PROLEGOMENI D’INFORMATICA GIURIDICA
di Ugo Pagallo

4. Il fondamento dell’informatica giuridica

Non sono mancati i contributi d’informatica giuridica che hanno sottolineato anche di recente, l’irriducibile novità delle fattispecie poste in esistenza dai media elettronici. Si va dalla puntuale analisi dei casi di contrattazione automatizzata in borsa, alle compravendite via internet, ai falsi digitali, alla tutela del copyright, sino alle complesse questioni riguardanti i codici di auto-regolamentazione di internet, il galateo informatico e le forme utopiche di democrazia diretta o il cyberdiritto. Al momento di onorare l’aggettivo qualificativo della disciplina, tuttavia, è come se i manuali e i volumi d’informatica giuridica finissero per interpretare le ricadute operative delle nuove frontiere della tecnica, alla luce delle categorie prese in prestito dalla reine Rechtslehre. Di qui, se non è raro trovare giuristi che pensano all’utilizzo dei nuovi programmi come a una forma più sofisticata di elaborare la premessa "maggiore" del sillogismo giuridico, risolvendo per ciò stesso i dilemmi "applicativi" della legge, occorre aggiungere che anche quando si è tentato di dar ragione della tensione che i nuovi strumenti elettronici sollevano, per così dire, "dal basso" dell’ordinamento, la tendenza prevalente è stata quella di qualificare le nuove fattispecie come se si trattasse di una verifica ulteriore della teorica della Grundnorm.
Possiamo inquadrare il vicolo cieco in cui va a parare più spesso la dottrina, secondo quattro osservazioni principali:

a). – In primo luogo, è necessario ribadire la natura "virtuale" del diritto inteso come "tecnica della tecnica". L’ordinamento giuridico appare come sovrapposizione convenzionale di norme alla naturale entropia intersoggettiva, proprio perché il giurista informatico, quando deve dar conto della validità dell’ordinamento, rinvia al titolo formale di chi ha posto in essere l’atto, sulla base della corrispettiva norma sovraordinata di autorizzazione (si tratta del problema che, sul piano della teoria generale del diritto, si traduce con i "fatti normativi" dell’informatica giuridica);
b). – Secondariamente, in ragione del nesso di "imputabilità", e non di "causalità", tra regola e regolato, norme attive e passive dell’ordinamento – secondo la formula: "se A, allora (dev’essere) B" -, la dottrina rappresenta metaforicamente il diritto con l’immagine della piramide. Il passaggio dalle norme sott’ordinate ("B") alle norme sovraordinate ("A") del sistema, comporta infatti una riduzione di tipo quantitativo, fino a giungere ad un’"unica" Costituzione (si tratta della reductio ad unum del sistema delle fonti, in contrasto con la rappresentazione reticolare del diritto);
c). – L’"ultima" norma che chiude e sancisce l’autoreferenzialità tecnica del diritto, non è tuttavia norma al modo in cui lo sono tutte le altre norme del sistema. La norma fondamentale è infatti presupposta, non posta, al modo in cui sono poste tutte le altre norme dell’ordinamento, dato che la Grundnorm rappresenta la condizione che garantisce la coerenza e la validità dell’intero sistema di norme del diritto positivo (si tratta della separazione tra Sein e Sollen che, non di meno, l’implementazione dei nuovi media dell’interazione comunicativa dei soggetti sta di fatto revocando in dubbio);
d). – Infine, con la fondamentale differenza tra principio di validità del diritto e sfera di effettività delle norme che compongono l’ordinamento, affiora l’"unicità" della Grundnorm. Sulla base della distinzione tra fondamento e fondato, principio e principiato, la norma fondamentale rappresenta il fondamento ultimo del diritto, essendo l’a priori che rende intellegibile la natura auto-referenziale dell’ordinamento come strumento a disposizione dei fini più vari (si tratta dell’errore logico in cui incorre la dottrina gerarchica del Grund, allorché pensa ad un fondamento che fondi, e cioè, che condizioni, senza essere condizionato).

