PROLEGOMENI D’INFORMATICA GIURIDICA
di Ugo Pagallo

8. Critica del sillogismo informatico

Una delle maggiori speranze riposte nell’informatizzazione del diritto, consiste nel garantirne (finalmente!) l’ideale illuministico della certezza, da un lato, formalizzando, nelle guise dell’algoritmo, il linguaggio del legislatore; dall’altro, predisponendo programmi in grado di consentire la "sussunzione" logico-deduttiva del caso concreto. Come afferma Borruso nella ricordata voce dell’Enciclopedia del diritto, "non potrebbe il legislatore egli stesso provvedere a formulare la legge (specie quelle destinate a regolare i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini) sotto forma di software applicativo della medesima, come se fosse un Sistema Esperto Legale, eliminando, così, non solo qualsiasi incertezza di interpretazione, ma l’interpretazione stessa come operazioni intellettiva a sé stante? (…) Se questa è la ratio che è alla base della tripartizione dei poteri, allora si può concludere che essa rimane valida solo per quanto concerne l’accertamento dei fatti (presupposto dell’applicazione della legge), ma non per la sua interpretazione e applicazione, in quanto, una volta sigillato il software contenente la legge e affidatane l’applicazione al computer, la sua imparzialità sarebbe assicurata" (Informatica giuridica, cit., pp. 663-664).
D’altra parte, se anche il giurista informatico non si spinge fino al punto di teorizzare (sin d’ora) la completa fungibilità del giudizio umano con l’uso dei sistemi esperti, "l’uso del computer" – avverte non di meno Borruso -, "può essere prezioso al magistrato di merito (…) per una finalità della massima importanza, ma di cui sembra non essersi presa chiara coscienza: quando, cioè, gli si chiede non solo di accertare i fatti, ma anche di compiere determinazioni quantitative discrezionali (quali, ad esempio, la misura della pena da irrogare in concreto o del risarcimento dei danni)" (op.cit., p. 665). Sulla base di quella che è stata chiamata giurimetria, ossia, "la scienza, resa soltanto possibile dall’uso del computer, di individuare e misurare, per ogni determinazione quantitativa o comunque di fatto affidata alla discrezionalità del giudice, le componenti variabili dalle quali scaturisce il giudizio", sarebbe possibile affidarsi a parametri certi e oggettivi, scientificamente controllabili, stante i quali "costituire una più sicura garanzia concretamente eguale per tutti" (ibidem).
Le nuove frontiere informatiche dell’ordinamento, soprattutto nei settori del diritto creati dall’intervento "sociale" dello stato, che, dall’assistenza sanitaria al lavoro, dal fiscale al tributario, si prestano maggiormente al trattamento quantitativo dei dati, invitano il giurista (informatico) ad approfondire il significato della duplice premessa del ragionamento iuris et de iure. La possibilità di reperire grazie ai nuovi strumenti, disposizioni normative, sentenze, provvedimenti amministrativi e, in genere, atti giuridici, con una velocità e precisione mai avute finora, con motori di ricerca, banche dati, cd rom, etc., porta a concludere che la progressiva informatizzazione del diritto consentirebbe di precisare in modo univoco (e automatico) il significato delle decisioni prese dal sovrano (o, almeno, da chi, nel caso particolare, lo rappresenta). Rispetto alla legge intesa come premessa "maggiore" del sillogismo giuridico, si nutre, cioè, la (vana) speranza che la traduzione algoritmica del linguaggio naturale utilizzato dal sovrano, elimini, come ai tempi del Code Napoleon, la necessità di inoltrarsi negli infruttuosi campi dell’ermeneutica giuridica; mentre, in relazione ai provvedimenti giurisdizionali, si pensa che l’inevitabile valutazione delle circostanze che qualificano ogni caso concreto, rimanga destinata al controllo quantitativo "imparziale" ed "automatico" degli output decisionali, grazie all’utilizzo di sistemi esperti (come quelli già esistenti, inter alia, per l’assistenza sociale e l’infortunistica stradale).
