Appunti sul concetto di “pretesa” in Bruno Leoni
di Andrea Favaro

[13] Un esempio paradigmatico è fornito dall’articolo pubblicato il 4 luglio 1950 su “Il Sole 24 Ore” in cui la critica della legislazione è pienamente espressa, appunto, in riferimento ad alcuni scandali precisi che già allora investivano la classe dirigente italiana. Il giusfilosofo così si esprimeva: «si lamenta che il parlamento legifera poco e male. Ma come volete che legiferi molto e bene, se pretende di legiferare su ogni cosa, e soprattutto sulle cose di cui nessuno dei parlamentari può capir nulla, perché tendono alla sfera delle conoscenze, della volontà e delle capacità dei privati cittadini? È abbastanza chiaro che, a furia di volerci “rappresentare” su tutto, la “rappresentanza” perde ogni significato, e i nostri cosiddetti rappresentanti non rappresentano altro che la propria confusa, curiosa, incerta, contraddittoria e ignorantissima opinione in una quantità di cose che, per definizione, non possono conoscere» (B. LEONI, Una lezione non ancora imparata, ne “Il Sole 24 ore”, 4 luglio 1950).

[14] B. LEONI, Lezioni di filosofia del diritto, cit., p. 210.

[15] Vedasi, per una disamina di tale limite in riferimento anche alla disamina leoniana, M. BARBERIS, Diritto e legislazione. Rileggendo Leoni, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1996, p. 231.

[16] B. LEONI, Lezioni di filosofia del diritto, cit., p. 213.

[17] Non potendo qui affrontare adeguatamente una debita disamina circa le posizioni del Kelsen sul tema dell’ordinamento giuridico, ci si permette di rinviare alle posizioni critiche di G. TARELLO, Il diritto come ordinamento, in R. ORECCHIA (a cura di), Il diritto come ordinamento – Informazione e verità nello Stato contemporaneo. «Atti del X Congresso nazionale della Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica», Milano 1976, pp. 49-80, nonché di F. GENTILE, Ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, III ed., Cedam, Padova 2005. Il forte influsso kelseniano sul tema dell’ordinamento è testimoniata dall’essere ancora richiamato da chi intenda approcciarsi all’argomento, come riscontrabile, ad exemplum, nelle enciclopedie giuridiche; vedansi V. FROSINI, Ordinamento giuridico (Filosofia del diritto), in «Enciclopedia del Diritto», XXX, Milano 1980, pp. 639-654; M. BRUTTI, Ordinamento giuridico (Profili storici) in «Enciclopedia del Diritto», XXX, Milano 1980, pp. 654-678; F. MODUGNO, Ordinamento giuridico (dottrine generali), in «Enciclopedia del Diritto», XXX, Milano 1980, pp. 678-736; A.G. CONTE, Ordinamento giuridico, in «Novissimo digesto», XII, Torino 1982, pp. 45-54; A. PALERMO, Ordine giuridico, ordine dell’autorità, in «Novissimo digesto», XII, Torino 1982, pp. 115-128.

[18] Cfr. B. LEONI, Il concetto di Stato nella teoria kelseniana, in «Scritti vari di filosofia del diritto raccolti per l’inaugurazione della biblioteca Giorgio Del Vecchio», Giuffrè, Milano 1961cit., pp. 29-35.

[19] B. LEONI, Oscurità e incongruenze nella dottrina kelseniana del diritto, in «Atti del IV Congresso nazionale di Filosofia del Diritto» – Pavia 10-13 ottobre 1959, Giuffrè, Milano, pp. 201-202 (corsivo nostro). Il Leoni prosegue «quale risulterà la posizione dei superstiti fautori dell’antico giusnaturalismo in seguito alla crisi delle teorie formalistiche e in primo luogo del formalismo kelseniano? Dalla crisi del concetto di “diritto positivo” come strumento di analisi teorica non deriva necessariamente un rafforzamento del vecchio concetto di “diritto naturale”, comunque esso possa intendersi. Esiste tuttavia un significato empirico di questo termine, rintracciabile nelle dottrine del giusnaturalismo moderno così come in quelle del “giusto per natura” dei Greci: le contemporanee scuole sociologiche del diritto possono considerarsi, in un limitato senso, e certo senza la connotazione spregiativa con cui Kelsen usa questo termine, le “moderne eredi del diritto naturale”, proprio in quanto esse tendono a rivalutare nel diritto l’aspetto dei “convincimenti” che guidano l’azione delle persone, anziché quello dell’ordinamento concepito alla maniera dei dogmatici». La risposta-proposta che il Nostro espone (siamo nel 1959) pare intuitiva dei progressi che svilupperà a partire da Freedom and the Law: «un riesame critico delle moderne dottrine sociologiche del diritto, condotto in parallelo con un approfondimento del significato empirico di talune dottrine classiche del giusnaturalismo classico potrebbe, se non sbagliamo, costituire un notevole contributo alla riproposizione di taluni degli antichi problemi del “diritto naturale” in una forma e con un significato accettabili al pensiero contemporaneo» (B. LEONI, Oscurità ed incongruenze nella dottrina kelseniana del diritto, cit., p. 202).

