DIRITTO E DIRITTI NELLA SOCIETÀ TRANSNAZIONALE
di Paolo Silvestri

Per il quarto capitolo – "Il diritto globale tra oralità e scrittura" -, avendo già annunciato molti dei temi in esso contenuti, si ritiene sufficiente la sintesi fatta dall’Autrice in premessa. In esso si "guarda al diritto globale soprattutto sotto il profilo delle sue valenze comunicative, che assumono vitale importanza per assolvere il bisogno di connessione tra zone distanti del mondo. L’indagine sui cambiamenti nel linguaggio del diritto indotti dalla globalizzazione induce a fare i conti con le diverse tradizioni che stanno dietro le due grandi famiglie giuridiche occidentali e a riscoprire che, mentre il diritto continentale è stato prevalentemente orientato dal modello della scrittura, il common law, invece, nonostante l’incontro con la scrittura, ha sempre continuato a mantenere significative aperture all’oralità. Utilizzando una prospettiva di law and economics, la globalizzazione del diritto viene vista come una crescente capacità del diritto di utilizzare entrambe le "tecnologie della parola" per acquisire maggiore efficacia comunicativa e ridurre i costi di transazione. Così il diritto globale diventa sempre più un diritto scritto-orale, quasi un grande dialetto transnazionale, capace di far comunicare zone distanti diverse, ma che ognuno declina a suo modo e con le proprie inflessioni. Anche attraverso questa strada, una volta ancora, il diritto globale si dimostra emulo del modello giuridico americano".

Per una conclusione…
All’Autrice, in sintesi, potrebbero rivolgersi le stesse critiche che anni or sono potevano essere rivolte alla scuola di Francoforte: se tutto è potere (e/o alienazione, sfruttamento, ecc.) allora, nulla lo è più, perché il potere sarebbe un fatto assolutamente naturale. Per di più, se così fosse, perché scrivere? Perché leggere?, come si chiede Francesco Gentile nel fondo del primo numero di questa rivista (1/2002), non avrebbe alcun senso né utilità de-scrivere i fatti del potere, così come scrivere un saggio significherebbe implicitamente ammettere che lo si fa solo per brama di potere.
Ma forse il problema del potere è anche un altro. In molti libri di storia studiati nelle scuole si ha l’impressione che questi narrino le vicende del potere e/o il potere nella storia. Viene da chiedersi se quelli che racconteranno la storia del XXI secolo non descriveranno prevalentemente la storia del potere economico e finanziario.
Gregory Bateson nel suo libro "Mente e natura. Un’unità necessaria" ha inserito in appendice una comunicazione inviata ai regents dell’Università della California nell’agosto del 1978, in cui cerca di spiegare perché "gli attuali processi educativi sono, dal punto di vista dello studente, una "fregatura"":
"È una questione di obsolescenza. Mentre buona parte di ciò che le università insegnano oggi è nuovo e aggiornato, i presupposti o premesse di pensiero su cui si basa tutto il nostro insegnamento sono antiquati e, a mio parere, obsoleti.
Mi riferisco a nozioni quali: a) Il dualismo cartesiano che separa la ‘mente’ dalla ‘materia’. b) Lo strano fisicalismo delle metafore che usiamo per descrivere e spiegare i fenomeni mentali: ‘potenza’, ‘energia’, ‘forze sociali’, ecc. c) Il nostro assunto antiestetico, derivato dall’importanza che un tempo Bacone, Locke e Newton attribuirono alle scienze fisiche; cioè che tutti i fenomeni (compresi quelli mentali) possono e devono essere studiati e valutati in termini quantitativi.
La visione del mondo – cioè l’epistemologia latente e in parte inconscia – generata dall’insieme di queste idee è superata" da diversi punti di vista: "a) Dal punto di vista pragmatico è chiaro che queste premesse e i loro corollari portano all’avidità, a un mostruoso eccesso di crescita, alla guerra, alla tirannide e all’inquinamento. In questo senso, le nostre premesse si dimostrano false ogni giorno, e di ciò gli studenti si rendono in parte conto. b) Dal punto di vista intellettuale, queste premesse sono obsolete in quanto la teoria dei sistemi, la cibernetica, la medicina olistica, l’ecologia e la psicologia della Gestalt offrono modi manifestamente migliori di comprendere il mondo della biologia e del comportamento […]".
Avviandosi verso la conclusione afferma: "[…] non è tanto il ‘potere’, la ‘potenza’, che corrompe quanto il mito della ‘potenza’. Si è già detto che si deve diffidare della ‘potenza’, così come dell”energia’, della ‘tensione’ e delle altre metafore fisiche: tra esse, la ‘potenza’ è una delle più pericolose. Chi si strugge per una astrazione mitica non potrà mai essere saziato! Noi insegnanti non dovremmo alimentare questo mito […]".
Conclude con questa domanda: "come insegnanti siamo saggi?".

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