ORDINE ED ESPERIENZA
LA TRADIZIONE GIURIDICA ORIENTALE: ISLAM, INDIA, CINA
di Rossella Bassanese

3. IL DIRITTO INDIANO

La notizia dell’esistenza di una cultura hindu caratterizzata da una letteratura ispirata dalla divinità e vista come fondamento del diritto risale alla seconda metà del secondo millennio avanti Cristo. L’anima di questa cultura, attraverso la continuità della consuetudine, è ancora vitale nell’India odierna.
L’analisi della dimensione giuridica del vastissimo subcontinente indiano è cosa complessa, essendo questo territorio da sempre in preda a tensioni dialettiche tra unità e diversità. In effetti l’India non fu mai patria esclusiva del popolo hindu, non originario del territorio indiano ma immigratovi intorno al 1500 a.C. .Residui tribali preariani permangono ancora oggi, tanto che nell’India odierna il diritto consuetudinario tribale gioca un ruolo molto importante nel sistema giuridico indiano.
Oggi si assiste al fenomeno dell’esistenza di un’unità artificiale del diritto indiano, posta come strumentale allo sviluppo di uno spirito nazionale . In questo contesto la più importante componente del sistema giuridico indiano è la Costituzione del 1950 che contiene le leggi generali dello stato federale. Queste ultime hanno, almeno in teoria, preso il posto delle norme prodotte dal sistema tradizionale basato sul principio della disuguaglianza di fronte alla legge. In realtà permangono tuttora, all’interno del sistema giuridico dell’India, fenomeni di "discriminazione a fini protettivi" dovuti all’esistenza di una legislazione legata all’esistenza di statuti personali .

3.1 La concezione del diritto.

Il termine sanscrito che richiama al concetto di legge è dharma . Più propriamente, esso designa, in una sintesi di elementi religiosi e sociali, i diritti e doveri dell’uomo in ogni campo della sua attività, le norme che dirigono il comportamento degli esseri tanto più sul piano religioso e morale quanto su quello sociale e giuridico.
Secondo la tradizione indiana le fonti del dharma sono quattro: la rivelazione (sruti ), la tradizione (smrti ), il comportamento delle persone colte e virtuose (sistacara), gli usi e costumi delle regioni, delle caste, delle famiglie (desajatikuladharma).
Il diritto tradizionale indiano è desumibile dalla lettura di una ricca letteratura che dalla fine del periodo vedico, cioè dal secolo VI a.C. circa, si estende fino al secolo XVIII. Le fonti più antiche del diritto indiano sono i Dharmasutra, "aforismi relativi alla legge". Questi testi, scritti in prosa, contengono, accanto alla trattazione di problemi dottrinali e religiosi, i primi embrioni di una dottrina giuridica, ovvero la definizione dei doveri delle quattro caste , alcune norme di natura economica e sociale, elementi di diritto civile e penale. Con l’affermarsi di scuole giuridiche specializzate, che tendono a codificare la materia legale in esposizioni ampie e particolareggiate, nascono quelli che si possono considerare veri e propri trattati di diritto, i Dharmasastra "Trattati giuridici", detti anche Smrti , basati sugli antichi Dharmasutra ma con un carattere più strettamente giuridico .
Queste fonti giuridiche, che costituiscono la base della giurisprudenza indiana, ebbero, a partire dal IX secolo d. C., un notevole numero di commentari, redatti con finalità critiche e coordinatrici .
Elementi di diritto si trovano in tutta la produzione letteraria dell’India, in particolare nella letteratura politica: l’Arthasastra, la cui nascita è indicata da alcuni studiosi nel IV secolo a C., da altri nel secolo III d. C., dedica ampio spazio alla procedura giudiziaria, alla definizione delle competenze dei funzionari e ai sistemi di punizione. In tutti prevale sempre il fondamento religioso.

