Cosa resta dell’istituzionalismo giuridico?
di Aristide Tanzi
Nel campo dell’esperienza giuridica, infatti, è forte l’influenza di suggestione del linguaggio, che esprime interessi e problemi inerenti alla vita concreta dell’uomo e della società. Così l’analogia, considerata come identità per mezzo della svalutazione degli elementi differenziatori, è alla base del concetto di finzione; attraverso di essa si considera uguale ciò che non lo è, in quanto «subordina un concetto di specie ad altro concetto di specie, anziché ad un comune concetto di genere». Il legislatore si serve di finzioni, che si risolvono in identità, per mezzo delle quali vengono collegate uguali conseguenze a fattispecie diverse, che, così facendo, si identificano in relazione agli effetti. Le finzioni legislative si collegano alla volontà di evitare brusche fratture con la tradizione, in risposta allo spirito conservatore degli ordinamenti giuridici.Non si può negare valore teorico alla giurisprudenza, né negarle la qualifica di scienza e neanche isolarla dalle altre scienze. Infatti, «se il conoscere è pure azione, esso è insieme e inoltre guida dell’azione» [37] , per cui non vi è separazione, ma semplice differenza tra le scienze utilizzabili dalla prassi e quelle che si traducono in prassi. Tale differenza non è assoluta; ogni scienza è legata alla prassi in quanto tende ad essa, ma, al di là di questo elemento comune, le scienze teoretiche non hanno contatti con la prassi, quelle pratiche non perdono mai tale contatto – ed in questo sta la differenza funzionale e strutturale.Se ogni scienza si pone il problema dell’utilità dei suoi concetti, a maggior ragione deve farlo la giurisprudenza. «Una distinzione giuridica che non sia legata a esigenze di ordine pratico, immediate o mediate, non è soltanto inutile, nel senso più lato, ma porta ad una errata conoscenza; è, infatti, illusione di conoscenza (giuridica)…Nel tempo stesso, dunque, è praticamente inutile e teoricamente errata» [38] . D’altra parte se la giurisprudenza è vera scienza, non può sottrarsi al rigore metodologico di ogni scienza, per cui sarà utile il richiamo dei metodi di osservazione e classificazione dei fatti e costruzione del mondo scientifico, propri delle scienze naturali, ed anche dei metodi di ricerca e di critica delle fonti, propri della storiografia; sarà anche necessaria «la creazione e il retto uso di un linguaggio tecnico, la precisa delineazione di classificazioni e concetti, l’impiego esatto dello strumento logico» [39] .Ogni proposizione normativa viene a porre in termini linguistici un dato problema, fornendone la risoluzione e prospettando per il futuro una regola. Quindi, il concetto, espresso in forma verbale, presenta il problema e la sua risoluzione, per cui «il sistema dei concetti presenta la medesima fisionomia e rispecchia in un istante tutto l’ordinamento giuridico per un istante fermato nel moto della storia, nel quale, reintegrandosi, riacquista la sua concreta realtà e forza vitale». Il giurista ha il compito della costruzione del sistema, per svolgere il quale si serve di strumenti tecnici, che gli permettono di mettere ordine nella complessità delle norme giuridiche, che sono variabili e legate al divenire dell’esperienza giuridica. La costruzione dei concetti non risponde solo ad un’esigenza conoscitiva, ma ha lo scopo pratico di risolvere i problemi inerenti ai vari interessi e comportamenti umani, quindi è rivolta a fini pratici, non solo teorici [40] . Se si eliminasse il sistema si avrebbe un atomismo normativo che renderebbe inutile ogni applicazione delle norme, che, isolate l’una dall’altra, perderebbero ogni utilità pratica. I principi che disciplinano l’applicazione della legge, come quelli dell’analogia legis e iuris, hanno lo scopo di superare l’atomismo e di permettere la formazione di un sistema unitario ed elastico. La concettualizzazione porta necessariamente, per Pugliatti, alla verbalizzazione dell’esperienza. La funzione del linguaggio è quella di essere in continuo rapporto con ogni forma del conoscibile; la lingua non deriva dall’arbitrio, ma è esperienza istituzionalizzata, che svolge «l’essenziale funzione per la quale è creatrice della storia, cioè di azione umana illuminata dal pensiero» [41] . Relativamente alle indagini nel campo del diritto, le parole sono necessarie, non in se stesse, ma in quanto «rappresentano nuclei di esperienza umana; in quanto attengono alla vita degli uomini e ai loro rapporti sociali, negli aspetti più svariati». 