IL DIFFICILE CONTEMPERAMENTO TRA IL PRINCIPIO DI SEGRETEZZA DELLE OFFERTE E LA LIBERTA’ D’IMPRESA NELLE GARE D’APPALTO DI LAVORI PUBBLICI
di Ugo Pagallo

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A fronte di una normativa alquanto precisa e che non appare dare luogo a particolari difficoltà interpretative (v. art.10 comma 1 bis, introdotto dalla l. 415/1998, della L. 109/1994 (c.d. Legge Merloni) ove dispone che non possono "partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra di loro in una della situazioni di controllo di cui all’art. 2359 del Codice civile"), la questione è più spesso portata alla cognizione dei giudici amministrativi.

Il dettato normativo non è infatti ritenuto "esaustivo" dalla prassi e dalla giurisprudenza che hanno individuato fattispecie di esclusione che, pur non rientrando formalmente nell’ipotesi del controllo societario ex art. 2359 c.c., vengono percepite come possibili violazioni del principio di segretezza delle offerte e della par condicio tra i partecipanti.

Invero, per un verso, le amministrazioni appaltatrici, nella prassi, tendono ad introdurre nei bandi di gara clausole che prevedono l’esclusione anche dei partecipanti che si trovino fra di loro in una situazione di collegamento ai sensi dell’art. 2359 c.c.; per altro verso la giurisprudenza ha affermato il principio per il quale anche in assenza di un vero e proprio controllo, si deve dare luogo all’esclusione ove emerga la provenienza delle offerte da un "unico centro decisionale", in violazione del principio della segretezza delle offerte (v. C.d.S., V, 7 febbraio 2002 n. 685; id. VI, 28 febbraio 2000, n. 1056).

Come meglio si vedrà, quest’ultimo principio, cui anche le sentenze esaminate affermano dichiaratamente di aderire, è applicato alquanto prudentemente dalla giurisprudenza. Invero, sotto il profilo probatorio, la giurisprudenza richiede al ricorrente che lamenta la partecipazione di concorrenti in situazioni di "collegamento sostanziale", l’effettiva prova della situazione dell’intervenuta "turbativa", potendosi prescindere dalla stessa soltanto quando la comunanza di interessi è ravvisabile in una situazione di intreccio degli organi amministrativi e di rappresentanza che faccia ritenere plausibile una reciproca conoscenza o condizionamento delle rispettive offerte.

Nel caso trattato dal TAR Veneto (sez. I, 8 maggio 2002 n. 1828) la ditta ricorrente ha impugnato il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto per l’affidamento dei lavori di manutenzione straordinaria di alcuni tratti delle strade provinciali di Vicenza adducendo la presunta illegittima contemporanea partecipazione alla gara di alcune società che risultavano partecipate dalla medesima capogruppo.

Il Giudice, nel decidere il ricorso, ha innanzitutto precisato, sotto il profilo dell’interpretazione dell’art. 10, comma 1, bis, L. 109/94, che "il controllo ed il collegamento societario non costituiscono concetti sovrapponibili" giacchè "la stessa l. 109/94, quando ha voluto prendere in considerazione anche il collegamento, lo ha fatto espressamente: così all’art 2, IV comma, dove si stabilisce che, ai fini del presente comma si intendono per soggetti terzi anche le imprese collegate; le situazioni di controllo di collegamento si determinano secondo quanto previsto dall’articolo 2359 del codice civile, ovvero all’art. 17, IX comma, ove, dopo aver disposto che gli affidatari di incarichi di progettazione non possono partecipare agli appalti o alle concessioni di lavori pubblici, soggiunge che tale partecipazione è preclusa anche al soggetto controllato, controllante collegato all’affidatario di incarichi di progettazione, "le situazioni di controllo e di collegamento si determinano con riferimento a quanto previsto dall’articolo 2359 del codice civile".

