PROLEGOMENI D’INFORMATICA GIURIDICA
di Ugo Pagallo

9. Tra auto-matismi e auto-nomia: teleologia della virtualità

Una delle maggiori difficoltà incontrate dagli studi d’informatica giuridica, nasce dal "combinato disposto" dei modelli matematici impliciti nei media dell’interazione comunicativa dei soggetti, con la peculiarità delle singole fattispecie sorte alle frontiere tecnologiche del diritto. Innanzi al rischio che il giurista si accontenti di elencare le particolarità delle singole rubriche (con notifiche e firme elettroniche, contratti ed atti telematici, privacy e copyright digitali), è necessario (ri)trovare il principio che doti di senso l’intera casistica dell’informatizzazione. A differenza dei giuristi che si limitano, spesso, a travasare le nuove fattispecie nelle vecchie categorie del formalismo e/o del normativismo novecentesco, è opportuno ripensare al "fine" che ha ispirato generalmente le ricostruzioni della dogmatica.
Sul piano logico, muovendo dalle versione relazionale, non più gerarchica, del concetto di fondazione, abbiamo già sottolineato che la rappresentazione reticolare dell’ordinamento offre la chiave di volta con cui venire a capo dei problemi rimasti irrisolti nella manualistica. Tanto più quest’ultima si attarda a riflettere sui temi dell’informatica, riducendo le discipline del diritto agli schemi ormai vetusti del giuspositivismo, tanto meno la configurazione relazionale del Grund smarrisce il dato che, nel reticolo dell’interazione umana, non è lecito ritrovare alcun "centro" (se non, come detto, nel senso del profilo "operativo" e "convenzionale" richiesto dalla regolamentazione del potere all’interno della comunità). Mentre l’impressione è che la dottrina sia rimasta presa nel vicolo cieco della relazione unidirezionale tra fondamento e fondato, premessa "maggiore" e "minore" del giudizio giuridico, l’informatica giuridica, "premessa" filosofica di ogni introduzione allo studio del diritto dell’informatica, fa leva sulla coscienza critica riflessiva che avverte che i "mezzi" della tecnica non sono "neutri" rispetto ai "fini" fin qui presupposti dai giuristi.
Intesa come "auto-referenzialità" del mezzo che disvela la natura dell’ente, l’essenza della tecnica spiega infatti perché mai l’auto-matismo dei nuovi media conduce, sul piano pratico, alla messa in mora dei dogmi impliciti negli studi informatici della dottrina giuridica. Come la natura "virtuale" dei mezzi elettronici comporta il passaggio dalla civiltà della scrittura e della stampa ad una nuova civiltà mediata elettronicamente (per cui, sotto questa prima prospettiva, ci ritroviamo nella condizione, eguale e contraria, a quella di Platone, dove, alla diacronia di "parola" e "scritto", subentra il rapporto sincronico reso possibile dalle nuove tecnologie: chips azionabili col pensiero, dialoghi uomo-computer, annullamento operativo dello spazio, teletrasporto molecolare, e via dicendo); del pari, in questo orizzonte temporale, la metafora della rete – poco importa se quella della Repubblica di Platone, oppure, della tecnologia di Arpa-net -, propone una versione dell’ordinamento molto più complessa di quella offerta dal paradigma giuridico del principio di sovranità e il fondamento "gerarchico" del Grund, con la divisione dei poteri dello stato e il movimento "verso il basso" relativo alla ripartizione delle competenze all’interno del sistema. In fondo, come dimostra ad abbondanza il caso della rete per antomasia, l’interazione via internet degli individui revoca in dubbio il consueto modo di ordinare giuridicamente le relazioni umane, mandando a vuoto l’idea che il diritto sia la mera sovrapposizione convenzionale di norme, imposte dal sovrano in nome della "volontà generale". Quando, nella migliore delle ipotesi, la scienza giuridica fa crescere la consapevolezza di una logica direzionale diversa, e la rubrica per lo più dal "basso verso l’alto" – com’è accaduto recentemente con il principio di sussidiarietà, dei referenda, etc. -, resta il sospetto che la dottrina non sia (ancora) in grado di fare finalmente i conti con il significato delle metafore impiegate.
L’imperizia che i giuristi hanno mostrato nel cogliere i pseudo concetti, dipende dall’aver ridotto l’elemento costitutivo dell’insieme, il "nodo", ad un’unica dimensione. Se abbiamo visto che il nodo, in sede logica, media il profilo lineare e ciclico dell’appercezione spazio-temporale dell’esperienza, tra "funzioni" e "struttura", processi cognitivi e procedure di auto-adattamento, ciò che invece è andato perso in dottrina, è proprio la nozione del luogo specifico che il nodo occupa tra "sincronia" e "diacronia" istituzionali. Possiamo infatti immaginare, sul piano diacronico, che in un futuro ordinamento del tutto informatizzato, l’esistenza dei soggetti, fisici e giuridici, sarà mediata dalla stessa realtà "virtuale" dei media che oggi occorre disciplinare. Ma, sul piano sincronico, la scienza giuridica contemporanea ha in realtà finito per mutilare la figura del "nodo", associandolo, ora, al semplice "oggetto" d’imputazione normativa del sistema; ora, al "centro" terminale delle decisioni del sovrano; ora, al processo verticale che smista la volontà politica verso i destinatari degli output normativi.
Al pari del principio kelseniano di imputabilità giuridica, la metafora del nodo si presta infatti a raffigurare funzioni di tipo programmato, non auto-nomo; auto-matico, non indipendente, accentuando il rapporto asimmetrico tra input e output di ciascun elemento dell’insieme. Da questo punto di vista, la configurazione reticolare del diritto, alle prese con l’informatica giuridica, è anzi in grado di dar conto della stessa tipologia normativa con cui più spesso la dottrina e la scienza giuridica rappresentano l’ordinamento, in quanto, in un sistema del tutto informatizzato, l’interazione comunicativa dei soggetti può anche essere ridotta a snodi rudimentali che si limitano a ricevere input in vista di output prescelti. Quand’anche possa apparire di fosco auspicio, o semplicemente irrealistico, sostituire la norma fondamentale di Kelsen con un "grande" computer "centrale" – dal quale poi diramano, o si smistano, i relativi programmi software filtrati unidirezionalmente dall’"alto" -, non si è però troppo lontani dal vero, se si dice che, nel rapporto analogico tra sinapsi ed intelligenza artificiale, l’uso del computer da parte dell’utente medio, corrisponde a quello del cervello umano.
Riassumiamo le difficoltà cui va incontro la dottrina, allorché esamina il diritto dell’informatica come conseguenza dell’informatizzazione del diritto, muovendo da tre punti principali:

