Cosa resta dell’istituzionalismo giuridico?
di Aristide Tanzi

Molte volte ci si dimentica che le corti non sono necessariamente l’unico e più importante meccanismo per la sistemazione delle controversie nella società. Bisogna ricordarsi che le norme giuridiche sono solo uno dei mezzi che possono essere usati per ottenere una certa condotta. Come e perché, in quali circostanze le parti scelgono di rivolgersi alle corti? Che percentuale di controversie di tipo x raggiunge le corti ? Che estensione hanno i risultati delle dispute risolte fuori dalle corti, ma sempre in conformità alla dottrina giuridica ? Cosa dovrebbe fare il legislatore per capire il cambiamento di un comportamento umano ? Con quale estensione viene esplorata l’intera possibilità di mezzi per incalanare questo tipo di condotta ?Anche per Giovanni Tarello, l’istituzionalismo economico ha influenzato fortemente il mondo culturale del realismo giuridico americano. Proprio Veblen tra i primi aveva condotto, sotto il profilo metodologico, una critica serrata alla scienza economica classica, che non veniva più concepita come tendente alla ricerca di leggi (economiche) valide per ogni tempo e luogo. Da qui discendeva il dovere di studiare i comportamenti economici anche come fatti storici piuttosto che considerarli solo come esempi di leggi universali. Anche quei comportamenti, quindi, che possono interessare l’economista sono condizionati non tanto da fattori immutabili ed elevabili a principio quanto da fattori che sono storici o «istituzionali», come le tendenze psicologiche e le attitudini di gruppi o classi di persone. 7. Verso una conclusioneDalla pur sommaria esemplificazione fatta in precedenza, emerge chiaramente tutta una possibilità di lettura a più piani dei problemi dell’istituzionalismo giuridico. Pur volendoci limitare solo ad alcuni aspetti, più strettamente giuridici, di esso emergono non poche differenze.Così Santi Romano, riconoscendo il valore ordinatorio e organizzativo dell’istituzione [45] , intendeva procedere a una ricostruzione sistematica della scienza del diritto pubblico che fosse coerente, rilevante e prestigiosa come appariva la scienza giuridica privatistica del tempo. Nei primi decenni del Novecento, di fronte all’emergere di nuovi soggetti giuridici, dinanzi a una legislazione che spesso mostra segni di inadeguatezza e cecità, Romano privilegia il valore dell’amministrazione, delle sue tecniche, delle sue procedure, delle sue finalità. Tale scelta gli permette di inserire i nuovi corpi sociali all’interno dell’istituzione Stato, di assicurare un pluralismo delle fonti normative, di garantire una continuità logico giuridica all’intero ordinamento giuridico e alla sua evoluzione. È ovvio che a tale impostazione corrisponde, come ha notato Giovanni Tarello, una ideologia di conservazione che guarda più al ruolo e ai riti del ceto dei giuristi, che non ai fermenti del nuovo [46] . Ma la forza e la garanzia dell’organizzazione – pensa Romano – è ciò che qualunque buon giurista deve riconoscere e salvaguardare di fronte ai pericoli dell’inorganizzato, e quindi del non giuridico, per cogliere i caratteri dello Stato e anche le manifestazioni della sua crisi. Il suo tentativo di percepire giuridicamente lo Stato come una sorta di “istituzione di istituzioni” serve soprattutto come strumento idoneo a dare dignità giuridica all’emergere tumultuoso di nuovi rapporti tra le organizzazioni sociali e politiche del tempo, a riconoscere i limiti delle concezioni giuridiche e politiche del liberalesimo ottocentesco, a superare le ambiguità dell’individualismo giuridico [47] in favore di nuove forme che – come è avvenuto per molti giuristi della sua generazione – la breve stagione del corporativismo sembrava poter assicurare [48] . Egli ha creduto, forse troppo e sino alla fine, alla capacità degli strumenti giuridici di guidare, assecondare e risolvere i conflitti.Per Mortati, appartenente a una generazione diversa da quella di Romano, e che assiste alla transizione verso la nuova forma repubblicana e alla ricostruzione civile, economica e morale dell’Italia dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, l’analisi sembra ormai concentrata verso altre direzioni. Nella vicenda italiana diventa fondamentale, ai suoi occhi, percepire gli effetti giuridici di importanti situazioni politiche che si possono così sintetizzare: a– avvento di una nuova forma costituzionale, non più fondata sull’idea esclusiva della statualità e sul potere di concessione di chi ne rappresenta l’unità, ma sul potere e la legittimazione di un’Assemblea costituente; b– affermazione dei partiti politici che sostituiscono gli antichi modelli dell’influenza dei notabili; c– espansione di un ceto di professionisti della politica; d– legame sempre più stretto tra organizzazione statuale e mondo imprenditoriale ed economico, fenomeno già manifestatosi in Italia negli anni trenta ma che i giuristi, tranne qualche eccezione, tardano a percepire [49] .Attraverso il ruolo primario, sia giuridico sia politico, riconosciuto alla funzione della costituzione [50] , Mortati, tra i primi, dà spessore scientifico ai nuovi modelli costituzionali e