PROLEGOMENI D’INFORMATICA GIURIDICA
di Ugo Pagallo
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Sommario
1. LO STATO DELL’ARTE
2. DUE ACCEZIONI DI VIRTUALE
3. TRE DEFINIZIONI DI TECNICA
4. IL FONDAMENTO DELL’INFORMATICA GIURIDICA
5. PER UNA CONFIGURAZIONE RETICOLARE DEL DIRITTO
6. LA FIGURA DEL NODO
7. QUESTIONI DI SINAPSI
8. CRITICA DEL SILLOGISMO INFORMATICO
9. TRA AUTO-MATISMI E AUTO-NOMIA: TELEOLOGIA DELLA VIRTUALITÀ
10. LA "PENNA DEL POETA"
Definiamo con l’espressione "informatica giuridica", l’insieme dei sotto-settori della ricerca scientifica che rappresentano lo snodo tra il diritto dell’informatica e la gius-cibernetica. In quanto disciplina filosofica, l’informatica giuridica offre il punto di riferimento privilegiato per riportare unità nella tendenziale polverizzazione specialistica dei distinti campi del diritto positivo. D’altro canto, per onorare l’aggettivo che la qualifica, l’informatica giuridica è chiamata ad orientare gli studi di computer science, sottolineando la specificità dell’interazione comunicativa degli uomini alle prese con i nuovi media.
Secondo questa prospettiva, articoliamo la nostra materia in tre sotto-settori principali:
a). – In primo luogo, si tratta del profilo giusfilosofico che deriva dallo stesso "codice" dell’età della tecnica. Tra le conoscenze del giurista impegnato nei settori del diritto dell’informatica, e il sapere matematico che definisce gli orizzonti della gius-cibernetica, emerge la prospettiva con cui cogliere le radicali trasformazioni in atto. Il compito dell’informatica giuridica, sul piano filosofico, consiste nel cogliere la cifra unitaria capace di strutturare la pluralità interdisciplinare della materia, secondo temi e motivi della configurazione reticolare del diritto;
b). – La riflessione tecnico-giuridica attorno alla qualificazione delle nuove fattispecie, dal diritto civile al commerciale, dal penale al fiscale, al tributario, e così via, produce due casi limite: da un lato, l’applicazione di vecchi principi e regole a casi mai visti o imprevisti; dall’altro, l’inventio di criteri nuovi per ordinare antichi rapporti. Esaminando i casi del diritto dell’informatica in accordo a questa (astratta) alternativa, è dato cogliere l’elemento che accomuna l’apparente eterogeneità dei casi, e che, in definitiva, conduce al modo in cui i giuristi intendono il rapporto tra diritto e tecnica;
c). – Infine, occorre insistere sulle conoscenze di tipo matematico richieste dalla programmazione di sistemi in grado di de-limitare convenzionalmente l’interazione umana. Dalle frontiere matematiche della nostra disciplina dipende la tensione tra la relativa "chiusura" del sistema informatico e la necessaria "apertura" dei media al servizio della comunicazione intersoggettiva. L’impatto delle nuove tecnologie sugli ordinamenti politici, giuridici ed economici, comporta la necessità di progettare sistemi esperti e software capaci di "apprendere", per così dire, dalla (propria) esperienza.
Come attestano gli ormai numerosi tomi e volumi d’informatica giuridica, la manualistica ha più spesso affrontato soltanto i temi suggeriti dagli ultimi due sotto-settori. Se non mancano i contributi giuridici dell’informatica che privilegiano i profili matematici della disciplina, e se abbondano gli studi di diritto positivo che hanno ad "oggetto" l’informatica, è venuta tuttavia meno la visione d’insieme del rapporto tra diritto e tecnica. Quando la dottrina insiste sullo specifico della firma digitale e la notifica elettronica, l’e-commerce e l’ipertestualizzazione dei documenti normativi, il diritto d’autore e il copyright virtuale, gli algoritmi della legge e i bytes, le reti neurali ed i sistemi esperti, sembra infatti che gli studi d’informatica giuridica non siano in grado di decodificare il significato di quanto essi stessi vanno elaborando. Quale l’impatto dei nuovi media "virtuali" nell’ordinamento? Cosa hanno in comune la firma e i fascicoli elettronici con i commerci via internet, il processo telematico con le forme di criminalità cibernetica? In che senso il diritto (dà) forma (a) tutte queste figure, senza esserne profondamente trasfigurato? Cosa non muta, nell’incessante evolvere della prassi?
Per iniziare a rispondere a questi interrogativi, occorre innanzitutto esaminare la tensione tra "virtuale" e "reale", "fine" e "mezzo", "forma" e "sostanza", alla base del rapporto tra diritto e tecnica. Avendo a mente la rappresentazione classica del diritto naturale come teleologia della virtualità (su cui infra § 9), si può infatti notare che la scienza giuridica contemporanea ha inteso precisare la relazione tra diritto e tecnica nel senso, eguale e contrario, di una strumentalità autoreferenziale. Come del resto testimonia larga parte dei contributi d’informatica giuridica in circolazione, la dottrina afferma che i nuovi "strumenti" tecnologici lasciano sostanzialmente inalterato il telos dell’ordinamento, e, muovendo da una prospettiva prettamente formale di stampo kelseniano, ritiene che i nuovi media dell’interazione comunicativa degli uomini, siano solo il "mezzo" con cui svecchiare gli ideali illuministici del principio di certezza del diritto e la coerenza delle norme elevata a "sistema".