6.2 Aspetti dei rapporti tra istituzionalismo giuridico e istituzionalismo economicoIl confronto tra istituzionalismo giuridico e istituzionalismo economico è invece più articolato e complesso. Sono stati soprattutto i realisti americani, nella loro rivolta, intorno al 1930, contro il concettualismo giuridico (ed in particolare contro l’idea individualistica del contratto e della proprietà) a giungere a posizioni molto vicine a quelle perseguite dai cosiddetti economisti istituzionalisti.Alessandro Giuliani (1925-1997), già sul finire degli anni ‘50, in un saggio importante che ha fornito un’attenta chiave interpretativa di tanti aspetti di quel movimento, parlava a proposito del realismo americano di metodo “istituzionalistico” [42] ; c’era infatti, in alcuni realisti, un costante riferimento al concetto e al ruolo di istituzione. Soprattutto attraverso l’opera di demistificazione compiuta da uno dei suoi fondatori, K. Llewellyn, il diritto infatti veniva concepito come pienamente «conoscibile se considerato come un intero (as a whole), e precisamente come a going institution». Llewellyn, mentre tentava di indagare il diritto nella sua interezza e totalità, sostituendo al metodo analitico il più raffinato ed evoluto metodo istituzionalistico, trovava la sua fonte d’ispirazione nello storicismo economico tedesco così come era stato recepito da alcuni economisti americani, quali Veblen, Ely, Commons. Per costoro «non esistono leggi economiche universalmente valide, e pertanto non esiste una scienza economica che abbia un valore generale: ogni legge è valida solo nell’ambito di una particolare istituzione». L’istituzionalismo, soprattutto con Commons, affermava che anche la economia non deve essere intesa solo come una scienza di mezzi, ma deve occuparsi essenzialmente degli “scopi”: il diritto in questa concezione appare un importante mezzo di controllo sociale, una tecnica insomma al servizio di questi scopi. Una tale scuola di pensiero avrebbe visto in Commons uno dei principali consulenti economici durante il New Deal rooseveltiano, in Mitchell uno dei massimi studiosi dei cicli economici e il fondatore e direttore del prestigioso National Bureau of Economic Research statunitense, in Galbraith un consulente di differenti amministrazioni democratiche e in Myrdal una figura prestigiosa del mondo accademico internazionale e un futuro premio Nobel per l’economia. L’economia istituzionalistica, con il suo interessamento anche per i problemi della società e del diritto – nota ancora Giuliani – offriva anche una base teorica al movimento realistico nel diritto, proprio negli anni della sua costituzione e della sua diffusione. È soprattutto per questo, per la ricerca di un nuovo metodo positivo e scientifico nella risoluzione dei problemi delle scienze sociali, che Llewellyn fin dal 1925 aveva rivolto la sua attenzione agli studi di economia [43] . «Il giurista — egli scriveva — sta protestando contro il dogma tradizionale che il diritto sia immutabile, eterno, accertabile sempre per mezzo della deduzione. Solo recentemente è giunto a concepirlo come una cosa in movimento, ed ha scoperto l’esistenza di fattori non giuridici che condizionano il suo sviluppo e la sua azione. Per l’economista al contrario tutto ciò è sempre stato ovvio». Gli economisti insomma si erano già rivolti al diritto per chiarire la natura dei fatti e