asseconda, attraverso gli studi sul potere di indirizzo politico, proprio il consolidarsi di una visione pluralistica dello Stato, fondata sull’equilibrio dei poteri e soprattutto sulla forma dello “Stato dei partiti”. Siamo, come si può capire, ormai lontani dagli intenti di Santi Romano e anche dal suo metodo. La utilizzazione della categoria del pluralismo non è infatti più un modo di essere del significato universale dell’istituzione, ma diventa fondamento di un nuovo sistema politico inteso come un grande insieme di poteri pubblici e privati, che annulla le vecchie distinzioni liberali tra politica e amministrazione e tra Stato e società nella forma della “costituzione in senso materiale”, per ricordare il titolo di un famoso scritto di Mortati del 1940.La distinzione netta tra politica e diritto era il presupposto di partenza di Romano; la confluenza tra politica e diritto è il punto d’arrivo di Mortati che riconosce all’accordo tra la pluralità dei partiti, tipica del regime democratico, il fondamento ideologico della complessità delle nuove democrazie.Costituzione e partito politico vanno sempre più sostituendo il fondamento di legittimazione dello Stato, la cui sovranità, a partire dalla raggiunta unità nazionale ottocentesca, si era retta sull’indipendenza dell’ammi­nistrazione e sulla forza della legge. Mortati percepisce la crisi di un tale modello e opera energicamente per la sua sostituzione con un sistema dove Stato comunità e Stato persona si influenzino reciprocamente; il che dà luogo a nuove forme di organizzazione giuridica e sociale e ridisegna parzialmente il sistema delle fonti normative e il controllo della loro legittimità. È ovvio che, in un quadro così complesso e per alcuni versi discutibile, le teorie istituzionaliste restino sullo sfondo, siano il fondamento remoto della costruzione ma non l’espressione manifesta di quella costruzione.Anche in un autore inquieto e moderno come Cesarini Sforza, gli elementi fondamentali del fenomeno giuridico sono in primo luogo le norme giuridiche e non meno importanti di esse vi sono le azioni che esse devono regolare. Il Cesarini così spiega la distinzione e la complementarità di questi due aspetti dell’esperienza giuridica: « è appunto la combinazione delle regole relative a un determinato nucleo di contegni, o fenomeno giuridico che esprime la struttura di questo fenomeno; e le concrete azioni alla cui verificazione sono diretti i voleri formulati nelle regole rappresentano il fine delle regole stesse, o la funzione del fenomeno» [51] . In questo modo struttura e funzione, regola e azione, spiegherebbero per il Cesarini la trasformazione degli istituti e il diverso strutturarsi dell’esperienza giuridica nella sua globalità. Il Costa vede in questo la tendenza ad un esito realistico della teoria cesariniana del diritto, ma sottolinea altresì come adesso il Cesarini avrebbe dovuto affrontare il tema positivistico di per certo ancora attuale della distinzione tra forma e materia.Secondo il nostro autore la forma era rappresentata dalla struttura, mentre le azioni rappresentavano il contenuto, la materia. Testualmente così si esprimeva il Cesarini: «Ma come struttura e funzione di un fenomeno sono impensabili l’una indipendentemente dall’altra, perché sono originariamente la stessa cosa…così la forma è impensabile indipendentemente dalla materia giuridica…Ora tutti i fenomeni giuridici hanno una forma unica, quella appunto che li distingue dagli altri fenomeni, sia del mondo spirituale, sia del mondo fisico, che sono oggetto di altre scienze, ma questa unicità di forma non è che il riflesso dell’unicità della materia; in altre parole, essi hanno tutti la medesima fondamentale struttura che è quella in cui necessariamente si presentano le attività pratiche che costituiscono il loro contenuto» [52] .La forma della giuridicità raggruppava secondo il Cesarini tutta una serie di azioni aventi in comune il medesimo ambito, rendendole incompatibili con qualsiasi altro punto di vista. In questo modo ogni oggetto poteva essere analizzato sotto molteplici punti di vista, infatti la materia non esisteva, se non in quanto espressa in una forma che sarebbe potuta essere non solo giuridica ma anche economica, politica, ecc.. In questo senso la giuridicità non avrebbe per il nostro autore una posizione di privilegio se messa a confronto con l’economicità o la politicità apparendo piuttosto come una delle possibili forme dei fenomeni, tra loro incomunicanti.La forma giuridica delle attività che il Cesarini chiamava col termine di “costante giuridica fondamentale”, consisteva in un rapporto di interazione tra le volontà individuale che portava alla cooperazione tra soggetti per il raggiungimento di determinati fini; «sicché la cooperazione consiste in un incrocio di regolarità e di fini per cui, benché l’uno degli individui associati si comporti secondo una regola che esprime il volere dell’altro individuo e quindi attui il fine proprio di costui pure viene attuato anche il suo fine, appunto perché lo attua l’altro, che si comporta secondo la regola esprimente il volere del primo» [53] .

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