Cosa resta dell’istituzionalismo giuridico?
di Aristide Tanzi
2. Significati diversi dell’istituzionalismo giuridico.
Un tentativo particolare, da parte di alcune correnti della scienza giuridica, è stato quello di ricondurre la genesi o il fondamento del diritto non solo a un momento formale e concettuale di esso, ma a un momento prevalentemente organizzativo, connesso alla stessa attività della società che, nel suo svolgersi, crea atti, procedimenti, situazioni che si mostrano rilevanti per il diritto. La ricerca del come si manifesta e si sviluppa il fenomeno giuridico, l’analisi delle strutture giuridiche legate alle forme di socialità – da quelle più semplici a quelle più complesse – caratterizzano, a vario titolo, tutte le cosiddette teorie “istituzionaliste” (e che alcuni definiscono istituzioniste) del diritto.
Con tale espressione si possono intendere, come dirò meglio, concezioni molto diverse per contenuto e metodo. Autori come i francesi Hauriou, Renard, Delos, Gurvitch (solo per alcuni aspetti definibile come istituzionalista), gli italiani Romano, Cesarini Sforza (qui l’istituzionalismo è limitato ad una sola fase del suo pensiero), Mortati e molti altri hanno infatti sviluppato, a volte in modo del tutto autonomo e personale, le proprie interpretazioni, partendo da alcune di quelle che possiamo riconoscere come le comuni esigenze e istanze dell’istituzionalismo. Esse si risolvono prevalentemente ma non esclusivamente nei seguenti momenti: a– l’inevitabile momento formale del diritto (l’importanza del quale spesso non viene messa in discussione) viene collegato ai presupposti organizzativi o empirici da cui trae alimento; b– viene riconosciuta spesso la capacità di creare diritto a tutti i gruppi sociali organizzati e insieme viene posta una maggiore attenzione alle implicazioni dialettiche che legano la società al diritto; c– è particolarmente valorizzata l’autonomia del concetto di diritto rispetto a quello di Stato che viene pertanto inteso solo come “uno” – anche se il più complesso – dei possibili luoghi di manifestazione del diritto. Poiché il problema di fondo, per gli istituzionalisti, è sempre quello di ancorare in qualche modo gli aspetti prescrittivi delle norme – che molti di loro non rifiutano – ad attività e situazioni (che possono essere storiche, politiche, fattuali), rimane sullo sfondo un problema che sembra quasi connaturato a quelle concezioni: il pericolo latente di confondere o sovrapporre gli aspetti descrittivi e gli aspetti prescrittivi nel diritto o, con parole più semplici, trascurare la distinzione tra il come si vengono a manifestare i fenomeni giuridici e le caratteristiche che quell’insieme di fenomeni deve avere per poter essere qualificato come giuridico. Questo problema, vera e propria spada di Damocle del giurista, si lega all’altro che emerge quando si fa riferimento, come spesso si verifica per alcuni istituzionalisti, al significato e al ruolo rilevante dell’ordinamento giuridico. Su questo tema, vastissimo è stato il dibattito, specie in Italia, nella cultura giuridica. Dirò solo, per necessità di sintesi, che due concezioni si contrappongono. Per la prima, definibile come intrinseca, l’ordinamento è un’unità reale ed effettiva, un fatto che come tale si autogiustifica e che è compito del giurista descrivere. Per la seconda, definibile come estrinseca, l’ordinamento non è una realtà data ma solo un modello, uno dei tanti modelli cui prima ho fatto cenno, un’astrazione o un modo di intendere o di vedere alcuni aspetti dell’esperienza giuridica, inserendola in alcune griglie interpretative [4] .Il concetto di “istituzione” è stato utilizzato, come è noto, in discipline e contesti molto diversi quali: l’economia, la sociologia, l’antropologia, la linguistica, la scienza politica, per ricordarne solo alcuni. Tutto questo, se da un lato è il sintomo di una sua perdurante vivezza, dall’altro influisce sulla sua precisione d’uso. Se si pensa che, pur volendo rimanere nell’ambito giuridico, la sua utilizzazione è molteplice, spesso non univoca anche semanticamente, è difficile non solo analizzarne le varianti ma è forse del tutto fuorviante. Giuseppe Lorini [5] ha recentemente proposto una classificazione dell’istituzionalismo giuridico secondo tre gruppi di teorie, cui corrisponderebbero anche tre sensi diversi di istituzione. 1) La concezione istituzionalista per antonomasia è quella di Maurice Hauriou e di Santi Romano. Da Hauriou l’istituzione è concepita come «un’idea d’opera o di impresa che si realizza e dura in un ambiente sociale»; da Romano è vista non come un principio astratto, un’esigenza razionale, ma come un «ente sociale» reale ed effettivo. 