Il silenzio amministrativo
Tra rivoluzione e reazione delle istituzioni
di Torquato G. Tasso
Secondo la nuova visione del rapporto Privato-Pubblico che viene individuata dalla legge 241/90, e con l’importanza conseguentemente riconosciuta al momento di paritario confronto tra i due enti in sede amministrativa, grazie alla particolare attenzione rivolta al procedimento, visto come nuovo mezzo di comunicazione tra i due enti, l’attività amministrativa si vede necessariamente valorizzata nella sua componente politica, divenendo quasi partecipe, almeno in parte e nei suindicati limiti, del momento politico individuativo del bene comune. Acquistano, alla luce della legge 241/90, ancora maggiore eco le parole di Gentile ([46]) che ci ricorda come "il bene comune, che non può essere inteso come entità attualmente o pienamente posseduta, esercita la funzione di modello per il governo di ogni comunità, punto limite di per sé irraggiungibile e tuttavia orientante l’azione politica". Ed è proprio perché il bene comune non può essere mai inteso come entità attualmente e pienamente posseduta, che il migliore perseguimento di esso, e, quindi, in parte anche l’individuazione dello stesso, deve spingersi fin entro l’azione amministrativa stessa, a garantire che, nel perseguimento dei fini individuati in sede di governo, l’azione amministrativa individui, in termini dialettici e non di sovranità, il miglior e più consono equilibrio ed assetto degli interessi in gioco. Infatti, se l’azione amministrativa viene ad essere regolata solo dall’idea di sovranità, si avrà una amministrazione che, rifiutando il confronto paritario con il Privato, dimentica la componente e la rilevanza politica delle sue scelte amministrative. La dialettica, infatti, permette di comprendere a fondo i risvolti politici insiti nelle scelte amministrative da un lato, e di realizzare al meglio il bene comune individuato in sede politica, comprendendo quale sia il migliore equilibrio tra gli interessi in gioco, dall’altro. Con l’introduzione del nuovo procedimento basato su un paritario e, per questo, effettivo contraddittorio, la legge 241/90 permette lo svolgersi in termini dialettici anche dell’azione amministrativa, che può dirsi partecipe, almeno in parte, anche del momento politico, svolgendo l’opera di compiuta realizzazione del bene comune. La normativa in esame, infatti, evidenzia una giusta esigenza. Se l’azione di governo, mirante a un "riconoscimento del bene comune" che "coincide con il riconoscimento in comune del Bene" ([47]), deve necessariamente, per potersi dire davvero tale, procedere dialetticamente, e, come abbiamo ricordato, deve essere inesausta e, in qualche modo, mai pensare di aver acquisito definitivamente il bene comune, anche la stessa azione amministrativa deve svolgersi dialetticamente, pena frustrare o comunque ledere l’individuazione dialettica dello stesso avvenuta in sede di governo. Grazie allo strumento del procedimento, il quale presuppone una parità di posizione tra Privato e Pubblico, si riesce a garantire la piena realizzazione del bene comune, con una sua puntuale esecuzione che, anche in tale sede, è di tipo dialettico, superando così la posizione formalistica che identificava il bene pubblico con il bene dell’ente pubblico e che finiva per impedire, sempre e comunque, qualunque fosse il metodo di individuazione del bene comune in sede di Governo, la sua effettiva completa attuazione e realizzazione.
Conclusioni
Il silenzio, quindi, carico di contraddizioni, e privo di coerenza rispetto alla visione globale che la legge dà dell’amministrazione nel suo complesso, e del rapporto privato-pubblico in particolare, non avrebbe dovuto essere previsto dalla normativa sul procedimento amministrativo in quanto non rende possibile quella comunicazione privato-pubblico che la legge sembrava voler introdurre.
Perchè, allora, il legislatore lo ha previsto e la prassi lo ha fatto divenire elemento fisiologico del sistema, vera e propria ordinaria forma di comunicazione, ovviamente non dialettica, tra i due enti? Significativo è l’allarme lanciato da Abbamonte, il quale dice che la figura del silenzio finirebbe per "creare una riserva di potere formato al riparo dell’inazione" ([48]). Le ipotesi di silenzio appaiono essere, infatti, secondo l’autorevole autore possibili "deviazioni non agevolmente riferibili a tipi legali, appunto perchè di carattere omissivo" ([49]).
Per evitare l’ineluttabile limitazione del proprio potere, illustrata in precedenza, il Pubblico crea o, meglio, mantiene il silenzio come categoria all’interno della quale potrà mantenere la propria discrezionalità e irresponsabilità. Il Pubblico, con una accorta “politica dei silenzi”, potrà continuare, a mezzo del silenzio, qualificato e non, a dar vita a fattispecie produttive degli stessi effetti sostanziali di un provvedimento, ma che, a differenza del provvedimento, non sono frutto di un procedimento che garantisca il privato dell’avvenuta corretta individuazione del giusto equilibrio tra i vari interessi in conflitto, non sono sostenute da una motivazione che renda conto del proprio operato al singolo, impedendogli così ogni sindacato, e che non permettono, infine, al privato di partecipare alla formazione del provvedimento, di condividere col Pubblico, almeno in parte, l’attività amministrativa e di far valere, in tale sede, i propri interessi. Attraverso il silenzio e grazie al silenzio, il Pubblico, reagisce alla rivoluzione che la L. 241/90 vorrebbe imporgli e può continuare ad agire così come aveva sempre agito, con la massima discrezionalità e libertà.
