Cosa resta dell’istituzionalismo giuridico?
di Aristide Tanzi
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1. Una breve premessa
Recenti studi hanno riportato alla ribalta alcuni degli aspetti più rilevanti di quello che generalmente viene definito come l’istituzionalismo giuridico [1] . Ciò è avvenuto secondo un’ottica che ha ricercato più le ragioni della sua affermazione e persistenza che non quelle delle sue debolezze o contraddizioni. Analisi accurate e intense, risalenti agli anni settanta e ottanta del ‘900, avevano già condotto a un completo riesame delle motivazioni ed esigenze dell’istituzionalismo; ne era emersa in particolare un’indagine a tutto tondo anche su un personaggio come Santi Romano che rimane un autore cruciale ancora da sondare nel profondo. Il quadro è composito e multiforme e credo che in futuro sarà ancora più variegato. La tendenza interpretativa di qualche decennio fa si era soprattutto preoccupata di analizzare la struttura interna di una dottrina, decifrandone le linee guida, le argomentazioni e quindi le eventuali aporie. Oggi forse, a differenza del recente passato, viene più apprezzata non tanto la organicità e coerenza complessiva di una dottrina, quanto la sua capacità dinamica di costituire un “modello” che sia fondato, credibile e utilizzabile dinanzi alle variabili dell’esperienza. Ma questo modello non viene mai esaltato o enfatizzato; rimane pur sempre uno strumento, apprezzabile ma parziale. E non deve cadere, proprio per essere fruibile, in quel pericolo – tipico delle dottrine soprattutto giuridiche – che è il delirio di onnipotenza e di esclusività.La mia non vuole essere affatto una difesa d’ufficio dell’istituzionalismo, su cui non mancano freschi e intelligenti appunti critici [2] . Vuole essere solo un richiamo a capire le ragioni di un riaffiorante interesse per un movimento che non molti lustri fa un apprezzato studioso poteva definire come “un concetto ormai inutile” [3] . Questa rinnovata fortuna, che non è solo nazionale, nasce per ironia della sorte da quelle stesse caratteristiche che, intorno al 1960, venivano viste da un critico severo come Bobbio i limiti stessi dell’istituzionalismo, nei confronti delle dottrine normativistiche cui si sarebbero dovute contrapporre: l’assenza di un solido impianto argomentativo, la latenza di un impianto filosofico di supporto, una commistione impura tra metodo e oggetto d’indagine. Scopo del presente saggio è quindi quello di capire le ragioni di una fortuna, il senso di una sua diversa e più attuale lettura. Proprio per evitare malintesi terminologici e metodologici, non mi occuperò, se non marginalmente, di quello che viene definito come il “neoistituzionalismo” giuridico. Si tratta di un movimento che poco ha da spartire con il vecchio istituzionalismo anche se a questo in qualche modo vuole ispirarsi.