DIRITTO E DIRITTI NELLA SOCIETÀ TRANSNAZIONALE
di Paolo Silvestri

Problema: Queste considerazioni sollevano questioni che potrebbero mettere in discussione la teoria della "sovranità del consumatore" (torneremo su questa domanda anche in altra sede) per la quale quest’ultimo attraverso le sue ‘scelte’ legittima i ‘migliori’ sul mercato. Di fatti, fa riflettere la pubblicità che all’indomani della crisi delle "tigri asiatiche" mostrava un bicchiere riempito a metà con il sottotitolo: "La ripresa dell’economia dipende solo da voi. Siate ottimisti, tornate a consumare"; così come il sindaco di New York, dopo la crisi ingeneratasi dall’"11 settembre", scese in piazza per dire ai suoi cittadini "non preoccupatevi, abbiate fiducia e tornate a consumare". Il consumatore dipendendo sempre più dal suo atto di consumo sembra trasformare la sua signoria in servitù; e il mercato, dal canto suo, dipende sempre più (e a maggior ragione nei momenti di crisi) dalla domanda e dalla ‘fiducia’ del (o da una richiesta di fede al) consumatore. In tutto questo si profila un paradosso: il nichilismo che ad alcuni è sembrato la reazione all’ottimistica fiducia nel progresso, sembra poter essere esorcizzato solo a patto di una fede illimitata nel progresso stesso.
La Ferrarese si sofferma poi sull’impatto della globalizzazione sugli individui e sulle istituzioni. Sotterranea è sempre l’intuizione di Schumpeter circa "la capacità del capitalismo di forgiare e riforgiare le forme istituzionali". La ristrutturazione dei rapporti spaziali produce "effetti a un doppio livello: ossia, sia spingendo una riorganizzazione territoriale della sfera giuridica, sia modificando la psicologia giuridica dei soggetti". La sociologa-giurista fa riferimento al noto fenomeno per cui venendo meno le barriere spaziali diviene possibile scegliere i luoghi a seconda delle diverse convenienze (estetiche, di svago, o economiche) che offrono. Per cui le grandi transnational corporations che conoscono e sfruttano da tempo questo fenomeno, possono scegliere il territorio su cui installare la propria attività sulla base di diverse variabili tra cui centrale è la caratteristica istituzionale. Così facendo, tuttavia, mettono le regole giuridiche dei diversi territori in concorrenza fra loro, con il rischio che sia attui una concorrenza "al ribasso". A questo proposito si può ricordare come da altri autori il fenomeno è stato similmente descritto con termini quali, ad esempio, "law shopping" o "mercatizzazione delle istituzioni" .
Tra le altre conseguenze istituzionali vi è quella che riguarda le fonti del diritto: si tratta "di una complessiva "riorganizzazione del modo di produzione delle regole" (Dezalay)". In buona parte ciò dipende dal ruolo sempre più rilevante "svolto da professionisti ed "esperti" nel mondo giuridico, rispetto al ruolo svolto da giudici e accademie. Persino il ruolo dei legislatori appare sempre più insidiato dal giurista esperto". Questi giuristi esperti lavorano su due fronti: "possono organizzarsi nelle cosiddette corporate law firm" al servizio delle grandi imprese, oppure "possono agire in quanto singoli nelle funzioni di arbitri, per risolvere grandi dispute d’affari". "Ecco le due grandi funzioni del sistema giuridico, la funzione legislativa e la funzione giudiziaria, servite à la carte". Le corporate law firms fanno sì che cosiddetta lex mercatoria non sia più "un corpo di misure giuridiche elaborate dalla tradizione del mondo commerciale e che esprime usi e consuetudini; diventa anzi piuttosto il suo contrario, ossia un universo normativo estremamente mobile, soggetto a continue manipolazioni e ritocchi che sono paralleli alla estrema mobilità del mercato". Comunque, in entrambi i casi la grande conseguenza è una "sensibile tendenza alla privatizzazione e al decentramento della produzione giuridica". Inoltre, il diritto che si va configurando come "diritto à la carte", smarrisce la sua funzione "razionalizzante" (come avrebbe detto Weber) che avrebbe dovuto garantire certezza e calcolabilità al mondo degli affari. In aggiunta, "è un diritto a cui basta funzionare e risolvere problemi specifici e locali. Lo stesso problema della giustificabilità delle regole […] si fa secondario, nascosto e quasi irrilevante. Del resto, il problema della legittimazione diventa invisibile, via via che la stessa figura del legislatore, tradizionalmente solenne, si rifrange in una molteplicità di soggetti legislatori sempre più privati, anonimi e invisibili".
