PROLEGOMENI D’INFORMATICA GIURIDICA
di Ugo Pagallo

6. La figura del nodo

Sin dalla più remota antichità, il nodo rappresenta metaforicamente il punto in cui la determinazione spazio-temporale di ogni stato dell’essere s’intreccia alla totalità. Se la figura riporta il particolare all’universale, l’individuale al generale, in quanto "nodo vitale", ciò dipende precisamente dal fatto che l’immagine suggerisce tanto le ragioni per cui ogni singola cosa si manifesta, quanto perché, prima o poi, essa è destinata a venir meno. Aprendo la prospettiva con cui vanno esaminati i profili, sincronici e diacronici, dell’esperienza, distinguendosi dalle configurazioni dottrinali lineari e cicliche in tema di fonti, il concetto mette a fuoco la "reciproca dipendenza" (Bedingung) emersa con la nozione relazionale del Grund. Tra il profilo formale del fondamento e il contenuto materiale del fondato, tra l’autoreferenzialità del sistema giuridico e la relatività storica delle istituzioni, tra le identità e differenze inerenti a ogni singolo nodo della rete, si può dire che, almeno questa volta, tertium datur (cfr. le nostre conclusioni in Alle fonti del diritto. Mito scienza e filosofia, cit., pp. 240 ss., cui rimandiamo per ulteriori approfondimenti e relative indicazioni bibliografiche).
D’altro canto, secondo quanto annota Mircea Eliade in Le ‘Dieu lieur’ et le symbolisme des noeuds (in "Revue de l’Histoire des Religions", 1948), l’immagine appare ambigua, proprio perché, riprendendo il linguaggio comune che vede nella rete una trappola, il "nodo" raffigura tanto un legame che unisce, quanto qualcosa che lega. Se si esaminasse questa ambiguità in recenti interpretazioni giuridiche e politiche delle metafore reticolari dell’antichità, si potrebbe cogliere il dilemma dell’odierna informatizzazione del diritto, stretta tra la crisi della concezione dell’ordinamento come mezzo tecnico di controllo sociale, e il diritto medium dell’interazione comunicativa dei soggetti. Anche quando si è pensato di cogliere le "novità" delle frontiere tecnologiche dell’ordinamento, con motivi e temi suggeriti dalle immagini dei "nodi" e delle "reti", sorge il sospetto che, in realtà, le metafore siano state riprese in funzione della logica gerarchica del Grund e la (vana) ricerca di un "centro" interno al sistema.
Tuttavia, per iniziare a precisare il senso delle metafore reticolari con cui la dottrina definisce spesso gli ordinamenti giuridici contemporanei, è il caso di tornare al significato trasmesso dalla tradizione, e, più in particolar modo, dal Politico di Platone, dove, per chiarire il concetto di dialettica e definire l’essenza della relazione politica, il filosofo introduce appunto il modello, o paradigma, dell’"arte del tessere", dell’"intrecciare", del "fissare l’ordito" e la "trama". "Quale paradigma dunque che si riferisca allo stesso genere di attività della politica, modello di minime proporzioni, potrebbe assumersi come termine di confronto e così scoprire e conoscere in modo sufficiente ciò che stiamo cercando? Per Zeus, vuoi, Socrate, che se non abbiamo altro sottomano scegliamo allora l’arte del tessere?" (op.cit., 279 a 7 – b 3, tr.it. in Opere complete, Bari 1979, p. 295).
L’intreccio dei fili grazie al quale emerge la particolarità irriducibile di ogni parte dell’insieme, come anche il rapporto funzionale che ciascun "nodo" intrattiene con il tutto, permette a Platone di gettare luce sul rapporto tra sapere e potere, che è alla base della polis. Il paradigma della tessitura esprime la natura del ruolo del re-filosofo e la ricerca della "giusta misura", di quanto è conveniente ed opportuno, tra il troppo e il troppo poco. "Quale intelligenza della giusta misura, la politica", spiega Francesco Gentile, non è "il prodotto della sommatoria di tante prospettive particolari" (quasi che il paradigma tradizionale della tessitura suggerisse la tesi moderna della politica come "specie di società che si sovrappone, coordinandole, alle tante società particolari"). "In realtà, quale intelligenza della giusta misura, la politica costituisce la condizione del formarsi di ogni società particolare; è garanzia dell’adeguatezza di ciascuna di esse alla ragione particolare in funzione della quale si è formata; è disciplina dei loro rapporti reciproci e quindi degli spazi a ciascuna convenienti; è fattore d’equilibrio in vista del Bene" (Intelligenza politica e ragion di stato, Milano 1984, p. 38).
Assumendo a modello le conclusioni della Repubblica sulle forme di organizzazione "ideale", possiamo compendiare il reticolo (giuridico e politico) mediante il quale Platone delinea il nodo come "condizione funzionale della reciprocità degli spazi in equilibrio", con il seguente modello:

