PROLEGOMENI D’INFORMATICA GIURIDICA
di Ugo Pagallo

2. Due accezioni di virtuale

Le forme secondo cui è stata di frequente decodificata la relazione di diritto e tecnica, nascondono due accezioni antitetiche del termine "virtuale".
In primo luogo, s’intende per "virtuale" la specifica struttura dei media che accomuna telematica ed informatica, cibernetica ed intelligenza artificiale, reti neurali e "realtà aumentata", sistemi esperti e di riconoscimento, programmi software automatizzati, video-simulazioni, etc. In tutti questi casi, virtuale è il nuovo piano dell’agire comunicativo dei soggetti che si affianca alle consuete categorie filosofiche del reale, effettivo o materiale. Quand’anche si discuta tuttora della ricaduta operativa del mezzo e la natura della tecnica come "fine" o "strumento", rimane tuttavia il fatto che la realtà dei nuovi programmi problematizza alla radice le tradizionali nozioni (giuridiche) di spazio e di tempo. Nell’interazione elettronica mediata da bit e bytes, emerge tutta una serie di nuove fattispecie che, dalla firma elettronica al contratto tra agenti software, dalle forme di criminalità informatica alla tutela della privacy, al copyright e all’identità personale, dipende dal peculiare linguaggio digitale del "mezzo" elettronico.
D’altra parte, seguendo la falsariga per lo più adottata dalla scienza giuridica contemporanea, la nozione "virtuale" ha suggerito la neutralizzazione di quanto la tradizione filosofica occidentale identifica con il reale, l’effettivo o il materiale. Assumendo come modello la reine Rechtslehre del Kelsen, l’ordinamento giuridico delineato dal Gavazzi, dall’Irti o dal Borruso, coincide con la sovrapposizione convenzionale di norme alla naturale entropia dei soggetti, là dove, ridotta l’esperienza giuridica al tenore semantico delle disposizioni di diritto positivo, e quest’ultime alla volontà del sovrano, sembra quasi che l’informatica giuridica sia destinata ad aggiornare il fine kelseniano del diritto come tecnica del controllo sociale. Così come la realtà virtuale dei media propone una nuova serie di settori e problemi giuridici da disciplinare, da internet al cyberspazio, dall’interazione automatizzata dei computers alla telematica, allo stesso modo – pensiamo alle tesi del Borruso – non sorprende che i giuristi abbiano immaginato di tradurre i testi di legge, con l’algoritmo del software che (si spera) non sia costituzionalmente illegittimo.
Quest’ulteriore accezione giuridica del "virtuale" rimanda, sul piano epistemologico, alla nota distinzione kelseniana di essere e dover essere, tra Sein und Sollen, is and ought. I ragionamenti iuris et de iure e la logica giuridica che orienta larga parte dei contributi d’informatica, conducono al nesso d’imputabilità messo a punto dall’autore della reine Rechtslehre. Questo significa che mentre, dal punto di vista fattuale, la rappresentazione delle norme vigenti nell’ordinamento, presuppone un potere "in atto" e non solo "in potenza", dal punto di vista logico, è come se le costruzioni del giurista avessero presa sulla realtà. Lasciato in parentesi il contenuto materiale delle relazioni comunicative tra gli uomini, si tratta di stabilire la premessa "maggiore" di cause fin qui sconosciute all’ordinamento, onde "applicare" la fattispecie astratta prevista dalla legge. Come se, cioè, nel frattempo, i casi dell’informatica giuridica non avessero contribuito ad incidere profondamente sui presupposti teorici dai quali si muove.