a). – In primo luogo, il giurista è chiamato a prendere atto, con estrema umiltà, di quanto la Corte suprema nordamericana ha dichiarato il 26 giugno 1997, nella fondamentale sentenza con cui vagliava la legittimità costituzionale, ai sensi del primo emendamento, di alcune disposizioni normative presenti nel Communications Decency Act del 1996 su internet: "tenuto conto della natura del mezzo…" (cfr. sul punto Testi e contesti dell’ordinamento giuridico, cit., pp. 222 ss.). Infatti, delle due l’una: o lo studioso si trova di fronte a fattispecie ritenute pacificamente "nuove" e, allora, ne va della prudenza del giurisperito; oppure, si deve ritenere che, mentre il giurista pensa di utilizzare i nuovi "mezzi" per continuare a fare quanto i predecessori hanno svolto, intervenga la stessa "natura del mezzo" che finisce per riconfigurare il senso di nozioni come firma, contratto, notifica, reato… "elettronici". Così come un e-mail non è un semplice modo nuovo di scrivere vecchie lettere agli amici, allo stesso modo va cambiando il significato della scrittura e il senso dell’interazione giuridica dei soggetti (in)formata dai media più recenti;
b). – Di per sé, questa trasformazione epocale lascia in sospeso il problema se il mutamento sia da intendersi come potenziamento delle tradizionali finalità geometriche di controllo sociale, da Hobbes a Kelsen, sino agli algoritmi della legge cibernetica; oppure, se il cambiamento in corso possa favorire i contenuti della libertà democratica. In ogni caso, mentre la dottrina verifica in questo la propria chiave di lettura circa l’essenza della tecnica, la realtà "virtuale" dei media elettronici incide profondamente sul modo di considerare gli ordinamenti. All’interno del paradigma positivista, quando i manuali hanno insegnato a generazioni di studiosi del diritto (continentale) che prototipo giuridico è il diritto dello stato, fondato su sovranità, popolo e territorio, la dimensione spaziale dell’ordinamento, dopo la sovranità, viene messa in discussione dalle odierne frontiere informatiche del diritto. Come la firma, il contratto, la notifica, il reato, etc., sono tutte figure che, in quanto elettroniche, "tenuto conto della natura del mezzo", diventano altro rispetto ai significati fin qui loro attribuiti, parallelamente la digitalizzazione e de-territorializzazione dei comportamenti umani mediati dalle nuove tecnologie, revocano in dubbio i confini degli stati nazionali. Ai tentativi della dottrina di estendere analogicamente ai temi del diritto dell’informatica, le antiche categorie del diritto internazionale privato, fa riscontro l’illusione pubblicistica di porre ordine nelle istanze globali del pianeta, proiettando su scala sovranazionale categorie fuori uso già solo a livello interno;
c). – Infine, è dato avvertire l’impatto elettronico dell’ordinamento anche sotto il profilo temporale. Ci riferiamo non solo ai problemi inerenti alla successione delle leggi, alla prescrizione e alla decadenza, e ai termini delle notifiche elettroniche, ma, soprattutto, alle pretese dottrinali, chiarite dalle definizioni standard in tema di fonti, per cui il sistema giuridico è presentato in chiave auto-referenziale. Sia che essa venga compendiata dalle tesi degli epigoni di Kelsen, che pensano al diritto come tecnica della tecnica e, quindi, tecnica del tempo; oppure, al modo di Luhmann, come capacità auto-regolativa degli input e output del "sistema" rispetto alle insidie dell’"ambiente", in ogni caso, l’auto-referenzialità "tecnica" del diritto finisce per essere messa in crisi, allorché il profilo auto-matico dei media esalta più spesso l’auto-nomia personale. Basti menzionare i casi, emblematici perché sempre più numerosi, di soggetti che, a seconda delle convenienze, "scelgono" il proprio ordinamento (e, dunque, mettendo in crisi il terzo elemento costitutivo dello stato, il popolo, decidono del kairòs tra il soggetto che sceglie e il sistema prescelto). Anche se non sono mancate le denunce di chi vede in questo, un pericoloso esempio di sostituzione dei vecchi stati nazionali con nuovi centri "imperiali" di potere – magari ancora più insidiosi e occulti, nelle sempreverdi istanze del controllo sociale -, affiora, ad opera dei media, l’esigenza di modificare all’insegna dei nodi della rete, la cifra prospettica secondo cui i giuristi hanno pensato il diritto negli ultimi secoli.

