LE RAGIONI TEORICHE DEL GIUSTO PROCESSO
di Alberto Berardi [1]
Università degli Studi di Padova

Non ritengo, sommessamente, che tale critica vada a bersaglio, essendo a ben vedere edificata su di una duplice falsa rappresentazione della realtà: in particolare quella che colpisce la malintesa realtà della giurisdizione, il cui valore culturale dovrebbe affermarsi con l’identità d’ordine giudiziario, movendo, a monte, da una malintesa comprensione della verità, sulla quale la giurisdizione si edifica. Darò lettura, a tal proposito, di un passaggio essenziale di una decisione della Corte Costituzionale: “nel concetto di ‘giurisdizione’ – quale contemplato nell’art. 102 (…) – deve intendersi compresa non solo l’attività decisoria, che è peculiare e propria del giudice, ma anche l’attività di esercizio dell’azione penale, che con la prima si coordina in un rapporto di compenetrazione organica a fine di giustizia e che l’art. 112 della Costituzione, appunto, attribuisce al pubblico ministero. (…) Nell’esplicazione di tale potestà d’iniziativa, evidentemente, rientrano tutte le attività di natura istruttoria che il p.m. svolge, perché necessarie alla acquisizione di elementi utili per porsi in grado di esercitare l’azione penale. Tali attività (…) costituiscono esercizio di giurisdizione (in senso lato) da parte di un organo che è, comunque, un magistrato (…)” .
[19] Orbene, questa, a mio sommesso giudizio, è una declinazione, ancorché fors’anche esteticamente tollerabile, di un’idea di giurisdizione, come fungibile rispetto a quella di una giurisdizione, che si esaurisce nella mera estrinsecazione operativa del potere. In tutto e per tutto distante da quella “esigenza di garantire lo svolgimento di un processo giusto – esigenza suprema che (…) assurge a compito fondamentale di una giurisdizione che non intenda abdicare alla primaria funzione di dicere ius” ; [20] ma tale declinazione dell’idea di giurisdizione, quale esclusivo svolgersi della pretesa punitiva e repressiva, a tutela dei diritti dello Stato, segna il tracciato della giustizia penale autoritaria, che non è giustizia .[21]
Nella logica della volontà di edificazione di una forma ordinamentale pensata come servente ad un’idea siffatta di esercizio della giurisdizione, non v’è dubbio che la riconduzione unitaria ad essa, di tutti e ciascuno dei protagonisti processuali, appare come vieppiù strategicamente utile, per il servizio alla causa della verità del potere; ma a ben vedere, in questa prospettiva – un tanto per procedere nella rassegna dei connotati essenziali al modello teorico del giusto processo – non assume alcun significato, se non quello dell’intralcio e del fastidio, l’interposizione della difesa tecnica privata nel processo; perché, allora, non garantire la miglior cultura di una giurisdizione così intesa, “pubblicizzando” altresì, in un’unica e onnipresente avvocatura dello Stato, la funzione difensiva, facendo convergere anch’essa al perseguimento dell’obiettivo operativo della realizzazione obiettiva del diritto dello Stato?
Quella appena rassegnata può apparire una provocazione retorica di bassa lega, ma garantisco che non lo è affatto, quantomeno nella piena, informata buona fede di chi ve l’ha appena proposta; se si ritiene maggiormente funzionale alla realizzazione della giurisdizione l’identità d’ordine tra chi accusa e chi giudica, non comprendo e non riesco a comprendere la ragione logica per la quale, da tale ordine debba essere escluso, nel nome della realizzazione della medesima giurisdizione, chi difende.
E a tal proposito, avviandomi a concludere, ritorno all’accennato tema della verità, posto che – ritengo si possa convenire sul tale asserto – la giurisdizione penale si realizza sull’accertamento della verità di un accadimento umano e della sua realizzazione colpevole.
È proprio l’idea – scorretta – che la verità acquisita per effetto dell’attività conoscitiva di soggetti appartenenti al medesimo ordine ed ispirati dalla medesima sete – e torna il tema dell’altrimenti totale inutilità dannosa della difesa privata –, sia qualitativamente migliore rispetto alla verità conoscibile da parte di un soggetto terzo ed indifferente, a partire dall’apprezzamento della contrapposizione dialettica e paritaria di fonti di conoscenza promananti da soggetti che offrono invece la loro spiegazione di ragioni fisiologicamente contrapposte, radicalmente contrapposte, che fonda la spiegata indifferenza teoretica, per il radicamento della giustizia di ciascun accertamento giursidizionale, ad un modello non meramente convenzionalistico, bensì dalle solide radici teoriche, di giusto processo.