[20] Cfr. U. PAGALLO, Alle fonti del diritto. Mito, scienza, filosofia, Giappichelli, Torino 2002, p. 28: Kelsen adotta «una impostazione epistemologica imperniata sulla ‘grande divisione’ di dover essere ed essere, tra diritto e realtà, che tende a separare rigorosamente i giudizi di fatto da quelli di valore, la scienza dalla filosofia, gli imperativi ipotetici della tecnica dall’imperativo di natura categorica». Espugnati i giudizi di valore, la dottrina del diritto è pura: «non considera lo scopo che viene perseguito e raggiunto dall’ordinamento giuridico; e considera questo ordinamento nell’autonomia della sua struttura e non già relativamente a questo suo scopo», così H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto [1934], tr. it., Einaudi, Torino 1952, p. 72. Kelsen per questa via «ha fondato l’autonomia della scienza giuridica: giurista puro, dunque, per una teoria pura del diritto». N. Bobbio, Dalla struttura alla funzione, Ed. Comunità, Milano 1977, pp. 188-190.

[21] B. LEONI, Lezioni di filosofia del diritto, cit., pp. 14-15.

[22] B. LEONI, Appunti di filosofia del diritto, cit., pp. 180-181.

[23] B. LEONI, Appunti di filosofia del diritto, cit., pp. 181.

[24] B. LEONI, Appunti di filosofia del diritto, cit., p. 181.

[25] B. LEONI, Appunti di filosofia del diritto, cit., pp. 182-183 (corsivo nostro).

[26] Per una lettura della teoria del diritto come “pretesa” in chiave ineludibilmente “politica”, vedasi il saggio interessante di J.M. de LA FUENTE, Il diritto come pretesa e i rapporti tra diritto e politica, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1961, pp. 429-456 (che è tutta incentrata sulla analisi precipua della relazione leoniana tenuta al V Congresso nazionale di Filosofia del diritto del 1959) ed in particolar modo sia l’introduzione che la parte conclusiva. Nella prima leggiamo, difatti, che «In base a questa concezione del diritto come pretesa si concepiscono i rapporti fra diritto e politica; o, più esattamente, il diritto e la pretesa giuridica non sono altro che una risultanza dell’attività politica, intesa questa come il potere che il soggetto ha, in virtù di una determinata “situazione” [n.d.r.: Leoni avrebbe preferito il termine “àmbito”], di far valere le proprie pretese» (Op. cit., p. 430).

[27] È opportuno avvisare il lettore che nel presente paragrafo si preferirà, per evitare ogni sorta di confusione, di far riferimento alla originale teoria del Leoni circa la “certezza” del diritto a breve termine e a lungo termine. Una disamina sulla distinzione appena accennata verrà offerta nel capitolo dedicato all’ordinamento giuridico.

[28] Vedasi, sul termine “riconoscere”, tra norma di riconoscimento e procedimento dialettico, U. PAGALLO, Alle fonti del diritto, cit., pp. 223-230; nonché la definizione per la quale «Riconoscere vuol dire soprattutto conoscere “nuovamente” il nuovo nella radicale problematicità dell’esperienza» (cfr. ID., op. cit., p. 254, ma già a p. 3).

[29] B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 161.

[30] B. LEONI, Lezioni di Filosofia del diritto, cit., p. 19.

[31] La concezione recupera il diritto romano e, a detta del Masala, potrebbe essere considerata «un antecedente logico della teoria del diritto come pretesa» (A. MASALA, Il liberalismo di Bruno Leoni, Rubbettino, Soveria Mannelli, p. 100 nota 38).

[32] B. LEONI, Il diritto come pretesa individuale, in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 128 (corsivo nostro).

[33] Difficoltà, questa, che non pare essere stata finora denunciata da nessuno dei più acuti conoscitori delle teorie filosofico-giuridiche di Bruno Leoni.

[34] B. LEONI, Appunti, cit., in ID., Il diritto come pretesa, cit., p. 197 (corsivo nostro).

[35] Il Nostro, in questa teoria della pretesa, recupera molto dei suoi studi di logica e di calcolo delle probabilità, in specie posti in relazione con lo studio delle scienze c.d. umane. Chi diede un forte sviluppo all’attenzione nei confronti del calcolo probabilistico anche nel diritto fu certamente Leibniz (cfr. G.W. LEIBNIZ, De incerti aestimatione [1678], nonché ID., Dissertatio de Arte combinatoria, [1666], tr. it., Milano 1937, pp. 64 s. (118)). Un eventuale spunto di approfondimento potrebbe essere quello che pone in comparazione il parallelo tra Kant e Kelsen in ambito di giustificazione (aprioristica) dell’ordinamento e quello che investiga il Russell, su un piano distinto ma in quanto tale presupposto indispensabile per la fondazione (necessaria) del sistema diritto, tra Kant e Leibniz in ordine alla loro concezione dell’ “a priori” (cfr. B. RUSSELL, A critical exposition of the Philosophy of Leibniz, Cambridge Unjiversity Press, Cambridge 1900, dove si legge (a p. 23) «For Leibniz the necessary is not, as for Kant, the same as the a priori, we shall find that contingent propositions have a priori proofs. The a priori is, as for Kant, what is independent of particular experience, but the necessary is not cohextensive with this». In materia vedansi i già osservati tentativi di trasportare la teoria probabilistica leibniziana nell’esperienza giuridica dei casi in B. LEONI, Probabilità e diritto nel pensiero di Leibniz, in «Rivista di Filosofia», 1947, n. 1-2, pp. 65-95.

Pages 1 2 3 4 5 6 7 8