della teoria economica; i giuristi dovevano rivolgersi all’economia per chiarire la natura e la funzione del diritto.Ma cosa può apprendere il giurista intorno alla natura stessa del diritto, rivolgendo la sua attenzione ai metodi dell’economia? Osservando il fenomeno giuridico dal punto di vista “dell’intero” (cioè l’istituzione), esso non appare a Llewellyn che un mezzo di controllo, una tecnica sociale (social engineering); se oggetto del controllo è soprattutto il comportamento degli uomini che vivono in gruppi sociali, è necessario inventare un meccanismo che sia idoneo per raggiungere il risultato col minimo sforzo. Gli “scopi” del diritto non sono quindi solo individuali, ma della società o dei gruppi sociali. Basti questa considerazione per intendere la contrapposizione ai principi tradizionali incorporati nella rule of law: in particolare la supremazia del diritto, e il suo legame con l’autonomia dell’individuo, che in gran parte della cultura giuridica americana ha sempre costituito una specie di dogma irrinunciabile. Soprattutto Veblen avrebbe suggerito pertanto, ai realisti impegnati a fondare una giurisprudenza descrittiva, che questa non poteva essere del tutto autonoma, perché per poter essere fonte di descrizione di regolarità sociale, doveva essere anche economica, sociologica, storica, psicologica. Llewellyn considera l’istituzione come il concetto principale e più importante delle scienze sociali e la descrive come «una attività organizzata costruita attorno ad un bisogno o ad un gruppo di bisogni. Un mestiere è un’istituzione minore. L’istituzione maggiore si differenzia in quanto la presenza di un gruppo di bisogni è fondamentale per la continuazione della società con risultati tipici e complessi».Il punto di partenza di Llewellyn è rappresentato dalla teoria fondamentale dell’istituzione “legge – governo” [44] (law governement), comunemente chiamata teoria dei Law-Jobs. Certe necessità, certi bisogni (Jobs) sono necessari a un gruppo sociale per la sua stessa sopravvivenza e per il raggiungimento degli scopi che il gruppo si è prefissato. Questa concezione si può applicare sia a gruppi di modeste dimensioni – come una semplice coppia – sia a gruppi più grandi e complessi: una nazione, uno Stato o la stessa comunità internazionale. È riscontrabile in gruppi con finalità limitate (come una squadra di calcio) o in gruppi che hanno relazioni complesse con il mondo esterno e con la esistenza di tutti i loro membri (come una famiglia o una tribù). I bisogni nascono da varie sfaccettature della natura umana; infatti gli esseri umani hanno esigenze, interessi, che a volte tendono ad essere incompatibili tra loro. Questi impulsi, che Llewellyn chiama divisive urges, sono chiaramente fonte di potenziali conflitti, estremamente pericolosi per la sopravvivenza del gruppo. La prevenzione o la risoluzione di tali conflitti sono condizioni necessarie per la esistenza e durata del gruppo.Llewellyn opera la seguente classificazione a proposito degli strumenti fondamentali affinché una istituzione si sviluppi e si consolidi:1- necessità di risoluzione dei casi difficoltosi;2- possibilità di razionalizzazione preventiva del comportamento e delle aspettative;3- razionalizzazione di comportamenti e aspettative al fine di permetterne le trasformazioni;4- predisposizione dell’autorità e delle procedure relative per provvedimenti imperativi;5- approntamento di organi per la direzione e per gli incentivi del gruppo;6- necessità del metodo giuridico.I precetti e i principi, continua Llewellyn, devono inserirsi in quel sistema e devono essere utilizzati dagli uomini che li usano per i loro scopi. Anche la pratica fa parte di un sistema giuridico, ma deve essere collegata costantemente alle varie norme. Poiché gli uomini sono la linfa vitale del sistema giuridico, accanto ai Law – Jobs, si sviluppano tutte le professioni collegate al diritto: avvocati, consiglieri, giudici, legislatori.