Prima lettura critica della Legge sull’occupazione e il mercato del lavoro
(La riforma del mercato del lavoro dal Libro Bianco alla Legge 14 febbraio 2003 n. 30)
di Torquato Tasso
Sicuramente agendo direttamente sull’economia, al fine di favorire la nascita di nuovi posti di lavoro, sia stimolando ed orientando l’iniziativa privata, sia effettuando investimenti pubblici ( ).La Costituzione enuncia, e su questo vi è il conforto dell’orientamento granitico della dottrina, un programma costituzionale che vincola i pubblici poteri a realizzare una politica economica rivolta a realizzare la massima occupazione possibile, da un lato eliminando ogni ostacolo, favorendo l’iniziativa individuale, e, dall’altro, richiamando i cittadini all’adempimento dei doveri di solidarietà sociale al fine di attuare compitamente la partecipazione di tutti i consociati alla cura della res publica.
Ma in quali forme questo "pubblico" impegno può essere concretamente assolto?
Da un lato, il compito può attuarsi mediante una politica rivolta a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro ( ) in quanto la semplificazione e la crescita delle opportunità di occupazione permettono una migliore realizzazione del diritto al lavoro. Secondo altri, questo compito "pubblico" dovrebbe svolgersi mediante una sorta di interazione pubblico/privato, al fine di rendere funzionale all’utilità sociale la stessa attività imprenditoriale (e quindi, in primis dei soggetti direttamente coinvolti quali i lavoratori) ( ). Con la conseguente politica attiva dell’occupazione, peraltro, in parte, già attuata dal legislatore, e di intervento in materia di collocamento e regole del collocamento ( ).
Il combinato disposto dei due articoli citati (oltre alla loro interpretazione sistematica alla luce dei principi generali del nostro ordinamento) non può non indurre a concludere che il principio base su cui deve poggiare ogni politica del lavoro di un governo, è quello della formazione professionale, inteso come lo strumento principale per l’inserimento o la ricollocazione del lavoratore nel mercato del lavoro ( ). Il compito dello Stato non può considerarsi esaurito con la semplice istruzione obbligatoria del cittadino (che mira a dare una formazione generale) ma deve spingersi, in adempimento dei principi citati, allo sviluppo e alla diffusione delle conoscenze teoriche, tecniche e pratiche, che permettano agevolmente il passaggio, dei giovani in particolare, dal mondo della scuola al mondo della formazione, dal mondo della formazione al mondo del lavoro o che permettano una ricollocazione nel mercato dei lavoratori che abbiano perso il proprio posto di lavoro.
Il secondo comma dell’art. 35, poi, ricorda l’importanza di una politica attiva del lavoro anche in una prospettiva sovranazionale e, quindi, la funzione propulsiva del lavoro e, con esso, dell’economia, attraverso la partecipazione attiva alla politica del lavoro delle organizzazioni trans e sovranazionali, anche in adempimento di un altro principio generale di cooperazione e collaborazione internazionale prevista dall’art. 11 della nostra Carta Costituzionale.
Fatto questo necessariamente veloce excursus diviene ora necessario dare una risposta alla domanda che ci siamo inizialmente posti. La riforma prospettata e, in questa sede, commentata si presenta come una violazione dei principi costituzionali appena illustrati o come un loro compiuto adempimento?
Appare evidente che le finalità perseguite dalla legge delega appaiono come logico sviluppo dei principi fondamentali che ispirano la Costituzione. L’attenzione del legislatore delegato, infatti, ritiene di doversi estendere, come suggerisce la Costituzione, ad ogni forma di lavoro, sia esso autonomo che subordinato. A tal fine la legge delega intende dare compiuta e definitiva chiarezza a tutti i rapporti contrattuali e, a tal fine, sofferma la propria attenzione proprio su quei rapporti spesso elusivi del dettato normativo e per questo lesivi dei diritti dei lavoratori, introducendo nuove forme contrattuali o precisando forme contrattuali ibride (come nel caso del lavoro parasubordinato).
Gran parte della riforma, inoltre, è incentrata nella realizzazione di quel principio costituzionale di politica attiva dello stato a favore dell’occupazione, sia attraverso l’incentivazione degli istituti che garantiscono e favoriscono l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, sia, anche, disciplinando con maggior chiarezza la realtà contrattuale e fornendo al mondo del lavoro opportunità prima sconosciute o, se conosciute, non regolamentate. Inoltre, la riforma sembra cogliere appieno l’importanza della formazione, una formazione capace di favorire la transizione dei giovani dal mondo, ovattato, della scuola al mondo, aspro, del lavoro. E, altrettanto può dirsi, in riferimento all’esigenza europeistica che sta alla base della riforma, che appare essere adempimento del principio poc’anzi ricordato ed enunciato dal secondo comma dell’art. 35.
Ad una prima lettura, la legge delega appare non come violazione dei principi costituzionali (in primis del diritto al lavoro) ma come loro piena e compiuta espressione.