In realtà, lungi dall’approdare ad una versione "pura" avalutativa e oggettiva del diritto, la peculiare configurazione virtuale dell’ordinamento presente nei testi d’informatica, postula una particolare relazione di "mezzi" a "fine" (cosicché, contrariamente a quanto si aspettano i giuristi, l’ordinamento si ritrova a fare i conti con un giudizio di valore). Mentre la prima definizione di virtualità fa infatti leva sull’intrinseca novità del "mezzo" che media le relazioni giuridiche degli individui, nella maggior parte dei casi, sulla scia di Kelsen, il giurista muove dall’assunto che gli strumenti della tecnica siano "neutri" rispetto ai problemi e ai fini affrontati. Se l’informatica giuridica è più spesso vista come mezzo di rapporti intersoggettivi indeclinabili, al fine di garantire la volontà sovrana tradotta nella logica proposizionale di Boole, il diritto dell’informatica presuppone che il problema posto dai nuovi media, consiste nel trovare l’adeguata misura coercitiva per le fattispecie elettroniche: "se A, allora (dev’essere) B".
Il maggiore limite che gli attuali contributi d’informatica giuridica mostrano rispetto ai tre sotto-settori indicati in precedenza, dipende così dall’aver privilegiato gli aspetti tecnico-giuridici e tecnico-matematici della disciplina, e dal non aver tenuto conto delle implicazioni teleologiche che la propria prospettiva comporta. Tanto più si è pensato che gli strumenti della telematica e la cibernetica offrono il modo "nuovo" di continuare a svolgere quanto i giuristi realizzano da secoli – e cioè, dirimere le controversie intersoggettive -, tanto meno si è avvertito che la "virtualità" degli strumenti con cui si pretende di aggiornare i fondamenti del positivismo giuridico, ha incidenza sulle stesse premesse dalle quali muove il positivismo. Quando Gavazzi dichiara che le nuove apparecchiature elettroniche saranno un giorno in grado di raggiungere l’ideale illuministico di leggi certe e di un ordinamento completo e coerente; se Irti ha potuto vedere nella tecnica un semplice "nuovo" oggetto da disciplinare mediante i nomo-dotti del diritto; e allorché, infine, Borruso ritrova nei computers l’oracolo tecnologico del vecchio brocardo romano, da mihi factum, dabo tibi jus; in tutti questi casi, la scientificità del ragionamento del giurista rinvia alla capacità di mettere a punto il nesso tra le premesse del sillogismo, tra caso concreto e fattispecie astratta, come se, nell’era dei computers, il nodo fosse solo quello della interpretazione e della applicazione della legge, e non tanto della "moderna" sua creazione.
Possiamo riassumere le petizioni di principio che si annidano in dottrina, in ragione di tre punti principali:

a). – Innanzitutto, la specifica "virtualità" delle nuove tecnologie è stata spesso omologata alla rappresentazione more geometrico constructa dell’ordinamento à la Kelsen. Com’è apparso dagli esempi ricavati dai testi di alcuni tra i più illustri teorici del diritto in Italia, si ricorre all’informatica per aggiornare la vecchia tesi hobbesiana che sovrappone al conflitto intersoggettivo caratteristico dello stato di natura, l’ordine della società civile imperniato sul comando unico del sovrano. Nonostante il fatto che i media informatici lascino impregiudicata la questione di a chi spetti la decisione "ultima" nello stato di eccezione, i nuovi strumenti dovrebbero essere almeno in grado di definire il senso secondo cui interpretare la decisione del potente di turno.
b). – All’idea kelseniana che il diritto sia una tecnica del controllo sociale che si attua mediante la minaccia di misure coercitive, segue il tentativo di mediare gli sviluppi liberali e democratici del sistema, da Locke a Rousseau, con la traduzione elettronica della volontà sovrana. L’illusione è che la nuova dimensione in cui va collocata l’interazione comunicativa dei soggetti, non comporti l’esigenza di ridiscutere la tesi ereditata dalle procedure formali del positivismo; ossia, che la "forma del diritto" esca inalterata dalla regolamentazione delle nuove figure cibernetiche e che la legittimazione democratica e liberale dell’ordinamento risulti insensibile ai temi trattati dall’informatica.
