DIRITTO COSTITUZIONALE E SISTEMA ECONOMICO:
IL RUOLO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
di Luigi D’Andrea
Università degli Studi di Messina
Questa, invero, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, e deve soggiacere ai controlli necessari perché possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (art. 41, secondo e terzo comma): e tali vincoli sono fatalmente scavalcati o elusi in un ordinamento che consente l’acquisizione di posizioni di supremazia senza nel contempo prevedere strumenti atti ad evitare un loro esercizio abusivo. L’utilità ed i fini sociali sono in tal modo pretermessi, giacché non solo può essere vanificata o distorta la libertà di concorrenza – che pure è valore basilare della libertà di iniziativa economica, ed è funzionale alla protezione degli interessi della collettività dei consumatori (sentenza n. 223 del 1982) – ma rischiano di essere pregiudicate le esigenze di costoro e dei contraenti più deboli, che di quei fini sono parte essenziale. Ciò ostacola, inoltre, il programma di eliminazione delle diseguaglianze di fatto additato dall’art. 3, secondo comma, Cost., che va attuato anche nei confronti dei poteri privati e richiede tra l’altro controlli sull’economia privata finalizzati ad evitare discriminazioni arbitrarie” [62] . Ed analogamente, in una pronunzia di poco successiva, il giudice delle leggi, riconoscendo che l’integrazione salariale, garantendo una posizione di parità a tutti gli imprenditori, mira a salvaguardare “le condizioni della loro efficienza, della loro potenzialità e competitività; in genere, a garantire i valori aziendali, la permanenza delle imprese in un mercato libero, il mantenimento delle regole della libera concorrenza che in esso vigono, nonché il sistema economico produttivo vigente”, qualifica la normativa relativa come diretta “a realizzare proprio quei fini di utilità sociale ai quali deve essere finalizzata l’attività imprenditoriale” [63] .
Naturalmente, la giurisprudenza costituzionale in materia di concorrenza ha fortemente risentito (come si è già accennato) dell’influenza della giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, alla quale non ha mancato e non manca di fare puntualmente riferimento: al riguardo, tra le pronunzie più recenti si menziona qui la sent. n. 45/2010, che, ribadendo un consolidato orientamento, precisa che “la nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 della Costituzione ‘non può che riflettere quella operante in ambito comunitario’ (sentenza n. 401 del 2007).
Avendo riguardo al diritto europeo, devono, pertanto, essere ricomprese in tale nozione: a) ‘le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione’ (sentenza n. 430 del 2007): si tratta, in sintesi, di misure antitrust; b) le disposizioni legislative ‘di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese’ (citata sentenza n. 430 del 2007): si tratta, in sintesi, di misure volte ad assicurare la concorrenza ‘nel mercato’; c) le disposizioni legislative che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione di tali procedure in modo da assicurare ‘la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici’ (sentenza n. 401 del 2007): si tratta, in sintesi, di interventi mirati a garantire la concorrenza ‘per il mercato’ (da ultimo, sentenza n. 160 del 2009)” [64] .
In conclusione di tale breve rassegna giurisprudenziale, da cui sembra trovare significative conferme il criterio di lettura della costituzione economica qui prospettato, imperniato sul principio di sussidiarietà, si ritiene utile richiamare due recentissime sentenze (entrambe sono del 2010) del nostro giudice costituzionale, che si mostrano sensibili all’esigenza di valutare il riparto delle risorse finanziarie tra i diversi livelli territoriali di governo (in attesa del completamento della tanto discussa riforma in senso federale del sistema di finanza pubblica) dal punto di vista dei diritti fondamentali dei cittadini (cioè: dell’effettiva protezione dei diritti fondamentali dei cittadini), e, in generale, in relazione alla situazione economica complessiva, individuando un faticoso punto di equilibrio tra ragioni spesso confliggenti e difficilmente componibili: tali sentenze vengono adesso segnalate perché anch’esse si collocano nella prospettiva, dal principio di sussidiarietà esigita, dello stretto collegamento tra il piano dell’organizzazione dei pubblici poteri ed il terreno dell’esperienza comunitaria, conformando il primo in funzione di una congrua tutela dei bisogni e delle istanze (costituzionalmente rilevanti) presenti nel secondo.