3.2 I fondamenti del diritto hindu.

Nel diritto tradizionale hindu, il principe, investito di maestà e natura divina, è ordinatore del regno, tutore della legge, arbitro assoluto della giustizia; egli deve giudicare e punire, perseguitare il male, ricercare la verità attenendosi alle norme codificate nei trattati, considerarsi responsabile di un delitto impunito o di una condanna ingiusta. Al sovrano spetta il potere decisionale anche quando, col perfezionarsi dell’organismo statale, egli viene affiancato, nell’amministrazione della giustizia, da funzionari competenti. Il valore teorico, peraltro non escluso, dell’uguaglianza di ogni individuo di fronte alla legge, viene continuamente infirmato dalle prerogative castali che affiorano in ogni sezione del sistema giuridico indiano. Di taluni privilegi della casta brahmanica, protrattisi in India fino all’età moderna, si ha notizia già nei testi più antichi.
Le norme che disciplinano le istituzioni processuali sono molto precise. Le forme probatorie sono generalmente suddivise in umane e divine: le prime costituite dalla prova documentale e dalla prova orale dei testimoni, le seconde dal giuramento e dalle ordalie cui si ricorre nei casi dubbi o in mancanza di altre prove e talune forme di ordalie si sono conservate fino all’età moderna e contemporanea.
Le pene previste variano dalla semplice ammonizione all’esecuzione capitale. Una delle condanne più temute è l’espulsione dalla casta.
L’istituto familiare è oggetto di ampia trattazione giuridica: di tipo patriarcale, la famiglia è protetta e regolata da norme rigorose che condizionano la vita quotidiana dei suoi componenti, essendo considerata, quella famigliare, l’organizzazione fondamentale della società. Il matrimonio, da tutti i testi sempre teoricamente vietato fra persone di caste diverse, è generalmente considerato vincolo sacro e indissolubile .
Le norme che regolano la ripartizione del patrimonio e il diritto ereditario sottolineano la precedenza dei figli legittimi su quelli adottivi.
Pur nel susseguirsi delle dominazioni straniere che esercitarono il potere sui territori dell’India e che portarono con sé ciascuna le proprie consuetudini e ordinamenti, la legge indiana rimase sostanzialmente basata sugli antichi principi, soprattutto per la naturale e ancor oggi viva tendenza della mentalità hindu a conservare le originarie strutture in quanto consacrate dalla tradizione.
Nell’attuale Repubblica Indiana, infatti, l’ordinamento giuridico, nonostante necessari adeguamenti e introduzioni di nuove istituzioni, soprattutto sulla base della legislazione britannica, si è mantenuto fedele alle linee principali dell’antico sistema.

3.3 India ed Islam.

Durante il periodo della dominazione islamica del subcontinente indiano (1100-1600 circa), il diritto hindu non fu in alcun modo limitato dai nuovi governatori, i quali collocarono i centri nevralgici del loro potere nelle città. I Moghul ed i loro successori furono, in genere, dotati di un certo realismo politico finalizzato ad evitare rivolte popolari. I nuovi dominatori, infatti, si limitavano a riscossioni pecuniarie, all’amministrazione della giustizia penale e spesso lasciavano i regnanti hindu nei loro territori in cambio del pagamento di ammende.
Le città furono, dunque, le sedi giurisdizionali musulmane . Fuori di queste, le controversie erano regolate secondo le consuetudini di ogni comunità, senza che vi fosse una reale commistione tra i due sistemi giuridici, l’islamico e l’hindu, peraltro basati su principi molto diversi. Nell’Islam, infatti, Maometto rivela alla comunità la verità divina e dopo di lui non resta che l’interpretazione di questa volontà. L’autorità su cui si basa il diritto islamico è, dunque, unica e forte. Per contro l’ordine hindu è rivelato ad una pluralità di saggi i quali creano nuovi insegnamenti per la comunità locale. Dunque, nel secondo caso, siamo di fronte ad una autorità frantumata. In secondo luogo nel sistema giuridico islamico notiamo la presenza di giuristi, laddove essi sono assenti in quello hindu. Perché? La risposta è da ricercarsi nella diversa natura del pensiero sul rapporto uomo-tutto. Nell’Islam il rapporto centrale è quello tra Dio e uomo. Qui Allah è il principio che muove tutto e l’uomo, completamente sottomesso alla volontà di Dio, non ha alcuna possibilità di influire sul corso del mondo. Ancora una volta in contrasto con questa percezione, l’uomo hindu è in rapporto diretto e biunivoco con il tutto. Ogni azione umana ha una conseguenza diretta sull’ordine cosmico il quale è risultato della sommatoria di tutti gli atti individuali. L’uomo è necessario per la realizzazione del dharma. Perciò, nel diritto hindu non vi è, idealmente, bisogno dei giuristi dato che ogni uomo deve comportarsi secondo il proprio dharma.

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