Prima lettura critica della Legge sull’occupazione e il mercato del lavoro
(La riforma del mercato del lavoro dal Libro Bianco alla Legge 14 febbraio 2003 n. 30)
di Torquato Tasso
Fermo restando il fatto che sarà opportuno attendere i decreti delegati e la loro effettiva attuazione prima di dare un giudizio definitivo sulla "rivoluzione", per cercar di comprendere le ragioni della disputa dottrinale e politica oggi in atto, dobbiamo rifarci ad una discussione che ha animato, negli ultimi mesi, la critica giuspolitica e sindacale del settore, ossia quella della differenza tra diritti e tutela dei medesimi. Tra situazione giuridico soggettiva sostanziale e forma di tutela che l’ordinamento, in particolare, e l’economia stessa, in generale, garantiscono al diritto soggettivo.
Inserendoci in questa discussione, ci pare di poter dire che la notevole discrepanza tra l’evoluzione che ha caratterizzato l’economia, e il mercato del lavoro in particolare, da un lato e la relativa normativa dall’altro sia dovuta proprio ad una sostanziale confusione tra i due concetti di diritto e di tutela. I diritti del lavoratore devono essere rispettati e garantiti, anche perché hanno ricevuto un sacrale riconoscimento proprio da parte della Carta Costituzionale. Di questo nessuno può dubitare. Una riforma che preveda il rispetto del dettato costituzionale non può, quindi, essere avversata. Se i diritti devono rimanere integri e integralmente rispettati, per converso, le forme di tutela devono essere aggiornate e adeguate al mutato paesaggio dell’economia. E questo non solo (e non tanto) per permettere all’Italia di rimanere in Europa, ma anche e soprattutto per garantire la piena realizzazione proprio di quei diritti, nel rispetto sostanziale e complessivo del dettato costituzionale. Non dobbiamo dimenticare che la nostra Costituzione nel riconoscere il diritto dei lavoratori non lo tiene isolato dal resto del contesto economico ma lo inserisce in questo come uno degli elementi (forse il principale) che devono concorrere (e, se del caso, adeguarsi) alle superiori esigenze dell’economia e del Paese. Ricordiamo la definizione di lavoro data dalla stessa Costituzione, all’art 4 comma 2: "un’attività o una funzione che concorre al progresso materiale e spirituale della società". Risulta, quindi, obbligato comprendere che, fermi restando i diritti inviolabili e costituzionalmente garantiti del lavoratore, la normativa posta a regolamento del mercato del lavoro deve prevedere delle forme atte a tutelare tali diritti inserendoli nella quotidiana realtà economica la quale, è bene ricordarlo, è soggetta ad una costante evoluzione, e quindi richiede una costante evoluzione anche delle forme di tutela. Altrimenti si correrebbe il rischio, se le forme di tutela non fossero adeguate alla mutata realtà economica e rimanessero nella loro rigida e storicamente superata formulazione, di non realizzare pienamente e concretamente la tutela stessa e, conseguentemente, di non attuare il dettato costituzionale, che ha, come abbiamo visto, quale scopo principale il progresso materiale e spirituale del Paese.
Tutto questo viene confermato dalla stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale, prima e, forse, unica interprete autentica del dettato costituzionale e della ratio che vi è sottesa. A tal proposito si potrebbe richiamare una recente pronuncia della Consulta nella quale (in occasione di una problematica attinente al lavoro a domicilio) viene enunciato un principio di carattere generale, enucleato proprio dall’articolo 35. Vi si legge: "La doverosità espressa dall’art. 35, di una tutela non già generica ed indistinta ma articolata e coerente con la specificità delle varie forme ed applicazioni del lavoro" è posta alla base della regolamentazione speciale contrattualistica (nel caso lavoro a domicilio). "I modi e le forme dell’attuazione della tutela costituzionale sono ovviamente rimessi alla discrezionalità del legislatore, cosicché le leggi attraverso le quali, di volta in volta, si realizza la tutela del lavoro, nelle sue diverse manifestazioni, pur essendo costituzionalmente necessarie, non sono a contenuto vincolato. Esse, in quanto dirette a rendere effettivo un diritto fondamentale della persona, una volta venute ad esistenza, possono essere dal legislatore modificate o sostituite con altra disciplina ma non possono essere abrogate, così da eliminare la tutela precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel precetto costituzionale della cui attuazione costituiscono strumento ( )".
Quanto detto in precedenza ci viene ulteriormente confermato e precisato da un orientamento giurisprudenziale che già in precedenza la stessa Corte aveva espresso in alcune pronunzie del 1980 nelle quali si dice che gli articoli della Costituzione in riferimento al lavoro affermano "solo un principio ispiratore della tutela del lavoro", ma che questo principio "non vuole determinare i modi e le forme di questa tutela" ( ) e che, a questo principio, comunque, non può essere attribuito un significato di esclusività poiché nella Costituzione "son ben presenti anche valori diversi dal lavoro" ( ).
In conclusione, quindi, si deve prendere atto che la nuova normativa è il necessario prodotto della storia politica e giuridica del settore, quanto meno degli ultimi dieci anni, e che le formule prospettate, laddove si presentino, e così sembra, solamente come una nuova o diversa forma di tutela dei diritti costituzionalmente riconosciuti, devono essere accolte e appoggiate da tutti nella speranza che gli obiettivi, che l’Unione Europea ci prospetta, possano essere effettivamente raggiunti.
Ma proprio questa considerazione deve anche aiutare a comprendere che, quanto meno, nel settore giuslavoristico, "la rivoluzione normativa" non si può esaurire in un provvedimento isolato ed occasionale di riforma ma ha bisogno di essere costantemente attiva, attraverso un continuo processo d’adeguamento, attuabile soprattutto attraverso le interpretazioni evolutive della giurisprudenza, perché la normativa giuslavoristica possa mantenersi veramente aderente alla realtà economica, in costante e velocissima evoluzione. Pena il ritrovarsi, in breve tempo, di nuovo, con strumenti obsoleti e superati.