Appunti sul concetto di “pretesa” in Bruno Leoni
di Andrea Favaro

[36] Come peraltro è stato subito messo in rilievo quando il Nostro espose la Sua teoria generale del diritto al V Congresso nazionale di Filosofia del diritto (cfr. B. LEONI, Il problema della giustizia, in R. ORECCHIA (a cura di), Il problema della giustizia – Diritto ed economia – Diritto e politica – Diritto e logica, Giuffrè, Milano 1961, pp. 99 s.) dove più di qualche dubbio veniva manifestato, ad esempio da de La Fuente: «Sorge a questo punto spontanea la domanda sul grado di regolarità necessario per costituire una base sufficiente per la pretesa giuridica. Poiché, evidentemente, si tratta di concetti elastici che ammettono un più e un meno. E si osservi che qui non si indaga sui mezzi statistici disponibili per accertare una determinata frequenza, ma sulla frequenza stessa. Anche se vogliamo accontentarci di questa imprecisione nel fondamento stesso della teoria, questa si rivela completamente in contrasto con il carattere pratico del diritto. In base a quale criterio posso giudicare se un determinato comportamento è normale o meno, per fondare su di esso la mia pretesa? In base a quale tipo di frequenza si può decidere sul diritto di un determinato soggetto?» (J.M. de LA FUENTE, Il diritto come pretesa, cit., p. 442).

[37] B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 186 (corsivo nostro).

[38] Cfr. B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., pp. 186-195.

[39] Il Leoni è chiaro nell’esposizione della sua teoria del diritto come pretesa fino alla fine. Innanzi tutto egli chiarisce bene il rapporto per lui sussistente tra “pretesa” e “previsione”: «Ciò che caratterizza la pretesa rispetto alla previsione è che: 1. ciò che ci si attende è in vista di un proprio interesse; 2. ciò che ci si attende è ottenibile, in estrema ipotesi, mediante qualche specie di nostro intervento» (B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 186).

[40] L’ interesse è il quarto elemento costitutivo della “pretesa”: «l’interesse può essere di qualsiasi ordine: di ordine economico, morale, tecnico. Non ha importanza la particolare motivazione dell’interesse; ciò che importa è che la persona che pretende ritiene utile a se stessa che il comportamento preteso si verifichi» (B LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 194 – corsivo nostro). Ancor più deciso il sunto che espone il Leoni: «L’interesse è l’oggetto di un certo giudizio che l’individuo dà circa l’utilità che procura un certo comportamento altrui, utilità che egli ritiene sufficiente per avanzare la pretesa e quindi per intervenire» (B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 195, dove si nota bene come l’unico criterio assiologico, sia l’utile). Per una critica (precoce) all’impostazione teoretica leoniana, circa il concetto di diritto come “pretesa”, tutta versata sul fatto che questa avrebbe pochi tratti distintivi rispetto alla concezione del diritto come “interesse”, vedasi J.M. de LA FUENTE, Il diritto come pretesa, cit., pp. 439-440.

[41] Il giudizio di probabilità è per Leoni il primo elemento costitutivo del concetto “complesso” (distinto da quello “giuridico”) di pretesa. Memore delle ricerche di Pascal e Bernoulli, il giusfilosofo innanzi tutto esclude dal campo della pretesa, sia i fatti impossibili sia quelli necessari, per evidenziare quindi che «il “probabile” è una sottospecie del “possibile”» (B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 189). Il concetto di probabilità, poi, viene bene specificato: «è il campo del “probabile” degli eventi, il campo dei comportamenti “probabili” che individua più propriamente l’oggetto delle pretese. Non solo le pretese si rivolgono alla possibilità di verificarsi di certi eventi, ma si rivolgono ad azioni probabili, che hanno, cioè, più probabilità di verificarsi che non probabilità di non verificarsi. Ciò, naturalmente, va riferito al giudizio di chi pretende. Chi pretende giudica probabile il comportamento» (ID., Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 190).

[42] L’intervento è per Leoni il secondo elemento costitutivo della “pretesa”, perché «il comportamento oggetto di pretesa va considerato non soltanto come probabile, ma anche come determinabile con qualche specie di intervento da parte di chi lo pretende» e il Leoni prosegue con una affermazione davvero forte: «L’intervento di chi pretende è concepibile in vario modo, e la gamma di “interventi” è praticamente infinita: dal consiglio all’esortazione, dal rimprovero alla minaccia, fino al trattamento diretto di coazione» (B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 192 – corsivo nostro). Una “gamma infinita di interventi”, tornando all’esempio concreto proposto, comprende senza dubbio tutti quelli che vorrà porre in essere il bandito di turno pur di soddisfare il suo interesse, il suo utile.

[43] B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 193.