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([1]) Vedi, sul punto, il recente Decreto Legge 14 marzo 2005 n. 35 convertito con L. 14 maggio 2005 n. 80;
([2]) Tra gli altri, si ricorda la posizione di L. FRANZESE in Il silenzio amministrativo: sovranità o sussidiarietà delle istituzioni? A proposito del libro di Torquato G. Tasso in Ircocervo, 1, 2005 ed in JUS, Rivista di Scienze Giuridiche, 1-2/2005.
([3]) In questo senso anche L. FRANZESE in Il silenzio amministrativo: sovranità o sussidiarietà delle istituzioni? A proposito del libro di Torquato G. Tasso, cit. ed in JUS, Rivista di Scienze Giuridiche, cit..
([4]) F. BENVENUTI, Silenzio procedimentale e partecipativo in Atti della Tavola Rotonda sugli effetti sostanziali del silenzio-assenso nella legislazione urbanistica, Roma, 1982, pag. 48.
([5]) Vedi G.BERTI, Le difficoltà del procedimento amministrativo, in Amministrare, 1991, 201.
([6]) L’esigenza fu espressa dallo stesso Consiglio di Stato, Adunanza Generale, Parere 8 febbraio 1990 n.16, in Foro Ammin., 1990, I, p. 270 ss., che, dopo aver definito la questione del rapporto tra giudice amministrativo e attività amministrativa alla luce dell’estensione di tutela riconosciuta al privato in tale sede, lo definì "un problema delicato che appare tanto più rilevante nel sistema italiano, dove non si conosce ancora una disciplina normativa del procedimento amministrativo, nella quale i vari interessi confliggenti si confrontano nella scelta dell’interesse pubblico da perseguire". E, comunque, non solo le regole sono importanti ma anche altrettanto importante seguirne lo sviluppo e garantirne l’adesione all’evoluzione storica del settore: Cfr. Cons. Stato, Sez.VI, 09/05/1983, n.341 in Cons. Stato, 1983, 1, 569 Nel caso in cui per effetto dell’emanazione di nuove norme organizzatorie mutino i parametri di riferimento che regolano l’azione amministrativa, non è dubbio che l’immediata applicabilità di tali disposizioni, salvo che non sia la stessa amministrazione a dettare una normativa transitoria, fa sì che gli atti per i quali non si è ancora concluso il relativo procedimento debbono essere conformati alle diverse e sopravvenute valutazioni dell’interesse pubblico.
([7]) Ricordiamo che Rudolf Von Jhering diceva: "Die Form (ist) die geschworene Feindin der Willkür, die Zwillingsschwester der Freiheit" ossia che "il formalismo è il peggior nemico dell’arbitrio e la sorella gemella della libertà" quasi a riprendere un vecchio adagio inglese secondo il quale "Freedom grows in the interstices of procedure" ossia che "la libertà cresce negli interstizi del procedimento": citati da S.CASSESE, La disciplina legislativa del procedimento amministrativo. Una analisi comparata, in Foro it., 1993, V, 7 ss. ove CASSESE, tra l’altro, sinteticamente espone le funzioni che la legislazione in materia si pone come obiettivo: la prima di limitare e dare una forma alla discrezionalità amministrativa, la seconda di limitare i poteri dei giudici, la terza di limitare la discrezionalità delle autorità regionali o locali.
([8]) Anche la giurisprudenza più volte ha ricordato che esistono e sono necessarie "regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, le quali si pongono come limiti alla discrezionalità amministrativa". T.A.R. Lazio, Sez.II, 03/07/2002, n.6115 in Gius, 2003, 3, 320 ed ancora T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 24/11/1999, n.1481 in Foro Amm., 2000, 1968 che in riferimento alla "c.d. procedura negoziata, consistendo in una consultazione informale volta ad identificare il soggetto con cui trattare successivamente, non consente d’inquadrare in uno schema concorsuale la c.d. gara informale fermo restando che è possibile ravvisare una sorta di limitazione del potere discrezionale della p.a. (tenuta ad osservare le norme predisposte a presidio della "par condicio") e che la formalizzazione delle fasi della trattativa, tramite l’emanazione di regole volte alla disciplina della stessa, limitando la discrezionalità dell’amministrazione determina la nascita di interessi legittimi dei partecipanti al rispetto, appunto, delle stesse".
([9]) Sull’argomento interessante è l’analisi di V.NOCCO, Teorie del procedimento amministrativo, in Nuova Rassegna, 1991, 15, pg. 1490, il quale espone le varie teorie sul procedimento. La teoria formale, ritiene il procedimento come la forma imposta dall’ordinamento giuridico a determinate azioni, disattendendo così la moderna teoria dell’articolazione che guarda non solo alla forma ma anche al formarsi dell’atto; La teoria sostanziale ritiene che il procedimento è un modo particolare di essere dell’atto, composto cioè da più atti ordinati ad un unico fine, teoria che però, e questo è il suo limite, non sottolinea la differente valenza che hanno i vari atti che compongono l’atto procedimentale. La teoria del Sandulli, che considera il procedimento come il farsi della funzione amministrativa. Partendo da questa tripartizione l’autore equipara, pur con le dovute differenziazioni, il procedimento alle fattispecie a formazione progressiva. Questa teoria maggiormente si avvicina alla realtà dell’azione amministrativa che Nocco definisce retta dal principio dell’articolazione che si ha quando "viene dall’ordinamento giuridico imperativamente articolata secondo una serie ordinata e progressiva di adempimenti".