Le conclusioni cui sono pervenuti gli studi di informatica giuridica, così come i giuristi di diritto positivo, alle prese con i nuovi problemi della telematica, nascondono, tuttavia, un palese fraintendimento. Allorché la rivoluzione tecnologica in corso conduce alla traduzione dei documenti giuridici in forme digitali, trasformandoli, ora, in ipertesti, ora, negli algoritmi della logica proposizionale di Boole, il giurista, non di meno, seguita a considerare gli strumenti tecnici, nel loro complesso, come se fossero un semplice "mezzo neutrale". Come se, cioè, virtualmente, il significato del testo di legge "algoritmizzato" fosse la stessa cosa del tradizionale documento normativo redatto in linguaggio naturale; come se la firma digitale fosse il mero aggiornamento dell’antica forma fisica di sottoscrivere gli impegni; come se la notifica elettronica fosse il semplice proseguimento telematico delle mansioni svolte dal caro vecchio ufficiale giudiziario; come se, infine, la natura ipertestuale dei nuovi documenti giuridici non alterasse, alla radice, la "scrittura" che è alla base della tradizione giuridica occidentale.
Sulle ragioni ideologiche che hanno mosso la scienza giuridica (italiana) a percepire l’essenza dei nuovi mezzi come alcunché di "neutro", non è caso d’insistere (cfr. infatti supra § 3). Preme piuttosto segnalare che proprio qui, dal non aver fatto i conti fino in fondo con i problemi che l’essenza della tecnica pone all’ordinamento come medium dell’interazione umana, nasce la tentazione per cui, spesso, le frontiere tecnologiche del diritto appaiono negli studi e nei manuali d’informatica giuridica, come "un" semplice modo di aggiornare gli ideali, peraltro non discussi, della corrente raffigurazione geometrica delle istituzioni. Si tratta d’"impiegare" le scienze informatiche (e i matematici) al fine di (meglio) raggiungere l’obiettivo hobbesiano di rendere "geometricamente" certe le disposizioni di legge volute dal sovrano; senza avvertire che i nuovi media elettronici finiscono in realtà per riconfigurare nozioni basilari come firma o contratto dei privati, spazio e tempo dell’ordinamento, notifica o documento pubblico, e via dicendo (ad onor del vero, questa "novità" prodotta dalla realtà "virtuale" dei mezzi elettronici è stata colta, tra i primi, dai penalisti, dato che il divieto d’interpretazione analogica recepito dall’ordinamento italiano con l’articolo 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, ha ben presto costretto giudici, avvocati e legislatore, a prendere atto della soluzione di continuità che le nuove frontiere comportano rispetto a categorie, e praxis, tradizionali: furto dei bytes e dell’identità personale digitale, truffe elettroniche, diffamazioni, etc.).
Altamente rivelatore è l’"algoritmo della legge" che, in un colpo solo, come per incanto, risolverebbe tanto il millenario dilemma della certezza del diritto, quanto il moderno criterio della tripartizione dei poteri dello stato. Mentre studiosi come Gavazzi, Irti o Borruso, dichiarano che i nuovi ricavati tecnologici consentono di raggiungere il vecchio sogno di Leibniz – per cui, come visto, "quando sorgeranno delle controversie, non vi sarà maggior bisogno di discussione tra due filosofi di quanto ce ne sia tra due calcolatori" -, occorre aprire gli occhi all’evidenza e insistere sul fatto che i media telematici e informatici, i sistemi esperti e le reti neurali, l’intelligenza artificiale e la augmented reality, revocano i presupposti della ricostruzione geometrica dell’ordinamento, tanto nella sua tradizionale versione "atomica", quanto in quella del lifting digitale. Appunto perché la tecnica non è neutra, essa comporta tutta una serie di side-effects, "effetti collaterali" o controfatti, che, disvelando quanto evidentemente appartiene alla natura del genere umano, mettono in scacco le consuete categorie con le quali i giuristi, negli ultimi secoli, sono venuti pensando alle "premesse" del proprio ragionamento.
È il caso, innanzitutto, dei processi di auto-regolamentazione "dal basso" cui ha dato vita il fenomeno, per eccellenza, "globalizzatore" d’internet. Con buona pace del giuspositivismo e del formalismo giuridico contemporaneo, queste nuove fattispecie – dalla (de)tassazione fiscale e-commerce alla tutela digitale di copyright e privacy, alla riconfigurazione delle categorie del negozio telematico, allo spamming, ai Robin Hood telematici, etc. -, offrono la più lampante dimostrazione dell’attitudine del soggetto umano all’autonomia e al rispetto delle regole. Se questo ha indotto alcuni autori nell’errore, eguale e contrario, nel quale sono caduti molti contributi d’informatica giuridica – per cui la rivoluzione informatica consentirebbe questa volta di raggiungere ideali di democrazia diretta -, possiamo riformulare la questione, affermando che le nuove frontiere tecnologiche mostrano in che senso i media stanno non solo spiazzando i tradizionali confini giuridici degli stati nazionali sovrani; ma, in attesa che il legislatore escogiti forme di disciplina "dall’alto" per i fenomeni d’internet, i soggetti provvedono intanto a dotarsi "dal basso" di quelle regole che, una volta, erano di esclusivo appannaggio del sovrano.
