Prima lettura critica della Legge sull’occupazione e il mercato del lavoro
(La riforma del mercato del lavoro dal Libro Bianco alla Legge 14 febbraio 2003 n. 30)
di Torquato Tasso

Job sharing. L’articolo 4 alla lettera e) prevede "l’ammissibilità di prestazioni ripartite fra due o più lavoratori, obbligati in solido nei confronti di un datore di lavoro, per l’esecuzione di un’unica prestazione lavorativa". Con questa sommaria indicazione il legislatore intende dare riconoscimento normativo al job sharing, realtà giuridica poco diffusa nel nostro paese e, a dire il vero, anche poco conosciuta. Uno dei motivi della scarsa diffusione è legato al fatto che, ad oggi, nessuna norma legislativa l’aveva prevista benché fosse attuata (anche se in misura ridotta) grazie al suo riconoscimento dato da una circolare ministeriale. Data la brevità della previsione normativa anche in sede di legge delega, si deve ritenere probabile che il legislatore intenda, seguendo l’esempio di altri paesi europei, dare una consacrazione normativa alle caratteristiche che già la citata circolare aveva delineato. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale è intervenuto, infatti, con la circolare n. 43 del 7 aprile 1998 per definire la sua posizione in merito ad una fattispecie di contratto di lavoro, detto contratto di lavoro a coppia o ripartito, che in Italia non aveva ancora trovato una specifica regolamentazione normativa, ma che in altri Paesi è già un istituto previsto dall’ordinamento ( ). Per contratto di lavoro a coppia o ripartito (detto anche di "job sharing" dalla terminologia utilizzata negli Stati Uniti), secondo il Ministero, si deve intende un contratto di lavoro subordinato con il quale due o più lavoratori si assumono in solido l’adempimento di un’unica obbligazione lavorativa. Tale contratto ha l’obiettivo di permettere una certa flessibilità dell’orario di lavoro, garantendo al medesimo tempo un’elevata produttività. Il Ministero era intervenuto con la circolare predetta per chiarire che, pur in mancanza di una specifica disciplina normativa, tale istituto contrattuale non poteva essere considerato illegittimo, non esistendo nessuna norma di legge o nessun principio generale che, esplicitamente o implicitamente, ne vietasse la stipulazione. Il Ministero aveva anche precisato che il contratto di lavoro ripartito doveva essere distinto dal contratto di lavoro a tempo parziale, come disciplinato dall’articolo 5 della legge n. 863/1984. Il contratto di lavoro ripartito prevede, infatti, che ogni lavoratore sia personalmente e direttamente responsabile dell’adempimento dell’intera obbligazione; e che l’obbligazione si possa estinguere anche con l’adempimento di una sola delle parti coobbligate. Il contratto di lavoro ripartito, quindi, non può avere origine da due rapporti di lavoro a tempo parziale che per loro natura rimangono distinti per quanto riguarda l’obbligazione lavorativa dei singoli contraenti. Inoltre, il contratto di lavoro a tempo parziale non permette flessibilità nella distribuzione dell’orario di lavoro, come si ricava dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 210 dell’11 maggio 1992, che, tra l’altro, cita un consolidato orientamento di Cassazione ( ), flessibilità che, invece, è alla base del contratto di lavoro ripartito dal momento che i due lavoratori coobbligati dallo stesso adempimento possono gestirsi l’orario di lavoro liberamente. La disciplina del contratto di lavoro ripartito, secondo il Ministero, deve essere rimessa all’autonomia delle parti nel rispetto in ogni caso della normativa generale del rapporto di lavoro subordinato, quando compatibile. Il Ministero, infine, forniva alcune note operative per poter considerare validamente stipulato un contratto di lavoro ripartito, che, ripeto, alla luce della limitata previsione normativa delegante, si deve presumere venga riconfermate: 1 Il contratto di lavoro dovrà indicare la misura percentuale e la collocazione temporale del lavoro giornaliero, settimanale, mensile o annuale che si prevede venga svolto da ciascuno dei lavoratori, restando comunque ferma la possibilità per i lavoratori di determinare discrezionalmente, in qualsiasi momento, la sostituzione ovvero la modificazione consensuale della distribuzione dell’orario di lavoro; 2 La retribuzione deve essere corrisposta in proporzione alla quantità di lavoro effettivamente prestato da ciascuno dei lavoratori coinvolti; 3 I lavoratori devono informare preventivamente il datore di lavoro sull’orario di lavoro di ciascuno dei lavoratori, con una cadenza almeno settimanale; 4 Per quanto riguarda l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia e i superstiti, l’indennità di malattia ed ogni altra prestazione previdenziale ed assistenziale e le relative contribuzioni connesse alla durata giornaliera, settimanale, mensile o annuale della prestazione, i lavoratori devono essere considerati "assimilati" ai lavoratori a tempo parziale. Il calcolo dei contributi e delle prestazioni dovrà essere effettuato non preventivamente ma mese per mese; 5 A fine anno, si effettuerà il conguaglio in base all’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa da parte dei due contraenti.

Art. 5. (Delega al Governo in materia di certificazione dei rapporti di lavoro) Certificazione del rapporto di lavoro. All’articolo 5 la legge delega prevede una innovazione, anche se in via sperimentale, particolarmente interessante in ordine all’istituto della certificazione, istituto che non ha avuto, nel settore giuslavoristico, alcun precedente e che, in qualche modo, sembra riprendere l’istituto della certificazione previsto dalla normativa sul lavoro artigiano e sul riconoscimento della natura artigiana di una impresa ( ). La novità consiste nel prevedere un organo pubblico o un organismo di natura sindacale bilaterale (quindi con le rappresentanze sindacali dei datori e dei lavoratori) incaricato di certificare, all’atto della stipulazione dei singoli contratti di lavoro, la natura del contratto stesso e la sua corrispondenza alla figura contrattuale tipica, indicata dalle parti, superando la diversa denominazione che le parti vi avessero formalmente data. Quest’opera di preventiva certificazione attribuirebbe al contratto concluso tra le parti un particolare valore legale al fine di prevenire (ed evitare) il contenzioso nel senso che, successivamente all’intervenuta certificazione, le parti potrebbero agire in giudizio esclusivamente per far accertare l’erronea qualificazione del programma negoziale da parte dell’organo preposto alla certificazione e la difformità tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione. Negli altri casi, la certificazione dovrebbe, in via preventiva, evitare il contenzioso. All’ente certificatore, ad ogni modo, viene attribuita, nelle previsioni del legislatore delegante, anche una competenza in materia di conciliazione stragiudiziale che, ad oggi, è riservata in via esclusiva alla Commissione Provinciale di Conciliazione istituita presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione. Lo stesso, infatti, prevede di far espletare il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall’articolo 410 del Codice di Procedura Civile, innanzi all’organo preposto alla certificazione quando si intenda impugnare l’erronea qualificazione dello stesso o la difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, prevedendo che gli effetti dell’accertamento svolto dall’organo preposto alla certificazione permangano fino al momento in cui venga provata l’erronea qualificazione del programma negoziale o la difformità tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione e il programma attuato ( ).

Conclusioni

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