LA TUTELA PENALE DELLA «DIGNITÀ UMANA»: TRA ESIGENZE DI GIUSTIZIA E DI PROTEZIONE DEL BENE GIURIDICO[1]
di Giovanni Caruso

[91] FERRAJOLI L., Diritto e ragione, cit., pp. 213-216.

[92] RONCO M., Il problema della pena, cit., p. 141.

[93] RONCO M., Il problema della pena, cit., p. 142. Il corsivo nella citazione è mio.

[94] A tale critica non si sottrae Luigi Ferrajoli, il quale costantemente accredita una sorta di equazione tra la considerazione dell’istanza di giustizia in una prospettiva interna al sistema giuridico positivo con l’introduzione di un sistema di giudizio della pura moralità, o del mero atteggiamento interiore, si veda FERRAJOLI L., Diritto e ragione, cit., p. 462.

[95] Su tale figura, si veda CALVI A.A., Tipo criminologico e tipo normativo d’autore. I. La tipologia soggettiva della legislazione italiana. II. Tipologia soggettiva e politica criminale italiana, Padova, 1967.

[96] VEGGETTI M., Guida alla lettura della Repubblica di Platone, Bari, 2002, p. 52.

[97] Ritengo, infatti, che la fondamentale funzione, o – meglio – l’essenza, del diritto punitivo non sia la tutela dei beni della persona, ma la disciplina della retribuzione quale forma autentica di comunicazione interpersonale ispirata all’idea di giustizia, quale mediazione che, pur cruenta ed affittiva, contribuisce a riaccostare ‘carnefice’ e ‘vittima’ nell’armonico – proporzionato – orizzonte relazionale. In questo senso, RONCO M., Principi di diritto penale e certezze del senso comune, cit., 17: “La realtà intima della pena, a prescindere dagli scopi esteriori che essa può accidentalmente raggiungere, tra tutti importante, l’eventuale contributo ab externo al raffreddamento della baldanza e dell’arroganza di coloro che, per inveterata dedizione al crimine, più non sentono nella coscienza il morso e l’angoscia della pena naturale, sembra comporsi […] di distinti elementi, che debbono essere visti nella loro profonda unità perché sia colto il senso e il significato della pena […] In primo luogo, la pena deve essere vista come strettamente connessa al delitto, come atto con cui l’autore abusa della sua libertà, violando così il principio fondamentale di responsabilità. In secondo luogo, occorre vedere, come punto di passaggio dalla colpa alla pena, lo status di separatività da Dio e dagli uomini in cui il reo viene a trovarsi per il fatto stesso del delitto. In terzo luogo, occorre scorgere, come principio che muove la società a punire, il dovere di riaffermare la giustizia offesa, promanante dall’inclinazione al giusto che è infusa nella mente dell’uomo. In quarto luogo, occorre vedere, con sguardo un poco raffinato, l’efficacia purificatoria e riconciliatrice della pena”.

[98] PLATONE, Eutifrone, in Tutti gli scritti, cit., pp. 11-12: ““SOCRATE – Presto, o carissimo, lo sapremo meglio. Considera questo: il santo viene amato dagli dèi in quanto è santo, oppure in quanto viene amato è santo? […] Cercherò di esprimermi più chiaramente. Noi facciamo distinzione fra una cosa che è portata e una che porta, fra una cosa che è condotta e una che conduce, fra una cosa che è vista e una che vede. Comprendi che queste cose sono fra loro diverse, e in che cosa sono diverse […] Dunque, non in quanto una cosa è cosa veduta, per questo viene veduta, ma, viceversa, in quanto viene veduta, per questo è cosa veduta. E, così, non in quanto una cosa è cosa che viene condotta, per questo viene condotta, ma viceversa, in quanto viene condotta, per questo è cosa condotta. E neppure in quanto una cosa è cosa portata, per questo viene portata, ma viceversa, in quanto viene portata, per questo è cosa portata. E’ chiaro ora, o Eutifrone, quello che [C] voglio dire? Questo voglio dire: che, se qualcosa viene prodotto o se qualcosa patisce, non in quanto è cosa prodotta esso viene prodotto, ma, viceversa, in quanto viene prodotto, è cosa prodotta. E, così, non in quanto è cosa paziente, una cosa patisce, ma, viceversa, in quanto patisce essa è cosa paziente. Non sei d’accordo che sia così? EUTIFRONE – Si, lo sono. SOCRATE – E allora, anche ciò che è amato, non è qualcosa che è prodotto, o che patisce qualcosa ad opera di altro? EUTIFRONE – Si, certo. SOCRATE – E allora, anche per ciò che è amato vale ciò che si è stabilito per i precedenti casi: non in quanto una cosa è cosa amata, essa viene amata da coloro che l’amano; ma, viceversa, in quanto viene amata, è cosa amata. EUTIFRONE – Di necessità. [D] SOCRATE – E, dunque, che cosa dovremo dire del santo, o Eutifrone? Non viene forse amato da tutti gli dèi, come tu affermi? EUTIFRONE – Si. SOCRATE – Ma viene amato in quanto è santo, oppure per qualche altra ragione? EUTIFRONE – No, ma per questa. SOCRATE – Dunque, proprio in quanto è santo, viene amato, e non, invece, in quanto viene amato, per questo è santo. EUTIFRONE – Sembra. SOCRATE – Invece, in quanto viene amata dagli dèi, una cosa è semplicemente amata e cara agli dèi. EUTIFRONE – E come no? SOCRATE – Dunque, o Eutifrone, ciò che è caro agli dèi non coincide col santo, e neppure il santo coincide con ciò che è caro agli dèi, come tu dici: si tratta, invece, di cose diverse l’una dall’altra. [E] EUTIFRONE – E come mai, o Socrate? SOCRATE – Perché abbiamo convenuto che il santo viene amato per questo: in quanto è appunto santo e, viceversa, che non in quanto viene amato è santo. Non è così? EUTIFRONE – Si”.