2) La teoria dell’istitutismo giuridico considera invece il diritto non come insieme di norme e di ordinamenti, ma soprattutto di istituti giuridici, che sono concepiti: o come una sorta di azioni coordinate, che costituiscono un «equilibrio tipico e costante di finalità che si fissano in un complesso di mezzi» oppure come costruzioni giuridiche. Il primo significato è quello presente nelle concezioni di Cesare Goretti, il secondo si rintraccia nei lavori del filosofo del diritto francese Jean Ray. 3) Una terza concezione del diritto come istituzione, e che viene qualificata come “neoistituzionalismo giuridico”, concepisce l’istituzione come dimensione di possibilità di una specie particolare di fatti che vengono indicati come “fatti istituzionali” e che non sono altro che fatti condizionati da regole; tale impostazione, diversa dalle precedenti due e non incompatibile con una visione normativistica del diritto, è presente nei lavori di Neil MacCormick e di Ota Weinberger. Alcuni degli scritti di questi autori sono apparsi in un lavoro pubblicato in Italia e intitolato Il diritto come istituzione [6] che ha fornito alla cultura filosofico giuridica italiana, durante l’ultimo decennio, l’occasione di un ulteriore approfondimento critico su tali temi. 3. Caratteristiche dell’istituzionalismoLa classificazione di Lorini è da considerare solo come un tentativo per riuscire a descrivere e intendere cose tra loro molto diverse, della quale situazione è lo stesso Lorini ad avvedersi. Se si dovesse procedere in realtà anche a una sommaria ricognizione di tutti i vari usi linguistici del lemma “istituzione”, tra le più conosciute dottrine istituzionaliste troveremmo utilizzazioni niente affatto omogenee, sia sotto il profilo contenutistico sia sotto quello del loro svolgimento storico. Si è giunti a distinguere vecchio e nuovo istituzionalismo [7] . In realtà, per fare solo esempi veloci, Romano si ispira a un senso di istituzione quale si era andato formando nel linguaggio canonistico [8] , travasato parzialmente anche nei provvedimenti legislativi e amministrativi dell’Italia ottocentesca post-unitaria, Gurvitch fa riferimento al concetto di istituzione della sociologia di Durkheim, Renard a quello della tradizione della filosofia giuridica di S. Tommaso [9] , Hauriou, a partire dai primi scritti sull’istituzione del 1906, alla tradizione della giurisprudenza amministrativa francese. Molti autori parlano di istituzione senza giungere a una teoria dell’ordinamento giuridico e del sistema giuridico, altri giungono a una identificazione – come fa Romano – tra istituzione e ordinamento giuridico. Ed ancora alcuni (scuola del diritto pubblico tedesco ottocentesco) hanno concepito l’istituzione come funzionale a rappresentare un centro di interessi pubblici, altri l’hanno inserita nella contrapposizione tra comunità, corpi sociali e apparati coercitivi statali. Le classificazioni e distinzioni potrebbero crescere a dismisura anche tenendo conto del fatto che molte tesi istituzionaliste hanno avuto un esclusivo rilievo per la filosofia e la sociologia e non possono essere applicate, se non a costo di forzature, alle scienze giuridiche.C’è inoltre da tenere presente che il concetto stesso di istituzione si è ulteriormente dilatato, rispetto a sessanta e più anni orsono, ed è divenuto d’uso corrente in contesti lontani da quelli propri del linguaggio giuridico o politico amministrativo. Si pensi ad alcune figure dell’associazionismo [10] , del volontariato, dei gruppi di pressione, di categorie professionali le più diverse, di movimenti sorti a difesa o tutela di interessi economici, giuridici, politici, sociali, anche ideologici, dove si fa un generico riferimento all’espressione: istituzione o istituzioni.Nell’analizzare le diverse concezioni istituzionaliste del diritto, troviamo, quindi, in esse ispirazioni non solo di segno diverso – cosa del tutto naturale – ma concezioni e metodi tra di loro molto distanti. Si è così potuto definire istituzionalista chi, di volta in volta, si è proclamato positivista, o giusnaturalista, o sociologo, o giurista realista; il che indica come sia difficile schematizzare anche le metodiche utilizzate oltre che gli esiti raggiunti.Non intendo elencare tutte le possibili connotazioni presenti nel modello istituzionalista del pensiero giuridico contemporaneo. Preferisco, attraverso un diretto riferimento al pensiero di quegli autori che sono rappresentativi di tali concezioni, indicare alcune caratteristiche che è possibile riconoscere come istituzionaliste. C’è qualcosa che accomuna, malgrado le diversità, tutti i più rappresentativi esponenti delle concezioni istituzionaliste, a vario titolo. Essi: 1- rifiutano una concezione che sia unicamente strutturale e formale del diritto, spesso assimilata al riduzionismo normativista, o che sia incentrata sull’idea esclusiva di comando; 2- ricollegano la genesi e la formazione del diritto a un momento anteriore alla sua formalizzazione e che è caratterizzato dal dispiegarsi di valori e attività giuridiche e dalla rilevanza assunta dall’organizzazione giuridica all’interno delle forze sociali; 3- rompono il nesso indissolubile e il rapporto di causalità tra Stato e diritto che erano propri di un certo positivismo giuridico, soprattutto di matrice statualista; 4- valorizzano alcune fonti di produzione normativa come la consuetudine, gli usi, la prassi amministrativa e giudiziaria rispetto a un diritto esclusivamente codificato; 5- rivolgono l’attenzione più a quelle norme che la dogmatica giuridica ha qualificato, per usare un’espressione un tempo molto in voga, come norme di organizzazione che non alle cosiddette norme di comportamento [11] .