Forse l’aspetto più paradossale dei temi dell’informatizzazione del diritto, dipende dalla circostanza che le raffigurazioni usuali del sistema giuridico, con i "nodi" e con le "reti", saranno sempre meno considerate semplici "metafore", e, più spesso, metafore "assolute". Con le future generazioni di studiosi, per le quali gli operatori del diritto restii ai mutamenti in corso, saranno inevitabilmente sostituiti da avvocati e giudici, notai e cancellieri, esercitati nelle nuove tecnologie, si prepara un futuro in cui l’interazione giuridica dei soggetti sarà mediata da "centri" terminali disposti reticolarmene (in fin dei conti, non è senza significato che, sul piano della sociologia della conoscenza, quando l’illustre professore aristotelico dell’Università di Padova, Cesare Cremonini, si rifiutò di guardare "dentro" al cannocchiale di Galilei, è stato necessario attendere che sparissero le generazioni cresciute all’interno del vecchio paradigma tolemaico, affinché potesse finalmente trionfare extensive un nuovo modello teoretico).
Innanzi a un processo che sembra attrarci dal futuro, allorché i lineamenti del diritto dell’informatica rispecchiano i temi informatici del diritto, fino a farli convergere nella prospettiva di processi cognitivi derubricati à la Popper nel "mondo 3", nasce la possibilità di delineare – all’insegna di: one man, one pc -, i vantaggi che la configurazione reticolare del diritto offre rispetto alle correnti versioni geometriche dell’ordinamento. Secondo una prospettiva critica che fa leva sugli input e output che connettono i diversi snodi della rete, la teorica relazionale del Grund non è infatti in grado di fondare soltanto i rapporti gerarchici cari al paradigma positivista; ma, tornando a utilizzare le metafore spaziali con cui parte della dottrina chiarisce la peculiarità delle trasformazioni in atto, la cifra reticolare dell’ordinamento coglie anche le logiche direzionali "verso l’alto" oppure "orizzontali" – che tante incomprensioni hanno suscitato tra gli studiosi del diritto dell’informatica -, sulla base dei processi cognitivi evolutivi e i criteri di retroalimentazione delle reti neurali.
Ai modelli di auto-programmazione ed auto-apprendimento dei sistemi che regolano comunemente i rapporti tra i soggetti, vanno infatti affiancandosi dinamiche comunicative che denotano indipendenza reciproca. Con la prudenza riservata ad ogni work in progress, e sulla scorta degli esempi offerti da internet, si va dalle semplici norme di galateo o di etichetta, alle più complesse forme di auto-regolamentazione, dai casi dei Robin Hood cibernetici agli hackers, alla "filosofia" di Linux, etc. Mentre i contributi di diritto positivo hanno colto quasi sempre la questione, come se si trattasse di trovare ad hoc l’algoritmo con cui disciplinare i nuovi rapporti elettronici – e assicurare l’ordine "virtuale" voluto dal sovrano -, i media testimoniano, invece, che il diritto non è (sempre o solo) la mera sovrapposizione convenzionale di norme imposte "dall’alto". Secondo temi e motivi ripresi in parte dall’istituzionalismo contemporaneo e dal liberalismo à la Hayek, il diritto è anche prodotto (non calcolato) dell’interazione comunicativa dei soggetti. Per riprendere il vecchio cavallo di battaglia del "padre putativo" del moderno common law, Edward Coke, non è detto che anche per l’informatica giuridica e le nuove frontiere elettroniche dell’ordinamento, non debba valere il principio che Magna Charta is such a fellow that he will have no sovereign…

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