Attualità della Costituzione [1]
di Torquato G. Tasso
Riguardo alle future eventuali modifiche, infatti, Mortati non è (ovviamente) contrario ma precisa che queste devono essere tali da garantire l’immodificabilità del significato profondo del testo e, quindi, dovranno mirare a conservare e migliorare il testo ma non certo a stravolgerlo; In questa visione del Mortati, le norme di revisione, prodotte dal Parlamento in sede di procedimento aggravato stabilito, sono da considerare in ogni caso, anche se sottoposte a referendum popolare, subordinate all’organo costituente; secondo l’Autore, infatti, tra le norme di revisione e il testo originario della Costituzione deve intercorrere lo stesso rapporto di subordinazione che c’è tra decreti legislativi del governo e la legge delega del Parlamento ([7]).
La tesi appare condivisibile perchè correttamente viene a coniugare le esigenze di una Costituzione vitale, ossia che si adegua alle mutate esigenze della Comunità, con l’imprescindibile e fondamentale carattere di rigidità della Costituzione.
La citata procedura prevista dall’art. 138 della Costituzione, nella chiave lettura di Mortati, a mio modo di vedere, ci vuole dire proprio questo. Ci vuol far comprendere che la revisione costituzionale è e deve essere un atto frutto di un mutato consenso e non l’atto di una parte politica.
E’ quindi possibile una riforma costituzionale? E’ certo possibile una revisione della costituzione ma a condizione che le riforme costituzionali non siano trascinate nello scontro, animato solo dalla polemica partitica, dimentica del superiore bene della Comunità; è certo possibile una revisione della costituzione, purché sia guidata dalla piena consapevolezza e, di conseguenza, dal necessario rispetto del significato che riveste la Costituzione in una democrazia maggioritaria; è certo possibile una revisione della costituzione ma a condizione che risulti rigorosamente coerente con la finalità originaria e immodificabile dell’ordinamento, dettata dalle norme fondamentali e dai diritti inviolabili e dotate di una funzionalità operativa che sia riconosciuta almeno non inferiore a quell’offerta dalle norme attualmente in vigore.
E’ certo possibile una revisione della costituzione ma a condizione che, anche se la Carta non lo dice espressamente, questa sia attuata, a larga maggioranza e, perché no, a maggioranza dei due terzi; più la riforma è significativa, maggiore è l’incidenza modificativa dell’intervento di revisione, maggiore dovrebbe essere la maggioranza che l’appoggia;
Anche i nostri costituenti hanno stabilito la possibilità di revisione della Costituzione, avevano, infatti, ben chiaro che la Costituzione è qualcosa di vitale, che si evolve con i tempi e che, se necessario, può cambiare. I nostri costituenti, però, hanno anche voluto evidenziarne l’importanza proprio richiedendo una particolare maggioranza da un lato (due terzi delle camere) e, in difetto, concedendo al possibilità al popolo di esprimere il proprio consenso attraverso un referendum.
Ecco qui di nuovo, l’importanza del consenso. Se non c’è il (largo) consenso popolare – rappresentativo o diretto – non è possibile una revisione della costituzione.
Venendo quindi a trarre le fila del mio intervento, nella speranza di non avervi annoiato, voglio dire che l’attuale Costituzione italiana è il frutto equilibrato del consenso manifestato dagli italiani con il referendum del 1946 prima e con la Costituente poi. Consenso che, ad ogni modo, non ci deve impedire di guardare alla realtà e alla sua graduale evoluzione. Se è necessario, se i tempi sono maturi, si proceda pure alla revisione. Il detto consenso deve però essere ispiratore di ogni interpretazione evolutiva della disposizione costituzionale e di una sua eventuale revisione. Il consenso e aggiungerei l’ampio consenso è e deve rimanere centrale. Senza il consenso non sarà possibile alcuna revisione. Senza il consenso i valori che i nostri padri della repubblica ci hanno lasciato in eredità andranno irrimediabilmente perduti. Senza il consenso, soprattutto, andrà perduta l’occasione di essere autenticamente cittadini in quanto, usando le parole del Filosofo, “Lo Stato non è l’assoluto, ma una partecipazione dell’assoluto; lo strumento che, nell’ordine voluto da Dio, ci è stato dato perché, disciplinandoci, riusciamo ad essere sempre meglio uomini”>>.