In ragione di queste premesse, e riprendendo i temi che su diritto e tecnica hanno discusso Irti e Severino, iniziamo a capire perché una delle principali obiezioni che il giurista muove al filosofo, sottolinea il fatto che le considerazioni sulla tecnica di Severino, conducono ad una nuova forma surrettizia di giusnaturalismo, il gius-tecnicismo. A differenza delle tesi del Borruso, si pensa non a tradurre con gli algoritmi dei programmi informatici, la volontà politica del sovrano; ma, a sostituire il disposto della norma fondamentale con un nuovo imperativo tecnologico. "Nella tecnica totalmente dispiegata", afferma infatti Severino, "la norma suprema, da cui tutte le altre discendono – la suprema legge ‘morale’ – è agire assumendo come forma dell’agire la volontà di accrescere all’infinito la potenza della tecnica – che non è semplicemente potenza ‘tecnologica’ nel senso del riduttivismo scientifico e fisicalistico, ma è la potenza nella totalità possibile delle sue espressioni, quindi di promuovere anche tutte le potenze dell”anima’ e dello ‘spirito’" (Dialogo su diritto e tecnica, cit., pp. 34-35).
Senza entrare nel dettaglio dell’argomentazione del filosofo, per cui "è necessario (…) che la dominazione della tecnica divenga Grundnorm e imperativo categorico", è altamente rilevatore che la maggiore preoccupazione del giurista si concentri nello stigmatizzare che "il filosofo finisce per dirci quali norme debbono essere (data una norma suprema, posto un fondamento contenutistico, tutte le regole inferiori se ne lasciano dedurre con precisa esattezza); il giurista si limita ad indicare come quelle, o diverse od opposte, pretese possono farsi norme. Il filosofo è solidale con una parte in causa; il giurista è spettatore del conflitto tra le pretese e, come tale, non sa rispondere se queste o quelle siano proprio le norme che debbano emanarsi" (op.cit., p. 59). Riformulando altrimenti la questione, si può dire che "quando Severino eleva la volontà di crescita della tecnica a ‘norma suprema, da cui tutte le altre discendono’, egli, da un lato, sostituisce un fondamento contenutistico al fondamento procedurale, e, dall’altro, intronizza la tecnica nel luogo di Dio" (op.cit., p. 58).
Nel caso dell’Irti, come già nelle considerazioni del Gavazzi o del Borruso, siamo di fronte, per così dire, a emblemi del modo in cui i giuristi leggono correntemente il rapporto tra diritto e tecnica: in effetti, la relazione è presentata come se fosse il caso di aggiornare elettronicamente la premessa maggiore del sillogismo, al fine di applicare "imparzialmente" la volontà del sovrano al caso concreto. Quasi che, avanzando l’idea che la tecnica sia destinata a trasfigurare il senso della norma fondamentale, la tesi del filosofo fosse solo un attentato alla "purezza" procedurale dei nomo-dotti del diritto; e che, al segnalare le novità apportate dagli odierni media dell’interazione comunicativa degli uomini, il giurista informatico mostrasse di difendere semplicemente l’interesse e le prospettive accademiche della propria disciplina!
L’equivoco che si annida nei ragionamenti dei giuristi, dipende in larga parte dalla circostanza che, sempre più spesso, la dottrina ha nutrito l’illusione di aver individuato nella Grundnorm, la forma che media senza essere condizionata dal contenuto materiale dell’esperienza. La tecnica "neutra" ed "autoreferenziale" sottratta al divenire storico, (im)pone, sul piano logico, il più rigoroso aut-aut: o la tecnica subentra alla norma fondamentale come fondamento "ultimo" del diritto (e, allora, come vuole Irti, è riservato al giurista il solo "onorevole silenzio" dovuto al "nuovo dio"); oppure, la tecnica rimane un "oggetto" disciplinato dalle norme del diritto e, quindi, non si vede in cosa consista la novità delle frontiere tecnologiche dell’ordinamento. Ridotto l’impatto informatico alla semplice modalità per cui si precisa il diritto "valido" della comunità, risulta tuttavia palese l’errore logico in cui è incorsa la dottrina allorché ha pensato di rinvenire un fondamento che fondi, senza essere condizionato.
Ammettendo che l’essenza del fondamento sia "assoluta" poiché, e contrario, non potrebbe fondare nemmeno se stessa, è infatti il caso di ricordare ai giuristi che, sul piano logico, il fondamento è sempre "relativo" a quanto fonda, e cioè, in rapporto a qualcosa di determinato. Salvo prova contraria, è pur sempre la norma fondamentale della reine Rechtslehre che rinvia a due condizioni (ossia, al senso del dovere come conditio per quam del diritto, e al potere effettivo come conditio sine qua non delle istituzioni). Sicché, se anche i giuristi sono pronti a concedere nei loro scritti, che la costruzione scientifica, formale e "pura" dell’ordinamento, smette di avere significato in caso di guerra civile, ciò significa che occorre arrendersi all’evidenza, e che i reciproci condizionamenti dell’aspetto formale del fondamento e del contenuto materiale del fondato, illustrano bene la ragione per cui, nonostante tutto, la dottrina avverte persistente la tensione tra le premesse del sillogismo (su cui infra § 8).
Nel caso dell’informatica giuridica, questa tensione comporta che il presunto "mezzo" con il quale si mira a rimodernare i vecchi ideali della "geometria legale", finisce per incidere sul fine stesso del positivismo. Basti far cenno a uno degli effetti maggiormente significativi della informatizzazione del diritto e, in genere, della introduzione dei nuovi media nell’interazione comunicativa degli uomini. La dematerializzazione digitale dei rapporti tra i privati ha indotto la più attenta dottrina a scoprire la nuova natura del luogo in cui avvengono compravendite via computers, sottoscrizioni in assenza di chi firma, o la presenza di una volontà resa automatica tramite programmi software. I traffici economici e finanziari, commerciali e criminali, che i soggetti pubblici e privati, nazionali e sovranazionali, intrattengono attraverso le più disparate tecnologie, spiazzano, in maniera sempre più lampante, i tradizionali confini giuridici degli stati. Assunto il territorio a elemento costitutivo dello stato, e quest’ultimo a modello della nozione idealtipica del diritto, è significativo che l’era della cosiddetta "globalizzazione", favorita in larga scala proprio dalle frontiere informatiche della rivoluzione in corso, sfugga ai confini giuridici nazionali, facendoli apparire "troppo grandi" o/e "troppo piccoli".
Riservandoci di tornare su questo aspetto del problema – e senza sottoscrivere l’affermazione che, già sin d’ora, gli individui sono nella condizione di prescegliere l’ordinamento in base ai propri interessi -, preme sottolineare che i modi in cui i programmi informatici e telematici, i sistemi esperti e le reti neurali, riconfigurano la "materialità" dei rapporti intersoggettivi, è tutto sommato un buon esempio dell’interdipendenza tra forma e contenuto delle fattispecie giuridiche. Quanto meno i giuristi avvertono la debolezza della tesi che vede nei media elettronici il semplice "mezzo" per rendere attuali gli ideali illuministi della certezza del diritto – mero "oggetto" da disciplinare mediante l’insindacabile volontà del sovrano -, tanto maggiore affiora la crisi della metafora con cui Kelsen e, con lui, generazioni di studiosi di diritto positivo, hanno voluto rappresentare la struttura formale e positivistica dell’ordinamento.
Le ragioni della crisi che investe la figura della piramide, possono essere chiarite in rapporto a due considerazioni principali:

a). – In primo luogo, la configurazione spaziale degli ordinamenti giuridici, avvenuta sotto l’impulso della tecnica, mette in mora la tradizione moderna del principio di sovranità, che, dal Leviatano di Hobbes alla dottrina costituzionale di Kelsen, si propone di individuare l’"ultima" norma del sistema e il suo "centro". L’impatto delle nuove tecnologie revoca in dubbio, sul fronte interno, le tesi "moniste" che perseguono ancora (vanamente) la reductio del sistema ad un’unica fonte; sul piano internazionale, invece, una volta incrinato il dogma della sovranità dello stato, non è un caso che l’odierno dibattito tra globalisti e neo-realisti, non possa essere rubricato sotto la corrente contrapposizione di "monismo" e "dualismo". Là dove i teorici del globalismo corrono il rischio di proiettare su scala planetaria, categorie oramai in crisi sul territorio nazionale, i neo-realisti, per dar conto dei problemi posti dalla rivoluzione tecnologica, sono costretti a coniare sintomatici ossimori – dall’"ordine anarchico" di Kenneth Waltz all’"anarchia cooperativa" di Hedley Bull -, e, comunque, ad abbandonare il principio di sovranità su cui fa leva ogni visione "dualistica" delle relazioni giuridiche sovranazionali (per l’approfondimento di questi temi rimandiamo a quanto detto in Testi e contesti dell’ordinamento giuridico, Padova 2001, pp. 187 ss.);
b). – D’altra parte, il dato effettuale emerso con l’informatizzazione del diritto, non è che una riprova della tesi che non c’è fondamento che fondi, senza essere a sua volta condizionato. La tensione dialettica tra le due premesse del sillogismo, tra fattispecie astratta e caso concreto, spiega perché il "mezzo" mediante il quale l’ordinamento regola la tecnica come proprio "oggetto", incide, in realtà, sul fine da ordinare. Si tratta del condizionamento che lega reciprocamente il profilo formale del fondamento al contenuto materiale del fondato; per cui, senza smarrire la differenza tra i termini del rapporto, tra regola e regolato, non ci si abbandona all’illusione, tipica dell’odierna scienza giuridica, di trovare il "centro" del sistema e la "base" su cui far poggiare le istituzioni. Accantonato il significato edile della metafora, il fondamento, anche, e soprattutto, nel caso dell’informatica giuridica, esige che si indaghi piuttosto la tensione che si dà alle radici dell’interazione giuridica dei soggetti mediata elettronicamente (per i profili teoretici della questione rimandiamo a quanto abbiamo precisato in Alle fonti del diritto. Mito, scienza, filosofia, Torino 2002, pp. 190 ss.).

Archiviata la speranza di trovare la base su cui poggia l’intero ordinamento, occorre in cambio individuare una figura più consona a dar conto del fondamento del sistema. Al posto della metafora della piramide – che tradisce, da un lato, l’errore logico del Grund come principio che fonda senza essere condizionato; e, dall’altro, la tentazione storica di perpetuare il dogma del principio di sovranità -, è necessario pervenire ad una più scaltra rappresentazione dei sistemi giuridici contemporanei. Se infatti, oltre alle pretese "neutre" ed "oggettive" della rappresentazione more geometrico delle istituzioni, l’informatizzazione del diritto esalta praticamente i vizi teoretici impliciti nelle opinioni maggioritarie della dottrina, è il caso di notare che non sono mancati tentativi di decodificare il senso complessivo dei nuovi orizzonti prodotti dalla realtà "virtuale" degli strumenti elettronici, in rapporto a una nuova metafora. Come vedremo a continuazione, alla virtualità dell’ordinamento espressa dalla piramide, fa seguito la tesi che gli odierni sistemi di diritto positivo devono essere colti all’insegna della "rete".

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