Tre lezioni di Teologia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza
di Francesco Gentile

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Perché una lezione di Teologia in una Scuola di diritto all’alba del Terzo Millennio? Una prima risposta potrebbe essere offerta dall’incipit del terzo capitolo di un “piccolo scritto”, apparso nel marzo del 1922, intitolato appunto Politische Theologie. Vier Kapitel zur Lehre der Souveranität, autore “un docente di diritto pubblico”, Carl Schmitt.

“Tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati. Non solo in base al loro sviluppo storico, poiché essi sono passati alla dottrina dello Stato dalla teologia, come ad esempio il Dio onnipotente che è divenuto l’onnipotente legislatore, ma anche nella loro struttura sistematica, la cui conoscenza è necessaria per una considerazione sociologica di questi concetti”. L’affermazione di Carl Schmitt è drastica ma non peregrina, se si considera che già Leibnitz, nella Nova Methodus discendae docendaeque jurisprudentiae, del 1667, afferma di avere trasferito il modello della ripartizione dell’opera “dalla teologia al diritto poiché – testualmente – l’analogia delle due discipline è straordinaria”. Ma anche se si considera che una puntuale esposizione delle analogie di questo tipo si trova nella gius-filosofia della controrivoluzione, nelle opere di de Bonald, De Maistre e Donoso Cortés, e che Max Weber, il quale riconosce al diritto della Chiesa romana d’aver creato “come nessun altro diritto sacro un canone razionale”, afferma incontestabile “il fatto che il diritto canonico sia divenuto per il diritto profano – noi oggi diremmo laico – addirittura una delle guide sulle vie della razionalità”.

Ora, se i concetti del moderno diritto pubblico sono concetti teologici secolarizzati, se il diritto laico ha seguito come modello sulla via della razionalità il diritto sacro, non sarà strano che in una Scuola di diritto, laico e moderno, ci si interessi di teologia e di teologia del diritto in particolare. Ma non è questa se non una ragione accidentale della decisione che sta alla base della nostra iniziativa. Anche perché, non possiamo nascondercelo, dalla polemica seguita alla prima pubblicazione della schmittiana Teologia politica, ad opera del teologo Erick Peterson, con il saggio Der Monoteismus als politiches Problem, del 1935, ma che poi si è andata arricchendo di nuovi interventi tanto da divenire una “leggenda scientifica” sino alla Politische Theologie II di Schmitt, del 1970, dalla polemica nessuna delle parti è uscita con argomenti del tutto convincenti: né quella che ritiene del tutto liquidata la teologia politica sulla base dell’assunto, questo certamente plausibile, che non sia possibile giustificare un regime politico con il dogma cristiano; né quella che ritiene plausibile una dottrina politica fondata sulla Rivelazione in base all’assunto, questo certamente plausibile, che “la Chiesa di Cristo non è di questo mondo e della sua storia, ma è in questo mondo”.

All’origine di questa iniziativa c’è la presa d’atto della crisi che da qualche tempo attanaglia l’istituzione accademica e la convinzione che una soluzione è attingibile solo se si recupera il senso originario della sua funzione. Per spiegarci potremmo usare un testo di Romano Guardini, che all’inaugurazione del Semestre estivo di quell’anno accademico 1949 si chiede “quale senso abbia il lavoro che viene intrapreso all’università”. Non dimentichiamo la drammaticità del momento, a Monaco gli studenti erano allora ospitati in un edificio ancora segnato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Oggi gli studenti sono ospitati da edifici confortevoli e in genere bene attrezzati, ma potremmo nasconderci il bombardamento a cui i loro animi sono sottoposti da parte di un mondo freneticamente rigoglioso nel consumo e desolantemente sterile nel costrutto?

“A questa domanda si può dare, anzitutto, una risposta pratica: si va all’università per ottenere lì quelle condizioni che ci permettono di ottenere, più avanti, la nostra preparazione professionale. Il medico, il maestro, il giudice, l’impiegato della pubblica amministrazione, tutti necessitano di conoscenze per poter lavorare, e quelle conoscenze le dobbiamo acquisire negli anni dello studio universitario. La risposta è certamente condivisibile e giusta, ma non dice tutto, anzi, non dice l’essenziale. Qual è il significato ultimo dell’università? – si chiede Guardini – Lo si può esprimere con la frase Conoscere le verità, e precisamente la verità per se stessa. In uno scritto del 1954, sulla responsabilità dello studente nei confronti della cultura, il teologo preciserà il suo pensiero. “L’università si ammala, appena la verità cessa di essere il punto di riferimento del sapere universitario”.

