DIRITTO E DIRITTI NELLA SOCIETÀ TRANSNAZIONALE
di Paolo Silvestri
In secondo luogo si tenta di fare una ricognizione di "Ciò che il diritto globale non è", attraverso una comparazione con il modello statale di diritto. La prima diversità del diritto globale (che l’Autrice ha chiamato con diversi nomi, quali ad esempio "giuridicità") "sta nel fatto che essa non risponde più a un modello e a precisi requisiti". Espone criticamente le ragioni perché questa nuova forma di giuridicità induce "a una definitiva presa di distanza dal modello sistemico e "autoreferenziale""; in particolar modo quando afferma che "quello che avviene nel diritto globale è proprio la negazione della logica autopoietica: atti e fatti non giuridici si impongono come giuridici e, piuttosto che essere ammessi alla giuridicità da soggetti ufficiali, sono essi a costituire dei soggetti non ufficiali come soggetti giuridici". Oppure quando sostiene che tutte le pretese delle modellizzazioni europee-continentali e gli approcci "che tendevano a vedere il diritto come "scienza" o come "sistema"", e che appoggiavano su "presupposti di chiusura, di specializzazione, di coerenza, di completezza, di ordine", "sono in gran parte disattesi". In sintesi:
a) "Il diritto globale non è più un monopolio [statale]": "siamo di fronte a svariati fenomeni di co-titolarità del diritto" e "il diritto non è più sottratto alla competizione. Il contesto di "apertura" che caratterizza l’ordine giuridico globale traccia un ambiente altamente competitivo, dove la coperta della giuridicità, ancorché molto allargata, viene sempre più attirata da varie parti". Inoltre, "è lo stesso diritto che si caratterizza come un prodotto sempre negoziabile, contendibile e aperto". Ora, precisa la sociologa del diritto, "si può parlare di competizione giuridica in vari sensi": tra soggetti giuridici e non giuridici, tra diverse categorie di giuristi, tra diverse aree o specializzazioni del diritto e infine tra pubblico e privato; anche se, in quest’ultima competizione, sembrerebbe, come al solito, che sia il secondo ad avere la meglio sul primo, visto che "il diritto, anche quello tradizionalmente considerato "pubblico", viene sempre più esposto a variabili e modelli privati, specie quelli propri del mercato: per raggiungere determinati fini, invece di vincolare soggetti a norme e criteri decisi da chi sta in alto, si cerca di incentivare i soggetti a perseguire il proprio interesse".
b) "Il diritto globale non risponde più a una logica "attiva", ma a una logica "reattiva"". Cioè, viene meno, di fatto, la possibilità di un "costruttivismo giuridico" e di imporre valori da realizzare attraverso il diritto. Il diritto globale è "in gran parte affidato all’attivismo e agli input di soggetti pubblici e privati di vario genere che, al di là di una volontà centralizzata, cercano di raggiungere i propri obiettivi". Del resto, la Ferrarese dichiara di condividere, citandola, l’opinione di Z. Bauman: "l’idea di globalizzazione fa riferimento non tanto a ciò che tutti noi, o almeno quelli tra noi dotati di maggiore iniziativa e risorse, vorremmo o spereremmo di fare; bensì a ciò che ci sta accadendo. L’idea di "globalizzazione" si riferisce espressamente alle forze anonime di von Wright, che operano nella vasta "terra di nessuno" – nebbiosa e melmosa, impossibile da attraversare e da dominare, al di sopra delle capacità che ciascuno di noi ha di progettare e agire". Tuttavia, rileva l’Autrice, il fatto "che il diritto abbia percorsi in gran parte affidati all’attivismo di soggetti privati non significa la scomparsa di temi di pubblico interesse dall’agenda giuridica". Infatti, Come le NGOs potrebbero essere una sorta di contropotere alle corporations (nonostante i dubbi espressi in via di fatto) "la globalizzazione crea nuovi spazi di azione per quella istituzione unicamente e tipicamente americana che è la public interest law firm, contraltare simbolico delle corporate law firms, nata per rispondere a un’idea di giustizia basata sul presupposto di equal access to justice".
c) "Il diritto globale non è più identificabile con le norme scritte"; tema che approfondisce nel quarto capitolo.
d) "Il diritto globale non è più tanto un procedimento quanto un processo". Come scrive in premessa: "oggi il diritto non è più un prodotto finito e le norme non sono più tanto precetti di comportamento, quanto regole-cornice, che possono recepire contenuti diversi e adattarsi a contesti variabili. Il diritto globale si propone come un reticolo di "regole del gioco" che definiscono vincoli, ma danno altresì spazi e libertà al "giocatore" giuridico".
Problema: non si capisce bene chi stabilisce queste "regole del gioco", né perché in un contesto dominato dal continuo mutamento e dalla logica dell’interesse qualcuno dovrebbe rispettarle.
Queste sono le ragioni per cui si vanno configurando "molteplici diritti" ""delle possibilità""; in questo contesto ritorna la similitudine, fatti i dovuti distinguo, con il pluralismo giuridico della società medievale. Tuttavia, la Ferrarese rinviene anche una opposta tendenza che è quella dettata dalla necessità di un controllo globale vista l’impotenza degli stati. Si tratta cioè della "ricomposizione del diritto in forma unitaria, come espressione di un ordine "della necessità". Il diritto globale tende a ricomporsi in forma centralizzata e unitaria laddove si fa carico di esprimere un ordine necessario e ineludibile, che può essere imposto dall’esterno, anche tramite la coercizione, per la tutela di un bene superiore". Questo è il caso dei diritti umani e della tutela dell’ambiente. "Se il diritto delle possibilità tenda a porsi per via contrattuale, il diritto della necessità, volta a volta, sembra atteggiarsi a diritto costituzionale, a diritto penale o a diritto giudiziario". La sociologa del diritto inoltre ricorda che pluralizzazione e uniformazione si intrecciano e procedono di pari passo, anche scontrandosi a volte, come nei casi in cui la tendenza all’unità è basata su un "facile universalismo che trova in un concetto indiscriminato di individuo il suo metro", non riesce per questo ad affrontare gli attuali problemi della "cittadinanza multiculturale" e delle crescenti richieste di riconoscimento delle diversità.
Problema: come si vede, e come si diceva all’inizio di questo capitolo, a tutta questa ricognizione un "realista" potrebbe obiettare che la distinzione "diritto delle possibilità" / "diritto della necessità" è molto più sfumata. E ciò, sia perché nel caso dei più deboli o dei meno potenti la possibilità può coincidere con la necessità, sia – e soprattutto per ciò che concerne il problema del potere – perché il "diritto della necessità" può essere il prodotto dell’imposizione di chi ha maggiori possibilità di (e forze per) imporlo come necessità nell’agenda internazionale, sovranazionale o transnazionale che dir si voglia. Gli Stati Uniti, direbbe il realista, hanno dimostrato benissimo chi è che decide qual’è la necessità e quali sono le eccezioni al "diritto della necessità", sia nel caso dei diritti umani, sia ancor più dichiaratamente nel caso della tutela dell’ambiente.