c). – Infine, la risoluzione dei problemi tecnico-matematici e tecnico-giuridici sollevati dalla nostra disciplina, sono affrontati come se fossero "neutri". Allo stesso modo in cui il giurista di Praga si vantava che la "teoria pura del diritto" fosse indifferente ai diversi giudizi di valore e ai principi delle più disparate ideologie, dal marxismo al fascismo, dal liberalismo al nazismo, i diversi contributi dell’informatica giuridica tendono ad affrontarne i temi nel modo in cui lo fa Irti, come se, cioè, non fosse il caso di misurarsi con i problemi che la tecnica, nelle più aggiornate versioni della telematica wi-fi e dell’intelligenza artificiale, pone al diritto. Secondo la relazione tra regola e regolato, principio e principiato, il nesso tra diritto e tecnica è assunto come se fosse unidirezionale, proprio perché s’insiste sull’idea che la forma "virtuale" del diritto non è chiamata a trasfigurarsi per via della natura "virtuale" del mezzo disciplinato con legge.

Le presenti riflessioni non mirano in alcun modo a contestare la specificità del ragionamento matematico e giuridico implicito nei temi dell’informatica nel diritto. Se non mancano motivi di interesse nel fatto che i sistemi binari di formalizzazione matematica dei programmi software cedono il passo a modelli di feed-back loop cibernetico e a reti neurali, il problema va tuttavia colto su di un piano ancor più astratto e generale. Quando, infatti, i contributi giuridici d’informatica scambiano la specificità virtuale dei media con le modalità per raggiungere gli obiettivi della rappresentazione convenzionale del diritto, imperniata sulla grande divisione di essere e dover essere, tra Sein e Sollen, gli studi d’informatica giuridica danno luogo ad una prima rappresentazione dell’ordinamento, come riduzione tecnica del diritto (nel duplice senso di "mezzo" per la regolamentazione delle interferenze intersoggettive e "forma" indifferente ai giudizi di valore e ai contenuti materiali dell’esperienza).
Per altro verso, concependo il diritto come strumento di controllo sociale, che si attua mediante la minaccia di misure coercitive, il ragionamento del giurista aspira sin dai tempi di Hobbes, alla "purezza" del sapere avalutativo riservato alle scienze esatte. Pensiamo all’epistola dedicatoria del De cive e a quanto il filosofo inglese dichiara sulla "geometria" come modello paradigmatico del sapere. Alla luce delle procedure telematiche ed elettroniche dell’ordinamento, allorché assistiamo agli studi di giurimetria del Borruso, o ai tentativi del Ferrajoli di assiomatizzare le premesse del sillogismo giuridico, torna alla ribalta il sogno che fu anche di Leibniz, per cui, "quando sorgeranno delle controversie, non ci sarà maggior bisogno di discussione tra due filosofi di quanto ce ne sia tra due calcolatori. Sarà sufficiente, infatti, che essi prendano la penna in mano, si siedano a tavolino, e si dicano reciprocamente (chiamato, se loro piace, un amico): calcoliamo" (G.W. LEIBNIZ, Sulla scienza universale o calcolo filosofico, tr.it. in Scritti di logica, a cura di Francesco Barone, vol. I, Roma-Bari 1992, p. 172).
Secondo prospettive riprese più spesso dalle scuole neo-kantiane, ridotto il diritto a legge, e quest’ultima a volontà del sovrano, la "tecnica del diritto" si trasforma per ciò stesso in "tecnica della tecnica". Come emerso del resto dal dialogo tra Irti e Severino, il diritto, "mezzo" a favore dei "fini" più vari, "forma" indifferente ai contenuti materiali dell’esperienza, è lo strumento che si avvale dei nuovi ricavati tecnologici, per risolvere i problemi che l’era informatica pone con l’impiego dei personal computers. Allo stesso modo in cui la tecnica del diritto è indifferente ai contenuti del diritto della tecnica, così, il genitivo va sempre e solo colto in senso oggettivo, dato che i media informatici e telematici, i sistemi esperti, le reti neurali e i tentativi della cosiddetta intelligenza artificiale, appaiono, a volte, come il semplice "strumento" con cui il giurista continuerà a svolgere le proprie mansioni; a volte, invece, come l’"oggetto" della disciplina normativa che lo studioso d’informatica contribuirà (forse) a programmare. Nella duplice accezione di "materia" regolata da norme e "mezzo" con cui l’ordinamento disciplina le nuove frontiere tecnologiche della scienza, la specifica dimensione virtuale della tecnica sfocia nell’idea dell’ordinamento come strumentalità raddoppiata o "virtualità al quadrato".