Gli esempi non mancano e, in questa sede, ci limitiamo a segnalarne tre.
Il primo è tratto dalla voce "topica giuridica" del Novissimo Digesto Italiano (XIX, 1973), in cui, affrontando "il problema dei limiti di fatto del ragionamento giuridico in quanto ragionamento logico", Giacomo Gavazzi scopre alla base della "giurisprudenza razionalistica", una scelta di valore. Per eliminare i limiti che ostacolano l’applicazione della logica (analitica) al ragionamento dei giuristi, "basterebbe, nella misura in cui sono limiti di fatto, migliorare le condizioni di praticabilità del modello razionalistico, quelle condizioni sulle quali aveva già insistito l’illuminismo giuridico; leggi poche, chiare, non contraddittorie, impassibilità valutativa del giudice, ecc. E" – questo il commento del teorico del diritto -, "se queste potevano sembrare condizioni difficilmente realizzabili un tempo, oggi lo sono sicuramente meno con l’avvento delle macchine elettroniche" (Topica giuridica, cit., p. 416).
D’altra parte, la natura "neutra" e "strumentale" della tecnica, alla quale va pensando il Gavazzi, trova conferma nel recente dialogo tra Natalino Irti ed Emanuele Severino (Laterza 2001). Laddove, infatti, il filosofo sostiene che la tecnica del diritto – cui mira kelsenianamente Irti -, è destinata a soccombere un giorno alle ragioni della tecnica, il giurista contesta a Severino, sul piano logico, che "queste ragioni di indebolimento della politica (e, per ciò stesso, della normatività giuridica, in cui le proposte politiche aspirano a tradursi) non colpiscono tuttavia la differenza logica tra la regola e il regolato; ossia, tra diritto, da un lato, e capitalismo e tecnica, dall’altro. Non sarà più il diritto della ‘verità’, ma è pur sempre un diritto della ‘volontà’; debole sì, teso a orientare il capitalismo e la tecnica. La volontà di raggiungere scopi attraverso norme – ancorché svigorita dalla spazialità dell’economia e dall’omogeneità strutturale tra regime democratico e concorrenza di mercato – si pone sempre come principio ordinatore rispetto alla materia regolata" (op.cit., atto primo, § 6, pp. 14-15).
La terza citazione riprende infine l’Aggiornamento (1997) dell’"Enciclopedia del diritto", alla voce "informatica giuridica" curata da Renato Borruso, secondo tesi riprese in un più recente discorso del 12 dicembre 2001, Discrezionalità ed autonomia dei giudici, innanzi ad un’assise di giovani magistrati. "La grande occasione e al tempo stesso la grande innovazione che l’assimilazione dell’informatica offre a chi voglia il progresso del diritto innanzitutto sul piano di una più efficace formulazione della legge, potrebbe consistere – a nostro parere – innanzitutto nell’indurre il legislatore stesso ad adottare il linguaggio formalizzato secondo i canoni della logica proposizionale di Boole per esprimere il contenuto delle norme, o – quanto meno – a usare tali formule in calce al testo espresso in modo tradizionale per chiarirne il significato almeno dal punto di vista sintattico" (voce cit., p. 658). Di qui, ha concluso più di recente Borruso, "il computer diventerebbe, così, una sorta di datore di responsi, secondo la vecchia formula romanistica da mihi factum, dabo tibi jus, bypassando completamente lo scoglio delle possibili diverse interpretazioni ad opera di altri soggetti. Un siffatto responso sarebbe soggetto solo al sindacato della Corte costituzionale, ove mai le istruzioni del software apparissero costituzionalmente illegittime" (Discrezionalità ed autonomia dei giudici, cit., sul sito web "Jei-Jus e internet").
Seguendo la cifra ermeneutica proposta da Francesco Gentile in Ordinamento giuridico tra realtà e virtualità (Cedam, Padova 2002), possiamo iniziare a cogliere il genus proximum delle diverse tesi, dato che esse si richiamano tutte a una comune cifra teorica di stampo "geometrico". Nonostante le distanze, anche notevoli, tra i pareri dei diversi autori, l’accento non cade sulla natura "virtuale" dei media e la specificità degli strumenti elettronici. L’attenzione si dirige piuttosto, alle opportunità nate dall’uso dei nuovi media, per aggiornare il mito illuministico della certezza del diritto e la coerenza logico-analitica dell’ordinamento. Alla specifica dimensione "virtuale" delle nuove frontiere giuridiche, subentra l’illusione autoreferenziale del giurista informatico, che, pensando al diritto come sovrapposizione convenzionale di norme alla naturale entropia dei soggetti, dà luogo a una sorta di inopinata, quanto paradossale, "virtualità al quadrato".