Attualità della Costituzione [1]
di Torquato G. Tasso

Quanto appena detto, in ordine alle due categorie di regolarità e di regole, ci fornisce la risposta alla domanda che ci siamo posti in precedenza.

“Queste due anime, queste due parti della Costituzione hanno la stessa importanza, sono entrambe irrinunciabili?” E’ importante comprendere che il prius della nostra convivenza è proprio la comunità, fondata sulla naturale propensione dell’uomo a stare in società e ad affrontare i problemi della convivenza sociale, civilmente, in senso autenticamente politico ed è importante comprendere che esiste prima di qualsiasi forma costituzionale e non nasce da essa. La Comunità sociale c’è ed esiste a prescindere dal tipo d’organizzazione sociale che ci siamo dati, a prescindere da quali regole costituzionali ci siamo attribuiti. La comunità sociale, risultato della regolarità, non è il frutto d’astratte regole d’ingegneria costituzionale ma n’è il presupposto. E se pensiamo che fino a pochi anni fa, nell’est europeo, avevamo delle repubbliche che si chiamavano democratiche ma che erano in realtà delle vere e proprie dittature o, per converso, che abbiamo, nel mondo anglosassone, una monarchia che è certamente più rispettosa delle libertà del singolo di quanto non fossero le repubbliche democratiche dell’est europeo, possiamo comprendere il significato più profondo di quello che sto dicendo. Riportando questa considerazione a quanto abbiamo detto in precedenza della Costituzione e della sua duplice natura, della duplice anima, operativa da un lato ed etica dall’altro, possiamo capire che l’anima etica della nostra costituzione, in quanto riflette la natura e i diritti inviolabili dell’uomo e del cittadino, non può certo essere cambiata. Ciò che può essere cambiata è l’insieme delle regole dell’organizzazione. Ciò che può, ma direi io, deve cambiare con il mutare dei tempi e nei limiti di tali mutamenti, sono le regole dell’organizzazione umana.

Questo potrebbe indurre qualcuno a pensare (e forse qualcuno sta cercando di farci pensare) che, visto che il prius logico politico è la comunità, il principio d’aggregazione del corpo politico, le regole (del gioco politico ossia dell’organizzazione costituzionale) perdano importanza al punto che una forma organizzativa costituzionale sia esattamente pari ad un’altra, abbia la stessa dignità, abbia la stessa funzione di regola del gioco e, quindi, fermi i principi fondamentali della nostra convivenza, queste potranno cambiare facilmente grazie all’ingegneria costituzionale.

In realtà non è così, se non da un punto di vista puramente astratto. Quanto appena osservato ci deve dare una gran consapevolezza; ossia che l’umanità e la sua regolarità prima e la comunità civile poi esiste prima d’ogni cosa e che le regole del gioco servono a giocare ma sono e devono essere solo degli strumenti per garantire un’ordinata coesistenza. Il fatto che l’organizzazione politica costituzionale sia solo una regola del gioco politico, però, non ci deve indurre a svuotarla completamente di significato, a svilire una scelta che i nostri costituenti hanno a suo tempo fatto. La scelta politica che la nostra comunità deve fare quotidianamente è quella di individuare l’organizzazione politica e costituzionale che meglio permette l’individuazione prima e la realizzazione poi del bene comune, del bene della comunità principio aggregante la comunità stessa.

A questo punto quindi, il problema si sposta. (Atteso, come appena detto, che il prius è la comunità e che l’organizzazione costituzionale è soltanto l’insieme delle regole di organizzazione che la comunità si è data) ci si chiede “Come si fa a comprendere quale è la migliore organizzazione, la migliore regola del gioco politico per una comunità”. Mi verrebbe da rispondere “semplice”.

“Per stare insieme, anche nell’economia limitata di un gioco infantile, è necessario rispettare le regole (…). Nel medesimo tempo, perchè la regola non pesi sulla personalità di ciascuno, come limite della sua libertà, è necessario che essa sia condivisa, cioè riconosciuta come propria, da chi vi si adegua. A garantire queste due condizioni non v’è che il consenso” ([4]). Il consenso. Questa è la risposta. Consenso. Altra parola dal significato etimologico illuminante. D’origine latina deriva da cum sentire, sentire assieme, condividere. Sentire una regola, com’espressione della nostra comunità, del nostro stare insieme. Il consenso legittima la regola.

Ecco che quindi, qualsiasi regola, ma, per ovvi motivi, ancor di più la regola giuridicamente e politicamente fondamentale, quella costituzionale, quella che riguarda l’organizzazione costituzionale non può essere mai il semplice frutto della decisione del più forte, di chi ha il potere, di chi la forza per crearla ed imporla, calandola dall’alto. Ma deve necessariamente fondarsi sul consenso, sul riconoscimento comune della sua valenza realizzatrice del bene comune. Consenso vuol dire coinvolgimento di tutte le parti sociali, di tutte le forze politiche, di tutti i cittadini. Se c’è ampio consenso si può affrontare qualsiasi riforma costituzionale. Se non c’è ampio consenso, nessuna riforma può essere attuata e, soprattutto, nessuna riforma può essere legittima.

Ma a questo punto diviene doveroso, rispondere alla domanda che il titolo del mio intervento pone. La nostra costituzione è attuale, rispetta questi principi, è una costituzione condivisa o richiede un adeguamento alle mutate realtà? La prospettata riforma va in questo senso, risponde alle istanze fondamentali e ai detti principi?

