L. FORNI, La laicità nel pensiero dei giuristi italiani: tra tradizione e innovazione Giuffrè, Milano 2010, pp. XIV-335
di Costantino-M. Fabris
L’Autrice fornisce poi la lettura di Jemolo rispetto a tali documenti, lettura senza dubbio critica, in quanto per Jemolo lo Stato fascista e la Chiesa cattolica, avrebbero raggiunto l’accordo, poi sottoscritto, per ragioni affini: limitare i fenomeni politici di liberalismo e socialismo, ritenuti da ambedue le entità, come estremamente pericolosi per la rispettiva sopravvivenza.
L’Autrice si sofferma poi sulla analisi critica del Concordato, sottolineando il fatto che esso non fu particolarmente criticato, dal punto di vista della presunta sproporzione tra oneri dello Stato ed “onori” riservati alla Chiesa cattolica, sproporzione che appare ancora maggiore se si considera, a detta dell’Autrice, la legge sui culti ammessi del 1929. Certamente gli Accordi del 1929 hanno rappresentato un momento fondamentale per lo Stato fascista e per la Chiesa cattolica, tuttavia, e ci pare il presente volume non lo ponga in luce in maniera sufficiente, per motivazioni ben diverse.
Mussolini era alla ricerca di rafforzare il proprio consenso personale, e la soluzione della annosa Questione Romana, avrebbe rappresentato un indubbio motivo di attrattiva sulle masse cattoliche. Ugualmente la Chiesa, con un processo di avvicinamento partito già con il pontificato di Leone XIII, aveva urgenza di arrivare ad una definitiva stabilizzazione delle sue relazioni con lo Stato italiano. Appare assolutamente fuorviante sostenere che fascismo e religione cattolica siano da considerarsi «elementi inscindibili, politica e fede sono le due facce di una stessa medaglia», come l’Autrice sostiene (p. 158). Certamente lo Stato fascista ha utilizzato la religione cattolica e gli accordi raggiunti con la Chiesa, a fini propagandistici, sostenendo che essi rappresentassero una sorta di giustificazione del regime da parte della Chiesa. Sappiamo tuttavia che la realtà fu molto diversa: una volta “portato a casa” l’accordo, il regime cominciò in più modi a limitare la Chiesa cattolica e le sue associazioni, ritenendo che la Chiesa fosse assai pericolosa per il regime; a tale mutamento contribuirono non poco le prese di posizione di Pio XI, fieramente avverso ad ogni regime totalitario, come ampiamente dimostrato dal suo magistero. La soluzione della Questione Romana non fu in alcun modo un’approvazione del regime fascista da parte della Chiesa, ma fu il punto di arrivo di un percorso assai più lungo, che riuscì a concludersi in quegli anni, solamente perchè in precedenza lo Stato liberale si era posto, nei confronti della Chiesa cattolica, in atteggiamento di aperta ostilità (cosa testimoniata, peraltro, dalla legislazione italiana post-unitaria, fomentata dagli interessi anche ideologici della massoneria, che tanta parte ha avuto nel processo di unificazione e nei primi decenni di storia unitaria).
Il terzo capitolo esamina più da vicino il pensiero di Jemolo negli anni trenta e quaranta, in particolare le riflessioni sul tema della laicità. Jemolo pensa ad un diritto improntato su norme che sanciscano, in materia religiosa, solamente un minimo etico indispensabile ad una ordinata convivenza, ma che lascino alle scelte morali di ognuno il “di più” rispetto a quel minimo; fra l’altro ponendosi in maniera assolutamente critica nei confronti dei Patti Lateranensi del 1929. Appare peraltro una evidente differenza tra il pensiero di Jemolo e quello del suo maestro: egli non pensa ad una libertà religiosa che tuteli gli orientamenti atei o agnostici (riflessione che è invece presente nell’ultimo Ruffini), ma al contrario ricerca con forza un criterio di base per garantire una uguaglianza religiosa tra differenti fedi.
L’Autrice analizza poi il pensiero di diversi giuristi contemporanei allo Jemolo, prestando poi particolare attenzione al periodo della Costituente ed ai dibattiti sorti in seno all’Assemblea, sugli articoli costituzionali dedicati al tema della religione e dei rapporti Stato-Chiesa-altri culti, sottolineando il favor religionis presente nel dettato costituzionale (p. 187-188).
Lascio, per brevità di spazio, al lettore, la successiva analisi dedicata dall’Autrice alla dottrina degli anni sessanta e settanta ed agli Accordi di Villa Madama del 1984.
