Cosa resta dell’istituzionalismo giuridico?
di Aristide Tanzi
Particolare sviluppo è stato dato da un autore come Gurvitch alle forme di organizzazione sociale. A differenza delle forme di socialità, che rimangono per lo più legate ai piani più spontanei della realtà sociale, i gruppi, pur se non organizzati, creano quelle che sono gli inizi di strutture sociali, danno luogo a tentativi di stabilità e di equilibrio, ma non possono venir mai ricondotti ad una vera e propria organizzazione, perché «restano soggiacenti, la vivificano, la trasformano, la ricostruiscono e di conseguenza si mostrano, in quanto fenomeni sociali totali, più ricchi di essa» [54] . Vi sono tuttavia dei gruppi che possiedono la capacità virtuale di organizzazione; infatti la capacità di organizzazione è legata al predominio della socialità attiva su quella passiva, incapace di organizzarsi in sovrastrutture organizzate. Non va dall’altro canto dimenticato che il gruppo, una volta organizzatosi, mantiene nella sua struttura importanti strati della vita spontanea sottostante, anche perché la sovrastruttura organizzata del medesimo non lo esprime mai totalmente e non è che una forma di socialità fra una pluralità di altre forme.Inoltre, la maggior parte dei gruppi, non dispone che di una costrizione condizionata, poiché i loro membri possono ritirarsi più o meno liberamente da esso, sottraendosi, in tal modo, alle misure coercitive. Esistono peraltro taluni gruppi che, invece, dispongono di una costrizione incondizionata, in cui è vietato il libero allontanamento e i cui partecipanti non dispongono giuridicamente della possibilità di sottrarsi alle costrizioni loro imposte: tali sono, per esempio, i gruppi territoriali fondati sulla vicinanza; viceversa i gruppi di attività economica o i gruppi non lucrativi, come pure i gruppi mistico-estatici, che hanno tendenza alla costrizione puramente condizionata.In un autore come Renard che si ispira al pensiero di Hauriou ma che si richiama fortemente al giusnaturalismo tomista, l’uomo si trova collocato nello stesso tempo sia all’interno dell’istituzione, sia all’esterno di essa, come singolo che imposta la sua esistenza con modalità e ipotesi anche confliggenti rispetto a quelle dei suoi simili. C’è la necessità di una convivenza ma insieme anche il senso di un disagio.All’interno della famiglia, ad esempio ( ma lo stesso è certamente vero in riferimento anche agli altri fenomeni istituzionali ), esiste un vero e proprio statuto (di famiglia), da intendersi come l’insieme delle regole che permettono la convivenza dei membri della stessa, regole queste che vincolano i singoli conviventi nel conseguimento della finalità prima della stessa, cioè il perpetuarsi del legame familiare come unità di affetti.Nella sostanza quindi strutturalmente i concetti di diritto e statuto appaiono spesso come agli antipodi, e ciò in quanto, se da un lato, lo statuto partecipa alla mobilità tipica dell’istituzione, dall’altro, il diritto appare in tutta la sua rigidità. Se da un lato, il diritto soggettivo, una volta costituito, sfida gli avvenimenti, all’opposto, lo statuto segue la sorte dell’istituzione, adattandosi giorno dopo giorno alle sue vicissitudini. Lo statuto allora non è altro che il riflesso dell’istituzione, laddove il diritto soggettivo appare al contrario come riflesso della personalità umana. Certo Renard si muove, non sempre riuscendoci, alla ricerca di un punto di equilibrio tra individualità e socialità del diritto, tra volontà soggettiva che si manifesta e razionalità che si esprime negli istituti. Occorre peraltro dire che. Malgrado il tono colloquiale e amabile del suo ragionare, egli si muove con sicura e determinata precisione di intenti.