[99] Su questi aspetti, diffusamente, RONCO M., Il problema della pena. Alcuni profili relativi allo sviluppo della riflessione sulla pena, cit., pp. 107-205.

[100] Sulle origini hobbesiane del principio di legalità e certezza del diritto, si veda CATTANEO M.A., Hobbes e il fondamento del diritto di punire, in Politica e diritto in Hobbes, cit., p. 125: “Il maggior contributo dato da Hobbes al problema penale consiste a mio avviso nella precisa affermazione del principio della certezza del diritto […] Per quanto riguarda il problema penale, nel De Cive Hobbes dichiara che una parte importante della libertà utile allo Stato e necessaria ai cittadini per vivere in tranquillità, consiste nel fatto che non si devono temere pene imprevedibili, come avviene quando le leggi non prevedono una pena o si vuole imporre una pena maggiore di quella stabilita dalla legge […] Nel Leviathan, nel capitolo dedicato ai reati, Hobbes stabilisce il principio nullum crimen sine lege: «No Law, made after a Fact done, can make it a Crime». In questo modo è sancito il principio della irretroattività della legge penale e della necessità della punizione soltanto di un fatto preveduto in precedenza dalla legge come reato”.

[101] Per la denuncia dell’attecchimento del pregiudizio dell’uomo «sive natura» anche nella prospettiva liberale dello Stato di diritto, con la conseguente contrapposizione violenta tra Stato e cittadini, si veda GENTILE F., Intelligenza politica e ragion di Stato, cit., pp. 132-133: si considerino le “garanzie che proprio le dottrine politiche moderne più liberali prevedono come espediente per assicurare la tranquillità nell’ambito della società politica. La stessa espressione, garanzia, sta infatti ad indicare la presenza di una tensione latente tra cittadino e Stato, ché se tensione non vi fosse neppure si penserebbe a garantirsene. La divisione dei poteri o l’habeas corpus o la tolleranza religiosa sono altrettanti ostacoli frapposti al funzionamento della macchina statale o, come dice Locke, «limiti che la fiducia in essa riposta dalla società ha fissato al potere», eufemismo per esprimere la sfiducia del cittadini nei confronti dello Stato, proprio perché l’interesse privato si trova in contrasto con l’interesse pubblico […] E subito si nota come le garanzie siano delle autoriduzioni di potere, da parte di chi questo detiene, predisposte per evitare che la tensione tra Stato e cittadini arrivi al limite di rottura”.

[102] RONCO M., Il problema della pena. Alcuni profili relativi allo sviluppo della riflessione sulla pena, cit., p. 141: “La ‘ratio’, invero, del configurarsi del reato in termini di modalità di lesione, e non di lesione ‘tout court’, nonché del suo presentarsi come necessariamente corredato dalla colpevolezza sta proprio nell’esigenza della conformazione della struttura dell’illecito alla natura della sanzione: in tanto il reato è indotto a strutturarsi in chiave soggettivistica in quanto la pena, in ragione del suo contenuto e del suo fondamento, postula una pronuncia in termini di riprovevolezza del contegno punito”. Si veda, anche, GALLO M., L’elemento oggettivo del reato. Appunti di diritto penale, Torino, 1974, pp. 9-13, in cui l’Autore, alla luce della considerazione del reato come illecito a modalità di lesione e non di mera lesione, affronta il tema del rapporto tra diritto penale e morale, pervenendo alla conclusione di un rapporto tra reato e illecito morale, concernente non il contenuto del giudizio, bensì le modalità con cui il giudizio viene formulato.

[103] Si veda, su tale contrapposizione, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, MAZZACUVA N., Il disvalore di evento nell’illecito penale, Milano, 1983; MORSELLI E., Il ruolo dell’atteggiamento interiore nella struttura del reato, Padova, 1989; Id., Disvalore di evento e disvalore della condotta nella teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, pp. 796-843.