In relazione al fenomeno dell’estensione della prassi ad ulteriori casi di divieto di partecipazione, ha precisato il TAR Veneto che la propria interpretazionedell’art. 10, comma 1 bis, citato, non è in contrasto con "alcune recentissime pronunce del giudice d’appello (C.d.S., IV, 15 febbraio 2002, n. 923; VI, 27 dicembre 2001 n. 6424) secondo cui l’art. 10, comma 1 bis, non impedisce all’amministrazione appaltante di prevedere nella lex specialis della gara fatti e situazioni che, pur non integrando gli estremi del collegamento o di controllo societario civilistico, siano capaci ed idonei ad alterare la serietà, indipendenza, compiutezza e completezza delle offerte presentate da imprese diverse, oltre che la loro segretezza, la cui sussistenza determina l’esclusione dalla gara"; né, continua il Giudice, tale estensione del divieto di partecipazione, è in contrasto con la tutela del principio di segretezza delle offerte, per il quale anche in assenza di un vero e proprio controllo, le imprese debbono comunque essere escluse ove sia dimostrato la provenienza delle offerte da un unico centro decisionale.

Ciò premesso, il Tar ha respinto il ricorso in quanto, sotto il primo profilo, nel caso di specie mancava una clausola del bando che estendesse le ipotesi di divieto di partecipazione a casi ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge; sotto il secondo profilo, ha ritenuto il Tar che non poteva essere riconosciuta la provenienza delle offerte da un "unico centro decisionale" per il solo fatto che le società partecipanti, appartenenti al medesimo gruppo, condividevano la sede: precisa, anzi, a tal proposito il giudice veneto che l’identità della sede "conferma soltanto l’indiscutibile appartenenza delle società allo stesso gruppo, ma non permette di giungere ad ulteriori conclusioni".

Nella recente sentenza del massimo giudice amministrativo (sez. IV, 4 febbraio 2003 n. 560) si affronta specificatamente il problema della prova della sussistenza dell’unico centro di interessi (v., in termini anche Cons. Stato, sez. V, 1 luglio 2002, n. 3601 e Cons. Stato, sez. V, 7 febbraio 2002, n. 685).

Secondo il Consiglio di stato, non può correttamente dubitarsi della legittimità di un procedimento concorsuale sulla base di apodittiche affermazioni circa presunte interferenze in tema di presentazione delle offerte per la partecipazione ad una gara di appalti pubblici, giacchè laddove non sia provata tale interferenza ovvero non sia dia neppure la dimostrazione dell’esistenza di fatti gravi, precisi e concordanti in presenza dei quali, secondo l’id quod plerumque accidit, si può ragionevolmente ritenere che si sia verificato un inquinamento della gara e quindi una violazione del principio di segretezza dell’offerta.

In particolare secondo il Consiglio di Stato, le situazioni di intrecci degli assetti delle società e consorzi o raggruppamenti partecipanti, devono costituire oggetto di apposita puntuale prova dell’esistenza di un unico centro di decisione o di interessi comuni ovvero tale da far ritenere plausibile una reciproca conoscenza o almeno un condizionamento delle rispettive offerte.

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Traendo dunque alcune conclusioni, la giurisprudenza sopra ricordata è costante nel ritenere che l’esclusione delle imprese di cui all’art. 10, comma 1 bis citato, alle sole ipotesi di controllo (e non a quelle di collegamento societario). Ciò è stato posto in luce anche dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici con atto di regolazione del 9 giugno 2000 ove rileva che "in altre disposizioni" – diversamente che nell’art. 10 co.1 bis – "oggetto di modifiche da parte della medesima legge (l. 415/1998), la fattispecie del controllo e del collegamento sono entrambe richiamate", e che l’art. 10 comma 1 bis è norma imperativa posta a tutela dell’ordine pubblico economico e, come tale, non suscettibile di interpretazione estensiva.

La giurisprudenza sul punto appare del resto costante nel ritenere che il mero collegamento societario tra le tre imprese non è sufficiente in quanto tale ad estrometterle dalla gara (v. anche Consiglio di Stato, sez. IV, 12 gennaio 1999, n.16, ha ritenuto "illegittima l’esclusione dalla gara per l’aggiudicazione di un appalto della P.A. di società collegate e solo perchè collegate, atteso che il gruppo non costituisce un soggetto (o comunque un centro di interessi) autonomo rispetto alle società collegate, le quali mantengono la loro piena autonomia e indipendenza sul piano giuridico"; Consiglio di Stato, sez. VI, 28 febbraio 2000, n.1056 ove si è ritenuto che non risulta legittima l’esclusione ipso facto della società tra loro collegate, ma ha ritenuto comunque necessario la sussistenza di "una situazione di intreccio degli organi amministrativi e di rappresentanza che faccia ritenere plausibile una reciproca conoscenza o condizionamento delle rispettive offerte").