Del resto, l’affinità tra la specifica dimensione "virtuale" dei mezzi di cui dispone l’ordinamento, e la configurazione altrettanto virtuale del sistema giuridico, ereditata dalla tradizione geometrica delle istituzioni, muove dall’assunto, ancora tutto da dimostrare, che la tecnica (del diritto) non ha fini propri. Senza insistere sulle aporie in cui sono incorsi tutti gli studiosi che – sulla scia di Hobbes, arrivando sino agli allievi di Kelsen -, pensano di sottrarre la logica giuridica alle lusinghe dei giudizi di valore, occorre insistere sul dato che gli studi d’informatica accolgono spesso l’idea che la tecnica, come attività progettuale dell’uomo e suo sapere specialistico, risulti alcunché di "neutro". Quasi che, formulando altrimenti la questione, la cifra virtuale che accomuna i diversi casi dell’identità cibernetica e le interazioni elettroniche automatizzate, con i problemi di privacy e le nuove forme di (non) comunicazione intersoggettiva, lascino inalterate le categorie e le figure con le quali si è rappresentato il diritto negli ultimi secoli!
A smentire però l’asserto, implicito di sovente nei volumi e negli studi giuridici di informatica, è sufficiente menzionare il caso della bomba atomica, costruita con l’aiuto dei primi rudimentali calcolatori elettronici, nonché la circostanza, piuttosto significativa, per cui ciò che oggi compendiamo con il nome di Internet, è il diretto derivato delle ricerche militari (nordamericane) di Arpanet. Se l’intreccio tra esigenze d’ordine bellico e rivoluzione tecnologica ha messo fuori giuoco il significato autentico e originario del principio di sovranità – in quanto, nell’era atomica, per dirla con Jean Bodin, "sovrano è colui che non dipende se non dalla propria spada" -, allo stesso modo, le frontiere informatiche dell’ordinamento, sorte a seguito della "guerra fredda" e dei programmi di Arpanet, sono il più appariscente emblema della crisi che attraversa il tradizionale concetto spazio-temporale del diritto positivo. Anticipando temi e problemi che affronteremo nel corso delle pagine seguenti, pensiamo alle questioni relative al "luogo" dei rapporti elettronici tra soggetti, privati e pubblici, nazionali e internazionali, e al "tempo" auto-referenziale di sistemi cibernetici integrati. Quanto insomma intendiamo suggerire, è che la stessa realtà "virtuale" dell’informatica incide profondamente sulla configurazione virtuale del diritto offerta in chiave formale, procedurale e "pura" dai giuristi.
Per chiarire le modalità secondo cui la prima accezione di virtualità, lungi dal piegarsi docilmente alla declinazione giuridica della seconda, la modifica alla radice, è necessario cogliere, per una volta, il genitivo della formula – "diritto della tecnica" – in senso soggettivo. Infatti, ancor prima di esaminare alcuni contributi di informatica giuridica, è opportuno aprire una (breve) digressione filosofica. Nel caso in cui si dovesse giungere alla conclusione che la tecnica non è il semplice mezzo a disposizione dei fini più vari, ma incide necessariamente sulle finalità che ci si propone ottenere con il suo impiego, avremmo colto la giusta prospettiva per giudicare la tendenziale polverizzazione specialistica dei saperi, cui si assiste come conseguenza dei profili informatici del diritto. Esaminando il problema dell’essenza della tecnica e del suo fondamento, saremo finalmente in grado di riformulare i principi e le categorie della scienza giuridica contemporanea, secondo una più consona rappresentazione "reticolare" delle istituzioni.

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