[44] Il potere di intervento è il terzo elemento che costituisce la “pretesa” leoniana e il giusfilosofo non potrebbe essere più esplicito: «il potere è la possibilità di ottenere un certo comportamento da qualcuno, di far coincidere il comportamento altrui coi nostri desideri» (B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 194).

[45] B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 194.

[46] Vedansi A. DE GENNARO, Crocianesimo e cultura giuridica, Giuffrè, Milano 1974, p. 325; nonché, B. LEONI, Per una teoria dell’irrazionale del diritto, “Memorie dell’Istituto giuridico della Regia Università di Torino”, LI, Giappichelli, Torino (s.d., ma in verità 1942), p. 112.

[47] A mero titolo esemplificativo, di seguito evidenziamo come il Nostro, nelle Sue opere giovanili, avesse ben definito i limiti e i rischi di una similare impostazione. Difatti, rettamente, il Leoni avvertiva che le critiche di Cammarata al positivismo sociologico e al formalismo neokantiano appaiono «del tutto appropriata, e tali da consentire un reale progresso nella soluzione del problema» della scienza giuridica. Se il positivismo sociologico si ferma al contenuto, mentre il formalismo neokantiano si arresta alla forma, l’aver messo in evidenza la necessità di una reale sintesi dei due momenti è particolarmente importante e lo è soprattutto in relazione alla possibilità che il neokantismo italiano nella versione di Cammarata additava e cioè di poter recuperare la sintesi al di fuori di ogni concezione imperativistica della norma, come avveniva in Germania ad opera del Binder, fautore dello hegelismo, il quale pure, al pari di Cammarata (vedasi J. BINDER, La fondazione della filosofia del diritto, tr. it., Einaudi, Torino 1945,), aveva messo in evidenza l’empirismo del formalismo neokantiano e aveva proposto «una soluzione del problema della scienza, anche qui impostato nella forma del come, partendo decisamente dalla tesi tipica anche dell’idealismo italiano dell’identità scienza oggetto» (B. LEONI, Per una teoria dell’irrazionale del diritto, cit., p. 111).

[48] Per un breve sunto, è utile ricordare che Leoni distingue quattro elementi per la definizione stessa di pretesa: la probabilità delle condotte pretese; l’intervento di colui che pretende; il potere; l’interesse. In tal senso il Nostro fa leva su un concetto “complesso” di pretesa che molto si allontana da quello di cui tratta la teoria analitica delle situazioni soggettive, da Hohfeld in avanti (cfr., inter alios, W. HOHFELD, Contribution to the Science of Law [1919-1923], tr. it., Concetti giuridici fondamentali, Einaudi, Torino 1969, in particolar modo pp. 19-20; A. ROSS, On Law and Justice [1958], tr. it., Diritto e giustizia, Einaudi, Torino 1965, pp. 149-159). Per questi, difatti, il concetto di “pretesa” raffigura una situazione soggettiva correlativa all’obbligo: alla pretesa di un individuo corrisponde biunivocamente l’obbligo di un altro individuo, mentre nella teoresi leoniana ad ogni pretesa corrisponde una pretesa uguale e contraria.

[49] B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 196.

[50] B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 190.

[51] Alla stregua e per motivi simili per i quali Hayek accusò di illiberalismo Kelsen, al quale l’economista contestava, difatti, che in base alla sua definizione formale di Stato di diritto, anche uno Stato totalitario sarebbe uno Stato di diritto (vedasi F.A. von HAYEK, The constitution of Liberty [1960], tr. it., La società libera, Seam, Milano 1998, pp. 109-110.

[52] Cfr. H. KELSEN, Reine Rechtslehre [1934], tr.it., Einaudi, Torino 1952. Sul tema vedansi U. PAGALLO, Alle fonti del diritto, cit., pp. 28-34, nonché pp. 62-69; vedasi pure M. CASERTA, La forma e l’identità: democrazia e costituzione in Hans Kelsen e Carl Schmitt, cit.

[53] Una risposta a tale quesito è quella proposta anche di recente da Francesco Gentile, per il quale la «qualificazione giuridica, pertanto, è dell’obbedienza, prima e più che dell’imperativo» (F. GENTILE, Filosofia del diritto, cit., p. 95). Il presupposto, in questo senso, e che tale qualificazione deve essere posta in virtù dell’esistenza della Grundnorm, che presuppone un senso del dovere intrinseco in ogni essere umano.

[54] H. KELSEN, Reine Rechtslehre, cit., p. 34.

[55] N. BOBBIO, La consuetudine come fatto normativo, Cedam, Padova 1942, p. 63.

[56] Tale prospettiva critica si può rinvenire già in N. BOBBIO, Kelsen e il problema del potere, cit., p. 568.

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