STATO INDIVIDUO VIRTU’
Reggitori (governare) Facoltà intellettiva (‘ragione’) Sapienza
Guerrieri (difendere) Facoltà ‘irascibile’ (coraggio) Fortezza
Popolo (produrre) Facoltà appetitivi (senso) Temperanza

Non di rado, gli interpreti, antichi e moderni, hanno decodificato il presente schema, con l’immagine proto "moderna" della piramide che, in ragione della figura del filosofo/re, riporta coerenza ed unità nelle parti del tutto. Ad esempio, nella Politica, Aristotele eccepisce "che se uno stato nel suo processo di unificazione diventa sempre più uno, non sarà neppure uno stato, perché lo stato è per sua natura pluralità e diventando sempre più uno si ridurrà a famiglia da stato e a uno da famiglia" (Politica, 1261 a 17-20, tr.it. Roma-Bari 1991, p. 32). Sicché, muovendo dalla falsariga ermeneutica che nelle fila del discorso di Platone scorge la tentazione della reductio ad unum, non sorprende che anche un commentatore contemporaneo, Reinhard Brandt, proietti sulla polis di Platone, allegorie che, a ben vedere, sono, nella migliore delle ipotesi, d’origine kelseniana. "Dal punto di vista delle qualità morali, quindi, la società si presenta come una piramide capovolta (ovviamente dal punto di vista del numero dei cittadini di ogni classe, la piramide poggia sulla sua base: la massa sta in basso, pochi o uno solo al vertice)" (D’Artagnan o il quarto escluso. Su un principio d’ordine della storia culturale europea, tr.it., Milano 1998, p. 34).
Senza entrare nel merito della fondatezza di queste o simili ricostruzioni – che, nel caso emblematico di un Popper, presentano addirittura Platone come precursore del totalitarismo nel XX secolo -, occorre pur dire che il nostro schema suggerisce una cifra interpretativa alquanto più complessa. Se l’immagine della piramide rimanda alla struttura gerarchica e "unidirezionale" che procede dall’"alto verso il basso" – secondo la prospettiva more geometrico constructa dell’ordinamento che sovrappone la dimensione convenzionale delle norme alla naturale entropia dei soggetti -, nel caso di Platone, la metafora dell’"arte del tessere" e dei "nodi" – a sua volta ripresa da una antica tradizione -, propone una più sofisticata configurazione reticolare dell’ordinamento (politico, giuridico ed economico). Avendo a mente le metafore spaziali con le quali Cassese illustra gli effetti della "globalizzazione" sui mercati mondiali, possiamo mostrare la struttura policentrica del modello di Platone, sulla scorta di tre diversi percorsi:

