e lasciando invece interagire i soggetti si arriverà alla conclusione che sarà il medico a lavorare: quale che sia l’assegnazione dei titoli di proprietà. Se infatti il giudice considera illegittima l’attività rumorosa e quindi dà ragione al medico, questi lavorerà e il pasticcere dovrà fermare le proprie macchine; ma anche nel caso opposto il medico troverà vantaggioso offrire una somma compresa tra 100 e 300 al pasticcere al fine che fermi la propria attività e gli permetta di fare profitti con le visite dei propri pazienti.
Più che la tassazione o la regolamentazione, ciò che quindi produce efficienza è la definizione dei titoli di proprietà e, di seguito, la libera contrattazione tra le parti. Questo parrebbe portare un contributo a quanti difendono le ragioni della società di mercato (e in parte lo è), ma si tratta in qualche modo di un “dono avvelenato”, dal momento che l’aver focalizzato l’attenzione sull’efficienza apre la strada – sia in Coase che in quanti ne seguono le orme – ad esiti interventisti e illiberali.
Va aggiunto che nella prospettiva dell’utilitarismo di Coase, l’azione del pasticcere che utilizza macchine rumorose certamente danneggia il medico, ma è vero anche l’opposto. Quando il secondo pretende di fermare l’attività del pasticcere, egli sta egualmente aggredendo la controparte. Contro ogni tradizione giuridica e contro il principio che chiede il rispetto dei legittimi titoli di proprietà, Coase ritiene esista una qualche reciprocità tra la pretesa del medico e quella del pasticcere. La sua tesi è che è «necessario sapere se l’attività produttiva che arreca il danno ne porta o no la responsabilità, perché senza un’iniziale delimitazione dei diritti non ci può essere alcuna transazione che li trasferisca o li ricombini. Ma, se si assume che il sistema dei prezzi funziona a costo nullo, il risultato ultimo (che massimizza il valore della produzione) è indipendente dalla situazione giuridica originaria». [17] È quindi anche del tutto indipendente dal fatto che il giudice o il legislatore abbiano rispettato, oppure no, i diritti di proprietà.
Non a caso per l’economista è fondamentale non già riconoscere secondo giustizia quali sono i legittimi titolari di questa o quella facoltà (chiedendosi, ad esempio, se il pasticcere può invadere con i propri rumori l’abitazione del vicino) poiché l’unica cosa da farsi è semplicemente assegnare tali titoli: in modo tale da innescare logiche economicamente razionali. Ma tutto ciò non ha nulla a che fare con il diritto in senso proprio e, meno che mai, con la tradizione liberale.
Al riguardo è significativo il caso Bryant v. Lefever, che Coase egualmente introduce nella sua analisi. In tale vertenza si hanno due case adiacenti e in una vi è un proprietario che ristruttura il proprio camino alzando un muro e predisponendo anche una catasta di legna. Queste modifiche, però, hanno l’effetto di diffondere il fumo nell’altra abitazione ogni qualvolta il secondo proprietario utilizza il focolare.