Prima lettura critica della Legge sull’occupazione e il mercato del lavoro
(La riforma del mercato del lavoro dal Libro Bianco alla Legge 14 febbraio 2003 n. 30)
di Torquato Tasso

Contratto di collaborazione coordinata e continuativa e lavoro occasionale e distinzione dal lavoro subordinato. Sempre in quest’ottica di lotta all’elusione contrattuale giuslavoristica, va interpretata la normativa relativa al contratto di collaborazione coordinata e continuativa. In Italia sono attualmente due milioni i rapporti di lavoro che sono formalizzati con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e molti di questi sono sottoscritti dalle parti con un’evidente volontà elusiva, poiché dissimulano un rapporto di lavoro subordinato (o altre forme di collaborazione). In riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative la legge dispone, quindi, dei limiti precisi al fine di ridisegnare la fattispecie. Innanzitutto richiede la stipulazione dei relativi contratti mediante un atto scritto da cui risultino: 1 La durata, determinata o determinabile, della collaborazione; 2 La riconducibilità di questa ad uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso; 3 La configurabilità delle prestazioni lavorative come fornite con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione; 4 L’indicazione del corrispettivo nel contratto e la sua proporzione alla qualità e quantità del lavoro; 5 La riconducibilità del contratto ad uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso; 6 L’impossibilità per il contratto d’essere a tempo determinato (o, quanto meno, determinabile). Oltre a questi aspetti prettamente contrattuali e regolamentativi, la norma introduce anche quello che dovrà essere il criterio distintivo tra collaborazione coordinata e rapporto di lavoro occasionale, che deve trovare, negli intendimenti del legislatore, apposita e nuova regolamentazione normativa ( ), essendo basato sostanzialmente su due parametri, ossia quello temporale (della durata complessiva del rapporto di lavoro) e quello economico (del corrispettivo minimo pattuito); la norma, infatti, precisa che, per trattarsi di collaborazione coordinata e non di rapporto di lavoro occasionale, esso deve avere una durata complessiva superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente oppure, sebbene con durata inferiore ai trenta giorni complessivi per anno solare, deve prevedere un compenso complessivo di significativo valore per lo svolgimento della prestazione, ossia superiore a 5.000 euro. Ricorrendone i presupposti, quindi, la normativa prevede, a salvaguardia del lavoratore, l’estensione delle tutele fondamentali, previste dall’attuale normativa sul lavoro subordinato, in relazione alla dignità e alla sicurezza dei collaboratori, con particolare riferimento a maternità, malattia e infortunio, nonché alla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il legislatore, seguendo un’impostazione già evidenziata nel Libro Bianco, parte da due considerazioni. La prima che la collaborazione coordinata e continuativa nasconde sovente delle fattispecie utilizzate contrattualmente dalle parti in funzione elusiva o frodatoria della legislazione posta a tutela del lavoro subordinato, in tal modo realizzando un’anomala e "anomica" flessibilità delle risorse lavorative umane, quasi una "zona franca", che dev’essere evitata proprio a tutela del lavoratore il quale, se è un lavoratore subordinato, è e deve essere garantito come ogni altro lavoratore subordinato. La seconda che il rapporto di lavoro parasubordinato, una volta correttamente individuato e regolamentato, non deve essere qualificato come genere ibrido, intermedio tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo ma deve rientrare nella previsione giuridica del lavoro autonomo.
Partendo da questo presupposto teorico, il legislatore delegante intende dare una regolamentazione più dettagliata e garantista dei rapporti di lavoro di chi si trova, realmente, a svolgere tale tipo di prestazione introducendo una forma contrattuale denominabile "lavoro a progetto".
In sintesi, il legislatore vuol attribuire riconoscimento giuridico ad una tendenza rivelatasi, evidentemente e prepotentemente, con il passare degli anni, quella appunto di lavorare a progetto. Sarebbero riconducibili a questa tipologia, quindi, i rapporti in base ai quali il lavoratore assume stabilmente, senza vincolo di subordinazione, l’incarico di eseguire, con lavoro prevalentemente od esclusivamente proprio, un progetto o un programma di lavoro, o una fase di esso, concordando direttamente con il committente le modalità di esecuzione, la durata, i criteri ed i tempi di corresponsione del compenso. Il legislatore è altresì ben conscio che questa "trasformazione del lavoratore parasubordinato in lavoratore autonomo" non può, e non deve, essere totale proprio per la differenza del rapporto contrattuale che lega il committente, datore di lavoro, al lavoratore ed anche perché, altrimenti, questa in tal modo si finirebbe per pregiudicare uno degli obiettivi della riforma ossia i more and better jobs.
I decreti delegati dovrebbero, almeno, chiarire alcuni aspetti fondamentali. Ad esempio, qualora il progetto o programma implicasse un impegno orario personale superiore al monte ore settimanali calcolato sulla media annuale, il collaboratore dovrebbe aver diritto ad una pausa settimanale, nonché ad una pausa annuale (che potremmo definire "ferie"), comunque di durata non inferiore a due settimane, che sarebbero da determinarsi, secondo modalità concordate fra le parti, in sede di contratto. Analoghe garanzie dovrebbero essere previste in caso di malattia, gravidanza ed infortunio.

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