Infatti, per far mia una terminologia cara agli economisti, l’acquisizione conoscitiva del processo non è quella di un meccanismo decisionale semplice, bensì di un meccanismo d’interazione strategica, nel quale è proprio l’alterità d’obiettivo in contrapposizione dialettica, il contrario dell’unicità convergente d’obiettivo conoscitivo tra soggetti appartenenti ad un’unica giurisdizione, il meccanismo più efficiente alla tensione nella direzione della verità.
E in questo meccanismo d’interazione strategica – a mio sommesso giudizio – è bene, prim’ancora che necessario o che il portato di un’opzione ispirata ad asettico convenzionalismo normativo, che nel processo il Giudice sia strutturalmente e funzionalmente quanto di più distante si possa immaginare – terzietà e imparzialità invoca il 2° comma dell’art. 111 Cost. – dalla specificità delle rappresentazioni soggettive di parte; è bene che del processo sia garantito il tempo della durata ragionevole; è bene che, nel processo, l’umana debolezza dei suoi protagonisti sia protetta dalla difesa tecnica privata , [22] e sia comunque considerata nell’alveo di un’antropologia ottimistica, che riconosca, alla luce della presunzione d’innocenza, la tensione spontanea di ogni individuo alla normalità della relazione intersoggettiva pacifica.
Solo in tal modo, nel processo, potrà compiersi il prodigio della conversione del conflitto.

 

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1 Testo della relazione pronunziata in occasione del Convegno del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Rovigo, “Il ricorso alla Corte di Strasburgo. Quarto grado di giudizio?”, in Rovigo, Cen. Ser., Sala “G. Rigolin”, il 9 luglio 2010.
2 V. MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano, I, Torino, 1956, 77-78.
3 V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, I, Torino, 1908, 52; sul tema permettomi rinviare a A. BERARDI, Vincenzo Manzini. Del metodo giuridico, Napoli, 2003, 72-74.
4 F. GENTILE, Ordinamento giuridico. Tra virtualità e realtà, 3a ed., Padova, 2005, 51.
5 F. GENTILE, Filosofia del diritto. Le lezioni del quarantesimo anno raccolte dagli allievi, Padova, 2006, 224.
6 Sul tema permettomi rinviare a A. BERARDI, Relazione introduttiva, in A. BERARDI (a cura di), Il processo e la conversione del conflitto. Relazioni ed interventi dell’incontro di studi, nel trentesimo anniversario dell’omicidio di Fulvio Croce, Padova, 2009, 12-13.
7 E tutto ciò senza prestare troppa attenzione, almeno in questa sede, al sofisma lessicale che discrimina la nozione tecnica del processo giusto, rispetto a quello equo.
8 Si tratta, peraltro, di una parte “soltanto in senso relativo, perché, tra l’altro, può rinunciare alla tutela dei proprî interessi senza per questo, come invece avverrebbe nel giudizio civile, cessare di essere giudicabile o venire necessariamente condannato” (V. MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano, II, Torino, 1956, 3).
9 V. MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano, II, cit., 2 – 3.
10 V. MANZINI, Manuale di procedura penale italiana, Torino, 1912, 166, 297, 299.
11 V. MANZINI, Manuale di procedura penale italiana, cit., 14; sul tema permettomi nuovamente rinviare a A. BERARDI, Vincenzo Manzini, cit., 101.