a). – In primo luogo, abbiamo a che fare con il movimento che procede "dal basso verso l’alto", e che conduce alla prima sequenza fenomenologica che Platone delinea nella Repubblica: prima viene la classe produttiva del popolo e l’auto-sufficienza della "polis primitiva", poi emerge il problema della difesa dello stato e l’insorgere della necessità sociale dell’esercito, infine, la questione del governo e la paideia dei reggitori. Si tratta del disegno diacronico con il quale Socrate ricostruisce la polis "a parole" nel dialogo, postulando, dal punto di vista giuridico e politico, l’identità tra uomo e stato. Come dichiara Socrate, la "polis è infatti un individuo scritto a lettere maiuscole" (riformulando ciberneticamente il concetto, si può anche dire che ogni nodo, se ingrandito, si presenta esso stesso come rete);
b). – D’altro lato, considerando la seconda descrizione fenomenologica con la quale Platone rappresenta la dissoluzione dell’ordine della comunità e la sequenza delle forme politiche prodotte dal prevalere di una passione sull’altra – dalla timocrazia all’oligarchia, dalla democrazia alla tirannide -, la logica della polis va colta dall’"alto verso il basso". Come ben sanno i lettori di Platone, il presunto "idealista" è infatti il "realista" più disincantato (al punto da calcolare il peculiare "algoritmo" che spiega il "difetto di incarnazione umana"! Si v. Rep., 546 a 1 ss.). Ragion per cui, rimanendo altamente indicativo il fatto che Platone esamini i rapporti gerarchici della Repubblica alla luce della loro progressiva corruzione, questa prospettiva non esclude la superiorità della facoltà teoretica dell’intelligenza sulla "irascibile" del coraggio e l’appetito dei sensi. In tutti questi casi, si ha a che fare con il profilo sincronico dell’indagine che esprime i rapporti di sovraordinazione tra stati qualitativamente differenti dell’essere;
c). – Infine, oltre ai rapporti gerarchici e alla distribuzione delle competenze che si danno nell’ambito della polis, dove ogni "nodo della rete" rappresenta "un" centro, occorre aggiungere che i rapporti tra le distinte classi sociali e le diverse attitudini e facoltà dell’uomo, vanno ordinandosi in modo reticolare. Con buona pace delle comuni letture platoniche che insistono sulla "ragione" del filosofo/re, è compito proprio della temperanza quello di ordinare il tutto. La virtù apparentemente meno nobile, tanto per il singolo uomo che per le differenti classi della società, "si estende allo stato tutto intero e fa cantare insieme, all’unisono, su tutta la scala, i più deboli, i più vigorosi e i mediani, li voglia classificare così in base all’intelligenza o al vigore o al numero o ai denari o qualsiasi altro simile criterio" (La Repubblica, 432 a 2-6, tr.it., cit., pp. 144-145).