Noi viviamo in una università malata e non possiamo non interrogarci sul perché della malattia, se per caso essa non dipenda dall’aver messo la voglia al posto della verità quale “norma nella coscienza dell’università”. Perciò ora pare necessario riflettere sul fatto storico che la nostra università, come tutte le università europee, è nata, nel medioevo, da un’istanza ben precisa. L’istanza avvertita da uomini di grande fede che ritennero essenziale l’interrogarsi sulla razionalità dei dati rivelati, di qui l’originaria centralità degli studi teologici ma subito e insieme l’aprirsi di questi al “rischio della verità storica” e al “rischio della realtà”, donde il fiorire degli studi giuridici, medici, storici e dell’universitas studiorum che, più tardi, designerà non più come prima una corporazione ma la totalità delle discipline impartite da un centro di studi superiori. Sulla base di questo innegabile dato storico vogliamo sperimentare il recupero dell’origine, teologica, dei nostri studi, giuridici, come antidoto alla strisciante malattia dell’università, in qualche maniera illuminati da una lucida intuizione del professor Joseph Ratzinger il quale, ponendosi specularmente di fronte alle difficoltà in cui oggi s’imbattono gli studi teologici, di fronte al rischio di una “teologia della paura”, di una “teologia della poca fede (…) sfuggente all’incontro con la verità”, afferma come “determinante – secondo la bella espressione della prima lettera di Pietro – che l’unica parola della fede (?ó???) si scopra e si concretizzi continuamente come risposta (ap?????a) ad ogni domanda umana (1 Pt. 3,15)”.

Ecco il perché di questo esperimento di lezioni di teologia (del diritto) che, per utilizzare una felice espressione del collega Francesco D’Agostino, professore di filosofia del diritto nella Facoltà Giuridica dell’Università romana di Tor Vergata, non si perita di “dare al diritto contenuti positivi (contenuti che anzi non le compete affatto sindacare, come dimostrano i perversi risultati cui si è pervenuti in tutte le epoche dominate da ideologie teocratiche)”, né a maggior ragione “di mettere a disposizione del giurista categorie teologico-dommatiche (che sono del tutto estranee al suo orizzonte)” ma intende “introdurre nel circolo ermeneutico, nel quale ragione e coscienza dei giuristi si dialettizzano, una parola nuova, che né la ragione né la coscienza, in quanto tali, sono capaci di formulare”.

Fonti.

CARL SCHMITT, Politische Theologie, Vier Kapitel zur Lehre der Souveranität (1922) citato da Carl Schmitt, Le categorie del “politico“. Saggi di teoria politica a cura di Gianfranco Miglio e di Pierangelo Schiera, Il Mulino, Bologna 1972; Politische Theologie II. Die Legende von der Erledigung jeder Politischen Theologie (1970) citato da da Carl Schmitt, Teologia politica II. La leggenda della liquidazione di ogni teologia politica a cura di Antonio Caracciolo, Giuffré, Milano 1992.

GOTTRIED WILHELM LEIBNIZ, Nova Methodus discendae docendaeque jurisprudentiae, Francofurti 1667.

MAX WEBER, Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen 1922.

ERIK PETERSON, Der Monoteismus als politiches Problem, Leipzig 1935.

ROMANO GUARDINI, Ansprache im Gottesdinst zur Semestereröffnung. Gehalten in St. Ludwig zu München (1949), Die Verantwortung des Studenten für die Kultur (1954), citato da Romano Guardini, Tre scritti sull’università a cura di Marcello Farina, Morcelliana, Brescia 1999.

JOSEPH RATZINGER, Das neue Volk Gottes. Entwürt zur Ekklesiologie, Patmos, Düsseldorf 1969 citato da Joseph Ratzinger, Il nuovo popolo di Dio a cura di Germano Re, Queriniana, Brescia 1971.

FRANCESCO D’AGOSTINO, Il diritto come problema teologico ed altri saggi di filosofia e teologia del diritto, Giappuchelli, Torino 1995.