12 Trattavasi di un’udienza dibattimentale della fine del mese di giugno 2004, di un processo penale a càrico dell’On. Silvio Berlusconi, il Presidente del Consiglio dei Ministri, per un’ipòtesi di concorso nel delitto di corruzione in atti giudiziari; durante l’audizione, quale dichiarante introdotto dalla difesa dell’imputato, dell’On. Cesare Previti, già giudicato e condannato in primo grado per il medesimo capo d’imputazione ad una rilevante pena detentiva, costui, nel rispondere ad una domanda formulatagli dal difensore di Silvio Berlusconi, si lasciò andare, per così dire, a dei pesanti apprezzamenti su di un testimone “chiave” del pubblico ministero e di tutta l’impostazione accusatoria, tale Stefania Ariosto, accusandola, obliquamente e nondimeno insidiosamente, di aver deposto ad “orologeria” e su suggerimento – e fors’anche dietro compenso – dell’Autorità inquirente. A fronte di tale accusa molto pesante per il Pubblico Ministero, il Presidente del Tribunale, che stava conducendo il dibattimento, t uttavia non ritenne di dover stigmatizzare. Di talché il Pubblico Ministero, si destò dal suo scranno, interruppe – non autorizzata – l’esame del testimone, che stava conducendo il difensore, e rivolta al Collegio giudicante testualmente affermò: “Se lei Presidente consente questo, io che qui [cioè qui nell’Aula di giustizia, n.d.r.] rappresento lo Stato devo intervenire …”. La replica del Presidente del Collegio fu immediata e risoluta, e, seppur non direttamente, rivendicativa del fatto che, se vi era un rappresentante del Sovrano all’interno di quell’Aula d’udienza, costui non poteva certo essere il P.M., ma era lui – “… e io qui chi rappresenterei? … –. Il tono elevato, della voce del Presidente del Collegio fece tornare l’ordine ed il silenzio in aula, ed il dibattimento riprese il suo corso.
13 Sul tema in esame, G. ILLUMINATI, La presunzione d’innocenza dell’imputato, Bologna 1979; in particolare sull’ottimismo antropologico liberale retrostante il criterio della presunzione d’innocenza, L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Roma – Bari 1990, 642; M. CHIAVARIO, Presunzione d’innocenza e diritto di difesa nel pensiero di F. Carrara, in RIDPP, 1991, XXXIV, 358; B. MONTANARI, Razionalità e legislazione penale, in M. BASCIU (a cura di), Diritto penale, controllo di razionalità e garanzie del cittadino, Atti del XX Congresso Nazionale della Società di Filosofia Giuridica e Politica, Padova 1998, 77-78.
14 “Le presunzioni (…) sono mezzi di prova indiretta, per cui si perviene a un dato convincimento, assoluto o relativo, in base alla comune esperienza. Ora si vorrà ammettere che l’esperienza storica collettiva insegna che la massima parte degli imputati è innocente?” (V. MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano, I, cit., 198 – 200); come spiegato da Giulio Illuminati (G. ILLUMINATI, La presunzione d’innocenza dell’imputato, cit., 18), l’argomento è erroneo, poiché pretende di valutare la presunzione di innocenza “nel suo significato tecnico di «mezzo di prova indiretto» (…) spostando su di un piano meramente fenomenologico (…) un principio generale da sempre inteso come criterio informatore, a carattere essenzialmente politico”.
15 V. MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano, I, cit., 198 – 200.
16 Il riferimento è a Gilberto Lozzi, siccome citato da F. GIUNCHEDI, Linee evolutive del giusto processo europeo, in A. GAITO, Procedura penale e garanzie europee, Torino, 2006, 20.
17 A. BERARDI, Relazione introduttiva, cit., 13.
18 O. DOMINIONI, Giudice e Pubblico Ministero: le ragioni della «separazione delle carriere», in E. DOLCINI – C.E. PALIERO (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, III, Milano, 2006, 2761.
19 Corte Cost., 29.04.1975, n. 96, in www.cortecostituzionale.it.
20 Corte Cost., 04.05.1984, n. 398, in GI, 1985, 1, I, 408.
21 O. DOMINIONI, Giudice e Pubblico Ministero: le ragioni della «separazione delle carriere», cit., 2760.
22 “(…) a chi adisce la via del processo è tassativamente garantita l’assistenza di un giurista di professione. Un paràkletos diremmo in greco, che significa insieme il chiamato in aiuto, l’advocatus latino, ma anche l’intercessore e il consolatore. Tutto questo non dovrebbe essere dimenticato da chi è chiamato ad esercitare la funzione di accusatore o di difensore nel caso concreto del processo” (F. GENTILE, Il processo e la conversione del conflitto, in A. BERARDI (a cura di), Il processo e la conversione del conflitto, cit., 103).

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