Il principio dell’autonomia personale che inizia ad affiorare con il modello platonico, e che ritroviamo tanto negli odierni codici d’autoregolamentazione informatica, come anche nel criterio sussidiario della ripartizione delle competenze, conduce al principio di giustizia. Per quanto gli interpreti di Platone leggano la sua dottrina, ora, all’insegna proto hobbesiana della reductio ad unum del sovrano, ora, seguendo le gerarchie geometriche kelseniane sottese alla metafora della piramide, è significativo che al principio di giustizia, volto ad unificare "dall’alto" le tre classi sociali con le rispettive virtù, non sia assegnato un"luogo" proprio. Come Aristotele dichiara nella Metafisica, a proposito della dottrina "esoterica" delle idee numeri, la visione aritmo-geometrica del "modello dell’Agathon" ratifica lo scarto incolmabile che separa il criterio che orienta l’interazione umana, dai centri istituzionali del potere, proprio perché il principio di misura dell’"ordito" e della "trama" designa uno spazio vuoto (cfr. Metafisica, 1084 a 25 ss., tr.it., cit., p. 641, in cui Aristotele parla del concetto dell’Uno platonico come "punto senza posizione", ovvero, come egli afferma anche all’inizio dell’opera, "linea in-divisibile": op.cit., 991 a 19 ss., p. 61).
Tuttavia, anche rispetto le più recenti e avvertite conformazioni sistemiche e cibernetiche dell’ordinamento, parte della critica ha voluto stigmatizzare l’idea funzionale "a-centrica" dell’insieme. Pensiamo alle osservazioni di Bruno Romano nei confronti del Luhmann, per cui "la società dei sistemi, in quanto tale e se sviluppata con coerenza" – afferma lo studioso italiano -, "non ha un centro e non ha una periferia, ogni suo luogo può essere centro o periferia, perché tutti i ‘luoghi’-fasi sono delocalizzati, non sono ciò che sono per il loro essere quel luogo, ma per ricevere l’intersecarsi di informazioni e di trattamenti di dati, di operazioni dei molti sistemi – il giuridico, l’economico, il politico, quello degli strumenti di comunicazione, etc. -. Con il dire che non c’è un centro", questa la tesi del filosofo del diritto, "si indica anche che non c’è un ordine asimmetrizzante, costitutivo di una gerarchia, ove si dà la ragione giuridica formatrice sia dell’architettura dei diritti fondamentali, sia della specificità del terzo del diritto" (Terzietà del diritto e società complessa, Roma 1998, p. 76).
Riservandoci di tornare su questo fondamentale aspetto del problema – in fin dei conti, la filosofia di Platone offre esempio del principio "senza luogo" che orienta "una" gerarchia e l’ordine "asimmetrizzante" tra principio e principiato, regola e regolato, fondamento e fondato, etc. -, conviene avvertire da subito che la specificità della cifra reticolare dell’ordinamento (politico, giuridico ed economico) consiste nel fatto che ogni nodo della rete rappresenta, a suo modo, un centro, e dove, a sua volta, ogni centro istituzionale di potere è solo relativamente tale. Stante la distanza ontologica tra il principio e le diverse parti del tutto, è lecito infatti sostenere che le gerarchie che si danno all’interno della polis, non escludono il criterio dell’autonomia personale che stabilisce l’identità tra uomo e istituzioni. In altri termini: se, nel caso del Romano, la "mancanza del centro" è epifenomeno della fungibilità quantitativa di ogni snodo della rete, nel nostro caso, seguendo Platone, non è detto che la "mancanza del centro" non sia invece spia della impossibilità di trovare il principio dell’insieme in "un" luogo determinato.
D’altra parte, a conferma di questa pista ermeneutica, è sufficiente rinviare alla mutevolezza storica che alimenta output e input delle diverse parti del tutto, per cui la tradizione filosofica occidentale scorge proprio nella figura del "nodo", la dimensione temporale che media il profilo diacronico e sincronico, lineare e ciclico, dell’esperienza. Come Hegel dichiara nel capitolo sulla religione della Fenomenologia dello spirito, il nodo è quanto tiene assieme il momento "orizzontale" della scansione diacronica secondo cui la coscienza va evolvendo – sicché, prima viene lo spirito soggettivo, poi lo spirito oggettivo e, infine, l’assoluto; prima, la coscienza, poi l’auto-coscienza, etc. -, e il profilo "verticale" che qualifica l’ascesa alla piena consapevolezza di sé. "Se dunque", scrive Hegel, "l’una serie fin qui considerata, nel suo progredire segnava in lei per nodi i regressi, ma se ne disimpegnava nuovamente in una lunghezza, essa è oramai come rotta in questi nodi, i momenti universali, e frazionata in molte linee che, raccolte insieme in un fascio, si riuniscono poi simmetricamente, di guisa che le medesime differenze nelle quali ogni speciale linea prendeva forma entro di lei, vengono a coincidere" (op.cit., vol. II, tr.it., p. 203).
L’intuizione "reticolare" hegeliana getta luce sulla seconda ambiguità implicita nella figura del nodo. Avendo ricordato che la figura si presta a esprimere tanto il "legame" che unisce, quanto l’intreccio che separa e lega le diverse parti dell’insieme, è possibile chiarire qualcuno degli imbarazzi cui va incontro la dottrina, alle prese con i temi dell’informatizzazione del diritto, segnalando che lo snodo della rete mostra sia la successione diacronica dei momenti impliciti nei rapporti causali, sia la destrutturazione sincronica che è alla base dell'(auto-)apprendimento dei sistemi esperti. Anche a non riconoscere alcun merito informatico a Platone o a Hegel, bisogna ammettere che quando la doxa contemporanea allude a nodi o reti (neurali), essa sta in realtà discutendo della determinazione tecnica del tempo, nel senso che la figura precisa il luogo in cui la sequenza lineare delle prestazioni cognitive del sistema s’intreccia all’"asse verticale" che qualifica non solo la fenomenologia, ma, a questo punto, l’intelligenza umana in quanto tale.
Sul piano spaziale – seguendo le metafore del Cassese: dall’"alto verso il basso" o "dal basso verso l’alto" dell’agire comunicativo degli uomini -, il nodo è la chiave di volta della rappresentazione reticolare del diritto, che revoca in dubbio la rappresentazione more geometrico constructa imperniata sul principio di sovranità. Mentre infatti, sulla falsariga delle teorizzazioni medioevali del "cuore dell’animale", non è raro trovare ancora oggi studiosi impegnati alla ricerca di "un" vertice posto al "centro" delle istituzioni, invece, se si seguono le indicazioni di Platone, la figura del "nodo" viene piuttosto a ribadire l’asimmetria esistente tra le parti dell’insieme e il principio che fonda l’armonia del tutto. Per quanto possano essere notevoli gli scarti gerarchici tra input e output dei diversi nodi della rete, ogni elemento costitutivo del sistema, per le ragioni dette, ne rappresenta in realtà "un" centro (questa, a ben vedere, è l’idea di fondo implicita nelle moderne dichiarazioni universali dei diritti dell’uomo, a partire dalla proclamazione nordamericana del 1776, sino alle odierne tendenze "globali" del cosmopolitismo contemporaneo).
Per altro verso, sul piano temporale, la figura del nodo sfugge al falso dilemma sorto nelle abituali presentazioni della dottrina in tema di fonti, tra la dimensione lineare del sistema delle norme di produzione giuridica che si attua mediante i nomo-dotti dell’ordinamento, e l’insieme ciclico che qualifica l’insieme delle fonti extra-ordinem. In quanto "luogo" che media il profilo sincronico e il percorso diacronico dell’esperienza, all’interno della tensione esistente tra le premesse del ragionamento del giurista, tra fattispecie astratta e caso concreto, il nodo mette in evidenza l’intreccio della trasmissione (temporale) di input ed output tra i diversi elementi costitutivi della rete, in modo non solo lineare, ma reversibile. Laddove la questione è spesso emersa negli ultimi tempi in relazione ai programmi di auto-apprendimento dei sistemi esperti e con l’intelligenza "artificiale" delle reti neurali, mediante la figura del nodo si staglia, in un mondo "digitale", la struttura analogica della intelligenza intesa classicamente; ossia, alla lettera, come ana-logos, ciò che conduce "verso l’alto".
Rispetto alla consueta versione geometrica delle istituzioni, la rappresentazione reticolare del diritto, imperniata sulla figura del nodo e la dottrina relazionale del Grund, approda a tre conclusioni fondamentali (che corrispondono alle diverse logiche direzionali della Repubblica di Platone messe in luce dal diagramma):