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[1] Intervento presso la Sala Consigliare del Comune di Portogruaro in occasione della Festa della Repubblica del 2005.
([2]) Per una compiuta analisi del significato di politéia nell’opera aristotelica vedi F. GENTILE, Intelligenza politica e ragion di Stato, Milano, 1984 pg. 140 e segg.
([3]) Ibid., pg. 35 e segg.
([4]) Ibid. pg. 36.
([5]) Tra i vari autori che si sono interessati dell’argomento è opportuno ricordare oltre a e C. MORTATI, La Costituente (1945), in Raccolta di scritti, vol. I, Milano, Giuffré, 1976, 26 sa., S. ROMANO, L’instaurazione di fatto di un ordinamento costituzionale e la sua legittimità (1901), in Scritti Minori, Vol. I, Milano,Giuffré, 950, pp. 110 ss.; G.U. RESCIGNO, La discussione nell’Assemblea costituente del 1946 intorno ai suoi poteri, ovvero del potere costituente, delle assemblee costituenti, dei processi costituenti, in Dir. Pubbl., 1996, pp. 23 ss.; P.G. GRASSO, Potere costituente, Milano, Enc. Dir., XXXIV, 1985, pp. 646 ss.; G. ZAGREBELSKY, Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino, 1984; P. BARILE, Potere costituente, in .Noviss. Dig. It., Vol. XIII, Torino, Utet, 1966, pp. 449 ss..
([6]) L’autore ha avuto modo di rappresentare la propria tesi sul potere costituente e sulle implicazioni tra questo e la procedura di revisione in numerosi scritti. Tra questi si ricorda C. MORTATI, L’ordinamento del governo nel nuovo diritto pubblico italiano (1931); C. MORTATI, La costituzione in senso materiale (1940); C. MORTATI La costituente. La teoria. La storia. Il problema italiano. (1946); C. MORTATI, Lezioni di diritto costituzionale italiano e comparato (1965); C. MORTATI, Le forme di governo (1973); C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico (1975-76). C. MORTATI, Studi sul potere costituente e sulla riforma costituzionale dello Stato, Giuffrè Milano 1972;
([7]) L’autore, infatti, ci ricorda nella sua opera C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 2002, pag. 921 e segg. "La nostra Costituzione ha incluso nel titolo VI, dedicato alle garanzie costituzionali, tanto la disciplina degli organi di garanzia costituzionale quanto quella del procedimento di revisione: ed é da chiedersi se tale sistemazione possa trovare giustificazione. (…) La presenza di un’apposita istanza di revisione viene ad assumere funzione di garanzia perché sottrae al grado inferiore ogni possibilità di invadere la competenza del grado superiore, e tende a preservare l’integrità del documento in cui é consacrata la suprema volontà dell’ordinamento (…) E’ da mettere in rilievo come l’affidare ad uno speciale procedimento la revisione del testo costituzionale ha come proprio scopo, più che di provvedere al suo mutamento, di meglio preservarne la parte stabile (…) Il nostro costituente, con la sistemazione nel titolo VI della materia della revisione, ha voluto mettere l’accento sulla conservazione piuttosto che su quella di mutamento adempiuta dalla revisione, e nello stesso tempo richiamare in modo più spiccato il carattere di subordinazione delle norme di revisione, emananti da un organo costituito e nelle forme prefissate, rispetto a quelle della costituzione, provenienti invece dal costituente, cioè da un’entità assolutamente originaria”. Ed ancora, più avanti prosegue:“La legge di revisione, per quanto riguarda il suo rapporto con la costituzione, assume una posizione analoga a quella che hanno i decreti emessi dal governo su delegazione del parlamento."