Nella sent. n. 10 /2010 la Corte ha sindacato la legittimità costituzionale di norme “preordinate ‘al soddisfacimento delle esigenze prioritariamente di natura alimentare e successivamente anche energetiche e sanitarie dei cittadini meno abbienti’” e miranti a ‘soccorrere le fasce deboli di popolazione in stato di particolare bisogno’” (la c.d. “social card”) (commi 29 e 32 dell’art. 81 legge 6 agosto 2008, n. 133, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria). Perciò tali norme, rileva la Corte, in quanto “preordinate ad alleviare una situazione di estremo bisogno e di difficoltà nella quale versano talune persone, mediante l’erogazione di una prestazione che non è compresa tra quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario”, delineano “un intervento di politica sociale attinente all’ambito materiale dell’assistenza e dei servizi sociali, oggetto di una competenza residuale regionale (per tutte, sentenze n. 168 e n. 124 del 2009; sentenze n. 168 e n. 50 del 2008). La finalità delle disposizioni impugnate e l’ambito sul quale esse incidono non consentono, tuttavia, di ritenere vulnerati i parametri costituzionali evocati dalle ricorrenti e di negare il potere del legislatore statale di realizzare l’intervento in esame”. Infatti, la previsione di cui all’art. 117, II c., lett. m), Cost., che attribuisce allo Stato in via esclusiva la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, “si riferisce alla fissazione dei livelli strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto (ex plurimis, sentenze n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008); dunque essa può essere invocata in relazione a specifiche prestazioni delle quali le norme statali definiscono il livello essenziale di erogazione (sentenze n. 328 del 2006, n. 285 e n. 120 del 2005, n. 423 del 2004).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, con tale titolo di legittimazione è stato attribuito al legislatore statale ‘un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto’ (sentenza n. 134 del 2006). Non si tratta, infatti, di una ‘materia’ in senso stretto, bensì di una competenza trasversale, idonea cioè ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore statale deve poter predisporre le misure necessarie per attribuire a tutti i destinatari, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sentenze n. 322 del 2009 e n. 282 del 2002).
Siffatto parametro costituzionale consente, quindi, una restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione (sentenza n. 387 del 2007) e, appunto per questo, esso, da un lato, non permette allo Stato di individuare il fondamento costituzionale della disciplina di interi settori materiali (sentenze n. 383 e n. 285 del 2005). Dall’altro, può, invece, essere invocato anche nei particolari casi in cui la determinazione del livello essenziale di una prestazione non permetta, da sola, di realizzare utilmente la finalità di garanzia dallo stesso prevista (espressiva anche dello stretto legame esistente tra tale parametro ed i principi di cui agli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.). In particolare, la ratio di tale titolo di competenza e l’esigenza di tutela dei diritti primari che è destinato a soddisfare consentono di ritenere che esso può rappresentare la base giuridica anche della previsione e della diretta erogazione di una determinata provvidenza, oltre che della fissazione del livello strutturale e qualitativo di una data prestazione, al fine di assicurare più compiutamente il soddisfacimento dell’interesse ritenuto meritevole di tutela (sentenze n. 248 del 2006 e n. 383 e n. 285 del 2005), quando ciò sia reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari circostanze e situazioni, quale una fase di congiuntura economica eccezionalmente negativa.
Un tale intervento da parte dello Stato deve, in altri termini, ritenersi ammissibile, nel caso in cui esso risulti necessario allo scopo di assicurare effettivamente la tutela di soggetti i quali, versando in condizioni di estremo bisogno, vantino un diritto fondamentale che, in quanto strettamente inerente alla tutela del nucleo irrinunciabile della dignità della persona umana, soprattutto in presenza delle peculiari situazioni sopra accennate, deve potere essere garantito su tutto il territorio nazionale in modo uniforme, appropriato e tempestivo, mediante una regolamentazione coerente e congrua rispetto a tale scopo (sentenze n. 166 del 2008 e n. 94 del 2007, in riferimento al caso della determinazione dei livelli minimali di fabbisogno abitativo, a tutela di categorie particolarmente svantaggiate)”. Allo scopo di realizzare un tale intervento, si deve considerare legittimo “un intervento dello Stato che comprende anche la previsione della appropriata e pronta erogazione di una determinata provvidenza in favore dei singoli.