a). – Sul piano teoretico, non è dato rinvenire, se non a fini convenzionali e operativi, il "centro" decisionale nel bel "mezzo" del sistema. Il principio dell’interazione umana non ha infatti un luogo proprio, dato che essa pone anzi la condizione affinché ogni elemento dell’insieme sia centrato;
b). – L’identità antropologica di soggetto e polis non esclude rapporti gerarchici tra le parti dell’insieme. La rappresentazione reticolare del diritto suggerisce piuttosto di pensare alle dinamiche "dall’alto verso il basso" care agli epigoni di Hobbes e ai seguaci di Kelsen, sulla scorta dei rapporti asimmetrici di input e output che connettono i nodi della rete;
c). – L’insieme delle dinamiche che infine alimentano la ripartizione delle competenze, decodifica la dimensione temporale come problematizzazione del principio che orienta l’interazione comunicativa dei soggetti. Si tratta di comprendere tanto le sequenze diacroniche di auto-referenzialità del sistema, quanto i processi sincronici d’auto-apprendimento. Per dirla con Platone, là dove la temperanza fa "cantare all’unisono" gli uomini, la giustizia è a sua volta il tempo in cui ciascuno trova (inventio) il "luogo" proprio.

Sostituendo la più diffusa versione tecnica del diritto come strumento della neutralizzazione dei conflitti interindividuali e mera sovrapposizione convenzionale delle norme volute dal sovrano, occorre adesso verificare le tesi delineate in rapporto alle frontiere tecnologiche degli ordinamenti giuridici contemporanei. Mentre i media dell’interazione comunicativa degli uomini si prefiggono l’obiettivo operativo di mediare i profili diacronici dell’auto-referenzialità del sistema con modelli di sinapsi artificiale, il plesso dei problemi e motivi riassunti all’insegna dell’informatica giuridica, conferma la disposizione reticolare dell’ordinamento emersa dal nostro schema; vale a dire: impossibilità di identificare un "centro" dell’insieme, se non a fini operativi; identità funzionale tra gli snodi e loro gerarchie; intreccio tra auto-apprendimento e auto-referenzialità del sistema, etc. Proprio a concedere che si è ancora lontani dall’implementazione di sofisticati sistemi esperti nell’ambito del diritto, tuttavia, con i primi programmi elementari di razionalizzazione informatica dell’ordinamento, ne va pur sempre dell’intelligenza umana.

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