La questione riemerge con l’ambiguità della coincidentia oppositorum cui abbiamo fatto cenno in precedenza, derivante dal taglio operativo che ha fin qui necessariamente contraddistinto i contributi informatici del diritto, e i profili fondativi della cibernetica à la Luhmann. Mentre infatti, a giudizio del sociologo tedesco, la natura "neutra" del sistema e della scienza del diritto dipende dalla resa cibernetica dei concetti con cui il teorico pensa all’"ambiente" nell’età della tecnica, invece, nel caso degli odierni cultori d’informatica giuridica, si tratta di tradurre le tecniche dell’ordinamento more geometrico constructo con gli algoritmi della legge: l’automazione relativa alle premesse del ragionamento del giurista, l’introduzione dei sistemi esperti nella quantificazione dei danni, le prestazioni assistenziali dello stato sociale, etc. Per quanto la riflessione del Luhmann appaia più smaliziata, allorché prende le distanze dall’ingenua rappresentazione della tecnica come sapere "oggettivo" e "neutro", in realtà, in entrambe le versioni, il sistema giuridico è assunto, sempre e solo, secondo prospettive epistemologiche della "virtualità al quadrato" (cfr. supra § 2).
Tuttavia, nel pur lodevole tentativo di rendere più univoco il significato delle disposizioni di legge, può pensare di risolvere la questione per via tecnica, soltanto chi non vede che è proprio la tecnica che manifestamente revoca in dubbio i pre-supposti, per non dire i pre-giudizi, che larga parte della doxa giuridica s’ostina a perpetuare (in primis, l’idea che tramite l’applicazione della logica di Boole, per ciò stesso cominceremmo a garantire "a ciascuno il suo").
Possiamo riassumere le aporie che accompagnano (finora) i temi dell’informatica giuridica applicata alla premessa "maggiore" del sillogismo iuris et de iure, in rapporto a tre considerazioni principali:

a). – Innanzitutto, le ricadute delle ideologie (giuridiche) sulle frontiere tecnologiche dell’ordinamento, favoriscono questo o quell’aspetto delle ricerche informatiche, telematiche, cibernetiche, etc. L’apparente "neutralità" del mezzo rivela una precisa opzione teleologica di fondo, come del resto risulta, in modo evidente, dalle diverse "filosofie" implicite nelle impostazioni dei sistemi operativi (Mac, Linux, Microsoft, etc.) e nella sfida della ristrutturazione del supporto hardware (Illiac IV, Cray supercomputers, Blue machine, e i più piccoli multiprocessori di Sun Microsystems, Silicon Graphics, etc.);
b). – In secondo luogo, bisogna ribadire che l’impatto dei media sul modo di concepire nozioni come legge, sentenza, contratto, etc., richiede che l’ideazione dei programmi matematici o dei progetti cibernetici sia preceduta dal chiarimento dei fini che s’intendono perseguire. Senza che i giuristi debbano insegnare (o rubare) il mestiere agli informatici, i nuovi mezzi non sono indifferenti ai contenuti della interazione comunicativa dei soggetti, e proprio per questo richiedono che si metta a fuoco il senso in cui muta la ratio degli istituti e dei diversi atti da informatizzare;
c). – Infine, come si desume dai tentativi di risolvere tecnicamente il problema della "certezza" del diritto con l’algoritmo della legge, i limiti dello svecchiamento elettronico profilano un evidente paradosso conclusivo. Quanto maggiore sarà la consapevolezza del non poter ridurre la premessa "maggiore" del sillogismo alla volontà del sovrano, tanto meno gli informatici perderanno di vista la natura convenzionale ed operativa dei programmi in grado di automatizzare le prestazioni dello stato sociale, le interazioni giuridiche dei computers privati, rendendo certe e sicure firme digitali, notifiche elettroniche, commerci cibernetici, e via dicendo.