[104] MOCCIA S., Il diritto penale tra essere e valore, cit., p. 89, il quale, riferendosi a Roxin, afferma: “Considerazioni di prevenzione generale o speciale, potrebbero, infatti, portare all’inflizione di una sanzione sproporzionata, mentre la retribuzione di colpevolezza, legando l’entità della pena alla misura di colpevolezza, impedisce che la libertà individuale venga sacrificata, sia all’interesse per una intimidazione generale, che al perseguimento di finalità di riadattamento sociale indipendenti dall’effettiva gravità del reato commesso […] Queste considerazioni hanno ondotto un autorevole critico della teoria retributiva, Claus Roxin, a tentare, per finalità di tutela delle garanzie individuali, un’operazione di recupero del mero principio di colpevolezza, sciogliendolo dai suoi legami originari con la retribuzione, per utilizzarlo, senza l’impaccio di presupposti di ordine metafisico, nella sua funzione liberale di limite al potere punitivo statuale”. In senso decisamente critico, tuttavia, si veda RONCO M., Il problema della pena. Alcuni profili relativi allo sviluppo della riflessione sulla pena, p. 141, il quale, proprio replicando alla posizione roxiniana, osserva: “Il reato è illecito essenzialmente personale, alla stregua anche del dettato costituzionale (art. 27, comma 1, Cost.): ciò significa che il disvalore del contegno ricollegabile all’atteggiarsi della persona rispetto all’offesa è costitutivo del giudizio circa la punibilità. Né potrebbe sostenersi che della connotazione personalistica del reato debba tenersi conto soltanto al momento della distribuzione della sanzione nel caso concreto. In realtà di tale connotazione la legge tiene conto, ancor più radicalmente e significativamente, nel momento destinato all’individuazione della fattispecie astratta, sia selezionando le ipotesi di responsabilità in funzione dell’elemento soggettivo che caratterizza ciascun tipo di contegno, sia subordinando la rilevanza della lesione al presentarsi di specifiche modalità comportamentali”.

[105] RONCO M., Il problema della pena. Alcuni profili relativi allo sviluppo della riflessione sulla pena, cit., p. 141.

[106] BETTIOL G., L’odierno problema del bene giuridico, in Scritti giuridici, II, cit., p. 917: “Ora noi pensiamo che attraverso la considerazione del bene giuridico venga indubbiamente data al reato una orientazione di carattere oggettivo in quanto i beni tutelati sono beni di carattere sociale o di rilievo sociale nel senso che debbono avere una realtà, una dimensione, un significato che trascende la persona del soggetto agente e costituiscono il termine o il bersaglio dell’azione. Un bene giuridico, sotto il profilo penale, che si risolve nella psiche del soggetto agente o in una rappresentazione puramente soggettiva non può esistere o aver rilievo. Questo orientamento oggettivo, che assume attraverso la considerazione del bene giuridico il reato, non significa affatto che la dogmatica «liberale» abbia a sottovalutare i momenti soggettivi nell’economia generale del reato: tutt’altro”.

[107] MOCCIA S., Il diritto penale tra essere e valore, Napoli, 1992, p. 125: “Dolo e colpa sono essenziali per la tipicità, perché senza di essi la descrizione legale del reato non può realizzarsi nella forma tassativa richiesta dallo stato di diritto. È questa un’acquisizione ormai pacifica nell’àmbito della esperienza giuridica tedesca, ma non abbastanza generalizzata nell’àmbito di quella italiana”.

[108] BELING E., Die Lehre vom Verbrechen, Tübingen, 1906, p. 145; e ancòra, p. 178: “il Tatbestand è del tutto oggettivo ed è talmente libero da tutti gli elementi soggettivi, che un Tatbestand soggettivo è una contradictio in adiecto”.

[109] BETTIOL G., L’odierno problema del bene giuridico, in Scritti giuridici, II, cit., p. 914.

[110] BETTIOL G., ibidem.

[111] Dovere comprensibile dal destinatario della norma di comportamento in quanto, egli stesso, soggetto dotato di «dignità umana», e cioè di ‘razionalità’ e ‘autonomia’ in senso classico.

[112] Nello stesso senso, MOCCIA S., Il diritto penale tra essere e valore, cit., p. 125: “È questa, in sostanza, la nota caratteristica della teoria tripartita di derivazione positivistica che proponeva un fatto lontano dalla realtà, nel suo fondarsi su di un concetto naturalistico di azione, rigorosamente causale. Quest’ultima è concepita, infatti, come un movimento del corpo che provoca un cambiamento del mondo esterno, verificabile sul piano fisico e definita da Beling un «fantasma esangue», la cui funzione, di tipo negativo, consiste «nel separare ogni accadimento che non è azione». Sono già state, da lunga data, sottolineate le astrusità che derivano dall’accoglimento di questa concezione: è nota la ricostruzione dell’ingiuria quale «sollecitazione d’aria e di processi fisiologici nel sistema nervoso del soggetto passivo”.

[113] LISZT F., Lehrbuch des deutschen Strafrechts, Berlino, seconda ed., 1884, p. 107.

[114] RONCO M., Il problema della pena. Alcuni profili relativi allo sviluppo della riflessione sulla pena, cit., pag. 141.

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