Per rispondere a tutte queste domande ricordiamo brevemente com’è nata la nostra Costituzione. L’Italia usciva dalla dittatura del fascismo e dall’occupazione tedesca, grazie al sacrificio della lotta partigiana che portò, a costo di tante vite, alla liberazione e alla pace. Il 25 aprile del 1945 finisce la guerra, si sconfigge definitivamente il fascismo nella sua ultima forma istituzionale della Repubblica di Salò e si decide di chiamare alle urne il popolo perché decida il futuro assetto istituzionale della Repubblica. Il 2 giugno del 1946, con il referendum istituzionale a suffragio universale (nel quale per la prima volta votarono anche le donne) in Italia fu scelta la forma di governo repubblicana. Si votò (sempre a suffragio universale) inoltre per scegliere i membri dell’Assemblea Costituente che avevano il compito di preparare la nuova Costituzione Italiana. Fu poi composta una Commissione formata da 75 deputati, scelti su indicazione dei vari gruppi parlamentari ed eletti in modo proporzionale al numero dei componenti dei vari gruppi. Tutti erano rappresentati, tutte le forze politiche erano presenti ovviamente in proporzione alla propria rappresentatività. In poco più di un anno di lavoro si ebbe la Costituzione Italiana che entrò in vigore il I gennaio 1948.

In un giorno come questo, nel quale si celebra la nascita della nostra Repubblica, nel quale si ricorda quel lontano ma vicino, per certi versi, 2 giugno 1946, giorno in cui il popolo italiano, con un referendum, fece la scelta fondamentale con cui imboccò la via della democrazia e decretò la fine della monarchia, sembra quasi superfluo ricordare certe cose. Sembra quasi superfluo ricordare che la nostra attuale Costituzione è una pianta nata sul terreno fertile della libertà democratica che quel particolare periodo storico ha garantito; sembra quasi superfluo ricordare che questa pianta è cresciuta perchè è stata innaffiata dal sacrificio di tanti italiani che, a costo delle proprie vite, hanno agito pensando non al proprio limitato interesse personale ma a garantire un futuro libero, perchè democratico, alle successive generazioni. Sembra quasi superfluo ricordare che la nostra costituzione, attuale, è il frutto di un importante e irripetibile periodo storico, nel quale vi è stata la convergenza tra le opposte fazioni che avevano di mira esclusivamente il bene di tutti gli italiani, nel rispetto delle diversità etniche, religiose, culturali e ideologiche; sembra quasi superfluo ricordare che la nostra Costituzione è stata creata da un’assemblea costituente realmente rappresentativa di tutto il popolo italiano, realmente rappresentativa d’ogni compagine politica e d’ogni diversa ideologia democratica e sociale; sembra quasi superfluo ricordare che la nostra Costituzione è il frutto maturo del consenso di tutti i consociati, forse la sua espressione più alta. Ricordare tutto questo sembra forse superfluo, ma in realtà non lo è.

A questo punto sono io a porre a Voi una domanda. Perchè cambiare la Costituzione? Mi si potrà rispondere che l’Italia del 1946 non è l’Italia d’oggi. Su questo siamo tutti d’accordo. Ma su questo, guardate, sono d’accordo con noi anche i padri costituenti della nostra “vecchia” Costituzione. Non dimentichiamo che, proprio rifacendosi a quel concetto quasi biologico, vitale della Costituzione, ossia dell’idea che la stessa costituzione si debba evolvere per seguire il mutare dei tempi e, quindi, il mutato consenso, i nostri costituenti hanno previsto anche questo, hanno previsto una particolare procedura per la revisione costituzionale, procedura prevista dall’art. 138 della nostra Costituzione.

L’articolo 138 della Costituzione. Ci ricorda, infatti, che “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a "referendum" popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a "referendum" non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a "referendum" se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.

Ma qual è il significato voluto dai costituenti con la previsione dell’art. 138 della Costituzione? Per capirlo bene è necessario entrare anche nel merito delle questioni più specificatamente giuridico – costituzionali.

Si tratta del rapporto gerarchico tra il testo originario della Costituzione e le leggi di revisione ([5]). A questo proposito diviene necessario richiamarsi ad una tesi che appartiene alla tradizione della nostra dottrina, ma che, a mio modo di vedere si deve ritenere ancora valida. Mi riferisco alla tesi di Mortati che, essendo stato uno dei padri della Costituzione viene ritenuto da molti costituzionalisti un autorevole interprete dell’autentica volontà della Costituente. Secondo Mortati, la procedura di revisione costituzionale prevista dal su citato articolo, viene prevista e regolata dalla Costituzione al solo fine di conferire alla stessa procedura di revisione esclusivamente la funzione di preservare l’integrità del testo originario ([6]).

Da questo principio ne consegue che, innanzi tutto, la Costituzione è l’espressione più alta del patto sociale che viene a realizzare e rappresentare il legame profondo di tutti i cittadini e di tutte le classi sociali, e, in quanto tale, ha una validità definitiva e, nei detti limiti, inalterabile. Proprio per questa sua caratteristica, la Costituzione è destinata, secondo Mortati, a rimanere immodificata per molto tempo e, proprio per questo, potrebbe richiedere degli interventi d’adeguamento alle mutate esigenze e realtà della comunità che rappresenta.

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