A conferma delle aporie cui va incontro la doxa contemporanea, un altro serio dilemma a proposito dei contributi d’informatica, ha a che fare con la difficoltà di determinare quanto della premessa "minore" del sillogismo giuridico, giunge ancora, per così dire, "dal basso". Sul piano pratico, i processi centrifughi e centripeti messi in atto dalle nuove frontiere, palesano i vizi teorici che, a proposito del principio di sovranità, assillano la visione geometrica dell’ordinamento; sul piano logico, ciò dipende già solo dalla tensione dialettica di fondamento e fondato, che abbiamo esaminato in rapporto alla dottrina relazionale del Grund (cfr. supra § 4). Come ha sottolineato opportunamente Marco Cossutta, alla luce dell’interpretazione ex art. 1362 del contratto nel codice civile, e la sentenza n. 364/1988 della Corte costituzionale in tema di legittimità dell’art. 5 c.p., non è possibile ridurre l’"applicazione" della legge e, quindi, la stessa "interpretazione" del diritto ad un calcolo leibniziano ipotetico-deduttivo. Per quanto i giuristi seguitino sovente a decodificare la relazione tra fattispecie astratta e fattispecie concreta, come se la dottrina gerarchica e unidirezionale del Grund fosse ancora "valida" – salvo poi non essere in grado di spiegare l’equity, l’evoluzione giurisprudenziale come fonte del diritto, l’intenzione contrattuale delle parti, le clausole generali dell’ordinamento, le fonti extra ordinem, etc. -, così, le esperienze dell’informatica giuridica indicano che la norma è "il punto di congiunzione riconosciuto dal giudizio fra regola e regolarità", tra quanto, cioè, viene "dall’alto" e quanto giunge "dal basso" dell’interazione comunicativa dei soggetti: il "nodo" (cfr. M. COSSUTTA, Meccanizzare il giudizio per conseguire certezza del diritto. Considerazioni intorno alla possibilità di percorrere tale itinerario, in "Ircocervo", Rivista elettronica italiana di teoria generale del diritto, metodologia giuridica e dottrina dello stato: www.filosofiadeldiritto.it, n. 1, dicembre 2002).
Perfino i più fervidi ed entusiasti sostenitori della informatizzazione del diritto, tuttavia, hanno accolto soltanto con riserva, l’idea di poter finalmente risolvere attraverso opportuni software e sistemi esperti, l’"enigma" del giudizio giuridico. Di fronte all’evidenza che l’introduzione dei mezzi telematici, le reti neurali, l’intelligenza artificiale, la cibernetica, permettono di semplificare le "premesse" del ragionamento che si vuole condurre, occorre però insistere sul fatto che i nuovi media non sono semplici "strumenti" con cui aggiornare obiettivi operativi indiscussi. Se, allo stato, non è dato congegnare alla Leibniz, un "calcolatore" capace di risolvere automaticamente, e cioè, autonomamente, i nodi della ermeneutica giuridica, non di meno, pensando alle tesi di Borruso o di Gavazzi, è chiaro che il giorno in cui l’auto-apprendimento dei sistemi esperti e i processi cognitivi delle reti neurali fossero realmente capaci di simulare la sinapsi umana, diventerebbe oltremodo evidente, finanche agli occhi dell’odierna dottrina, l’ingenuità della tesi che giudica la tecnica come sapere "avalutativo". In fin dei conti, alla base dei problemi sollevati dalle bio-ingegnerie, le clonazioni, la robotica, etc., c’è il fatto che la presunta "oggettività" della tecnica immette nella materia la stessa imprevedibilità del "soggetto".
L’impossibilità di appiattire i principi dell’interazione comunicativa sui profili operativi dell’informa(tizza)zione del diritto, suggerisce così di tornare sul problema fondativo della tecnica. Infatti, al fine di garantire gli ideali tramandati dalla tradizione geometrica dell’ordinamento, i giuristi (informatici) si comportano come se il profilo "strumentale" delle nuove tecnologie non mutasse radicalmente il modo in cui gli individui interagiscono. Tuttavia, proprio per questo, l’implementazione dei sistemi esperti richiede pur sempre che venga definito il "fine" rispetto al quale i diversi media rappresenterebbero, per l’appunto, il "mezzo". Allorquando gli studi d’informatica giuridica procedono "virtualmente", come se fosse possibile lasciare in parentesi i fondamenti della disciplina, rimane da capire in che senso l’"oggetto" virtuale della materia non finisca per riconfigurare lo scopo che orienta lo stesso "soggetto" giuridico programmatore.

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