Nonostante tutto, ad avviso dell’Autrice, "è l’istituzione giudiziaria, per la sua attitudine a funzionare come istituzione di raccordo tra casi particolari e istanze generali, tra pubblico e privato, tra locale globale, che si candida a essere l’istituzione centrale e funzionale rispetto ai percorsi della globalizzazione". Torna dunque l’idea chiave del libro per cui la portata innovatrice della globalizzazione sfidi più i paesi di civil law che quelli di common law.
Problema: non sembra un paradosso il fatto che le grandi imprese si servano e hanno bisogno di un diritto "razionale" mentre simultaneamente contribuiscono a renderlo sempre più incerto e imprevedibile? Un marxista potrebbe rispondere che è un paradosso solo apparente: il "Maestro" l’aveva già intuito: il capitalismo contiene in sé i germi della sua distruzione (idea che Schumpeter, più volte citato nel testo, aveva sviluppato arrivando a decretare la fine del capitalismo). Intuizione ancora difficile da sostenere, se non altro perché in tutto questo tempo, e nonostante tutto, i geni della sopravvivenza si sono dimostrati superiori ai germi dell'(auto)distruzione. Per cui la domanda giusta sembrerebbe un’altra: come riesce il capitalismo a sopravvivere?
Un altro problema è che visto lo strapotere delle multinazionali sin qui evidenziato dall’Autrice, chi ci assicura che l’istituzione giudiziaria non possa essere asservita anch’essa al calcolo economico?
Le constatazioni sin qui fatte, tuttavia, rinviano, come vedremo, a un problema più fondamentale che è quello del potere. Un problema che l’Autrice non elude ma che, ad avviso di chi scrive, non viene portato alle estreme conseguenze, o, perlomeno, non viene sufficientemente approfondito così come esposto ed affrontato qui di seguito.
L’idea di fondo con cui la Ferrarese si congeda dal capitolo è che, sulla scorta delle indicazioni di Foucault e delle ricostruzioni di Hirschman, la globalizzazione conduca a "ordini politici "freddi"" (come recita il titolo dell’ultimo paragrafo). "Il nuovo potere assunto dall’economia di mercato può essere visto come un ulteriore capitolo di quella "tecnologia" del potere ritratta da Foucault, che già a partire dal XVII-XVIII secolo "ha cominciato a esercitarsi attraverso la produzione e la prestazione". Questo potere è "più importante delle riforme costituzionali e delle nuove forme di governo", osserva Foucault, e diventa capace di "arrivare fino al corpo degli individui, ai loro gesti, ai loro atteggiamenti, ai loro comportamenti di tutti giorni". Insomma, per un verso l’economia si fa più seducente della politica, per un altro sembra dotata di una più diretta rilevanza per la vita quotidiana degli individui. A questo cambiamento si allude quando si osserva che il cittadino si è ormai trasformato in consumatore o che la cittadinanza assume un profilo sempre più "basso". Usando invece le categorie di Hirschman la sociologa-giurista così si esprime: "il lungo periodo di forza incontrastata e di potenza degli stati nella storia politica europea, può essere visto dunque come fase intermedia tra l’epoca in cui il teatro del mondo è stato retto dalle "passioni" e l’epoca di un Occidente che si annuncia, con la globalizzazione, compiutamente egemonizzato dagli interessi". "Con la globalizzazione economica, che crea le condizioni di una sempre maggiore indipendenza dei mercati dagli stati, gli stati diventano soggetti sempre più freddi e raziocinanti, che parlano sempre più scopertamente quel linguaggio degli interessi che è relativamente svincolato dai loro confini e dalle ragioni della sovranità".

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