In secondo luogo, va sottolineato che il principio dell’esclusione delle imprese ove emerga l’identità del centro decisionale è temperata dalla richiesta (v. anche Consiglio di Stato, sez. V – Sentenza 7 febbraio 2002 n. 685) di prove concrete della sussistenza del medesimo centro decisionale, respingendo i ricorsi nei quali un unico centro decisionale venga desunto da un generico "collegamento".

Ciò che maggiormente rileva è che la prova dell’unità di centro decisionale viene fatta gravare sul ricorrente dovendo in particolare essere dimostrata (v. le sentenze in commento) la "sua influenza negativa sul corretto andamento della gara medesima", non riconoscendosi un dovere ispettivo in capo alla Commissione di gara.

La preoccupazione dei giudici appare del resto condivisibile, sia sotto il profilo fattuale, sia sotto il profilo giuridico.

In primo luogo, in linea di fatto non è pensabile che la stazione appaltante verifichi non solo l’assenza di fenomeni di controllo tra i partecipanti, ma anche di ipotesi di "influenza" nella presentazione delle offerte, stante la difficoltà dell’operazione che richiede di individuare, valutare il numero ed il peso di eventuali indici sintomatici di "condotta non concorrenziale", ciò che in molti casi appare "praticamente" impossibile ove partecipino decine di imprese (nel caso deciso dal TAR Veneto le imprese partecipanti erano più di 100).

In secondo luogo, il riconoscimento di un "dovere ispettivo" della stazione appaltante sarebbe privo di qualsiasi riferimento normativo e costituirebbe altresì, come ha affermato il Tar Veneto "un vulnus, difficilmente giustificabile, del principio di continuità della gara" ritardandone inutilmente la conclusione.

Si aggiunga che il fenomeno della globalizzazione e quello (connesso) della sempre maggiore alla concorrenza intra ed extra europea, ha l’effetto di determinare la sempre maggiore integrazione tra imprese (anche nella forma di holding).

Del resto, lo stesso Consiglio di Stato ha del resto riconosciuto in via generale che "il (mero) collegamento economico – funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non implica la nascita di un autonomo soggetto di diritto o di un autonomo centro di rapporti diverso dalle società collegate, le quali conservano la propria autonomia e personalità giuridica (Cass. 2 febbraio 1988 n. 957; 3 agosto 1991 n. 8532; 29 novembre 1993 n. 11801) e che la situazione di raggruppamento è situazione societaria diffusa che consente, senza dover giungere allo strumento della fusione, di utilizzare il potenziale economico di varie imprese". Pertanto il semplice fatto che le società partecipanti facciano capo alla medesima società holding (che, nel caso deciso dal TAR Veneto, non ha partecipato a sua volta alla gara) non legittima la loro esclusione, in quanto non comporta alcuna interferenza tra le reciproche offerte che sono e rimangono del tutto autonome

Va anzi aggiunto che l’Autorità per la vigilanza nell’atto di regolazione sopra ricordato si spinge ad affermare che le stazioni appaltanti non potrebbero neppure – vista la precisa scelta compiuta dal legislatore – introdurre nei bandi di gara cause di esclusione più ampie, estese cioè a fenomeni di collegamento, di quelle previste dalla legge.

Tali conclusioni sono condivise anche da parte della recente dottrina che pone in evidenza come dai lavori parlamentari emerga l’intenzione di definire con la norma in oggetto "un quadro di certezza operativa, determinando puntualmente le ipotesi in grado di alterare il gioco della concorrenza"; intenzione che verrebbe vanificata qualora "si affermasse che residua un potere delle stazioni appaltanti di comminare l’esclusione in relazione a fattispecie di controllo diverse da quelle legalizzate" (v. G. Fischione, Art. 10 Soggetti ammessi alle gare, in La legge quadro in materia di lavori pubblici a cura di Carullo A. e Clarizia A., Padova, 2000, p. 336).

In questo quadro, l’esclusione di imprese partecipanti alla gara per il fatto di essere tra di loro collegate, sembra contrastare con il principio della libertà d’impresa ed economica, affermati dall’art. 41 della Costituzione e facenti parte dell’acqui comunitario: ed anzi sembra espressione di un processo alle intenzioni (di turbare il risultato della gara) che in quanto tale è inammissibile in un giudizio di legittimità.