Passo invece all’ultimo capitolo del volume, dedicato all’analisi della laicità così come oggi intesa. L’Autrice si sofferma lungamente sull’analisi della nota sentenza 203/1989 della Corte Costituzionale, e sull’idea di laicità in essa proposta. La Corte, come noto, parlò della laicità come supremo principio dell’ordinamento, aprendo un dibattito, probabilmente mai sopito, circa le relazioni tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Sul significato della pronuncia della Corte, è noto ai più il dibattito da anni in corso, dibattito che pure l’Autrice riporta, seguendo le posizioni di autorevoli giuristi, alcuni dei quali con nettezza criticati dall’Autrice. Il lettore potrà farsi una propria opinione in proposito, ed in base al proprio personale background culturale, sociale, politico ecc. ciascun lettore potrà trovare le risposte che più lo soddisfano.
Personalmente, affidare la determinazione di principi supremi ad un organo giurisdizionale, per quanto autorevole e peculiare, quale senza dubbio era la Corte costituzionale nel momento in cui redasse la citata sentenza, mi pare cosa poco saggia. D’altra parte, la Carta costituzionale fu redatta grazie al contributo di molteplici “autori”, eletti dal popolo sovrano, i quali soli possono ritenersi abilitati a sì gravi formulazioni, per quanto imperfette o mal definite esse ci possano oggi apparire.
La determinazione di principi supremi può essere demandato solamente ad un’assemblea del tipo di quella che fu la Costituente o ad un organo legiferante di quel tipo, voler trarre da una sentenza del giudice delle leggi le conclusioni che si sono tratte, mi pare sinceramente eccessivo. Sarebbe peraltro stato di grande interesse un raffronto con alcuni esiti giurisprudenziali europei, tra i quali segnalo per brevità la sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo n. 46 del 15.II.2001, al fine di fare meglio comprendere l’ampiezza ed incertezza del dibattito su tale tema.
Ciò che maggiormente mi ha lasciato perplesso, dalla lettura di questo capitolo, nell’ovvio rispetto della posizione dell’Autrice in merito ad una concezione di laicità che non mi soddisfa, è l’inserimento di determinate questioni etiche nella sfera della laicità. Mi pare si confonda un principio giuridico proprio dei moderni Stati nazionali, quale è quello della laicità, con questioni etiche, che in tale definizione non paiono pienamente rientrare. Per laicità si dovrà intendere un principio giuridico regolatore dei rapporti tra Stato e religione (da intendersi come fenomeni riguardanti la sfera trascendente ed una contemporanea visione del mondo improntata al credo professato da ciascuna diversa religione), non mi pare, nonostante le confusioni in essere nel dibattito contemporaneo, si possano far rientrare nel principio testè citato, questioni come la riforma del diritto di famiglia (peraltro dagli esiti discutibili in Italia), o il dibattito sull’aborto, la questione dei c.d. pa.c.s., il testamento biologico e via dicendo.
Mi pare altresì discutibile affermare che «la forza non è sufficiente di per sé ad ottenere obbedienza, ma è necessario che, per tale finalità, siano presenti norme poste a fondamento e a giustificazione della legittimità del potere, e che i consociati non si limitino ad una mera osservanza delle decisioni del potere, ma facciano interna accettazione [sottolineatura nostra] dell’obbedienza stessa alle norme» (p. 267); certamente la forza non è sufficiente, ma pretendere un’accettazione interiore delle norme statali, da parte dei cittadini, negherebbe la libertà religiosa tanto faticosamente affermatasi, per riportarci nel peggiore dei regimi totalitari, ove lo Stato pretende di obbligare in coscienza i propri sudditi (cosa che purtroppo avviene peraltro in numerosi “stati” tra i quali, a mero titolo di esempio, citiamo la Cina comunista). L’Autrice non fornisce una convincente prospettiva per definire quale sia uno Stato laico, parlando più volte di valori di riferimento dello Stato laico, senza specificare quali questi debbano essere, se non in negativo, affermando sostanzialmente che è laico lo Stato che nega qualsiasi valore o principio religioso.
Il testo pone comunque alcuni grossi interrogativi, ai quali è assai difficile offrire delle risposte: lo Stato può pretendere di individuare i valori meritevoli di tutela in ambiti in cui si pone con forza la questione della laicità? Dove va posto il confine tra libertà religiosa del singolo e diritto di legiferare in materia di religione dello Stato? I valori che caratterizzano una certa civiltà, possono essere annullati per volontà di alcuni, e sotto la spinta di una determinata posizione ideologica?
Uno studio degli autori che hanno in passato analizzato il tema della laicità, rappresenta senza dubbio un punto di partenza imprescindibile, per poter dare efficaci risposte agli interrogativi più sopra proposti, risposte che necessiteranno ancora di molte riflessioni e studi per essere risolte.
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