Questa Corte ha ben presente, al riguardo, il disposto dell’art. 119, quarto comma, Cost., secondo cui le funzioni attribuite alle Regioni sono finanziate integralmente dalle fonti di cui allo stesso art. 119 (tributi propri, compartecipazioni a tributi erariali e altre entrate proprie). Ritiene, peraltro che, in mancanza di norme che attuino detto articolo (è noto che la legge delega 5 maggio 2009, n. 42, che fissa i principi della materia, deve essere ancora attuata), l’intervento dello Stato sia ammissibile nei casi in cui, come quello di specie, esso, oltre a rispondere ai richiamati principi di eguaglianza e solidarietà, riveste quei caratteri di straordinarietà, eccezionalità e urgenza conseguenti alla situazione di crisi internazionale economica e finanziaria che ha investito negli anni 2008 e 2009 anche il nostro Paese” [65] .
In una analoga prospettiva, una pronunzia di poco successiva, relativa alla denunziata illegittimità del Fondo (istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della gioventù) per l’accesso al credito per l’acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, in relazione alla sua natura vincolata in materie di competenza regionale, si è posta il problema del rapporto tra “potestà legislative, dello Stato e delle Regioni, entrambe di livello primario, che trovano il loro fondamento, la prima, nella tutela uniforme dei diritti fondamentali delle persone, e la seconda, nella salvaguardia delle autonomie costituzionalmente sancite
Una equilibrata soluzione delle possibili contraddizioni tra le due potestà legislative deve tenere conto dell’impossibilità di far prevalere in modo assoluto il principio di tutela o quello competenziale. Sarebbe ugualmente inaccettabile che lo Stato dovesse rinunciare ad ogni politica concreta di protezione dei diritti sociali, limitandosi a proclamare astratti livelli di tutela, disinteressandosi della realtà effettiva, o che le Regioni vedessero sacrificata la loro potestà legislativa piena, che sarebbe facilmente svuotata da leggi statali ispirate ad una logica centralistica di tutela sociale.
La soluzione della difficoltà ora segnalata si trova nell’art. 119 Cost., che prevede un sistema di finanza pubblica, in cui trovano posto l’autonomia legislativa e finanziaria delle Regioni, il necessario coordinamento statale, gli interventi statali di perequazione senza vincoli di destinazione e gli interventi speciali, di cui al quinto comma. È noto tuttavia che la suddetta disposizione costituzionale non ha ricevuto sinora attuazione, con la conseguenza che le Regioni non possiedono risorse sufficienti a fronteggiare in modo adeguato il carico delle tutele che su di loro graverebbe, se lo Stato si limitasse a fissare i livelli essenziali delle prestazioni, senza alcuna previsione in ordine alla provvista dei mezzi finanziari. Del resto, la fissazione da parte dello Stato dei livelli essenziali – se deve avere un valore normativo reale senza ridursi a mera proclamazione – non è in ogni caso priva di conseguenze sulla finanza regionale, giacché l’obbligo di dare attuazione alle prescrizioni normative statali sui livelli minimi implica la necessità che le singole Regioni provvedano a stanziare le somme necessarie, traendo le risorse dai propri bilanci, subendo così le conseguenze di scelte unilaterali dello Stato.
Le considerazioni sinora svolte inducono a ritenere che, finché non sarà data attuazione al sistema previsto dall’art. 119 Cost., si debbano ricercare forme concrete di bilanciamento dei principi di autonomia e di tutela dei diritti fondamentali di natura sociale, che comportino il minimo sacrificio possibile dell’uno e dell’altro” [66] .