IL RISVEGLIO DI DIO
di Paolo Becchi
Università di Genova

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Abstract

In this essay Becchi deals with the problem of the return of religion in the public scene – a phenomenon that everyone can appreciate – and tries to explain its reasons. The most important of them is that religion is the primary source of sense for our societies. Then Becchi deals with the relationship between religion and politics, and the theme of laity. A correct idea of laity is necessary in order to avoid the “clash of civilizations” predicted by Huntington.

Bisogna essere ciechi per non vedere un fenomeno che, cresciuto negli ultimi decenni forse un po’ in disordine, sta diventando una delle novità salienti del nuovo millennio: il ritorno della religione sulla scena pubblica [1] . Per lungo tempo confinata nell’ambito privato della coscienza si era pensato che questo sarebbe stato l’inizio del suo declino. I sociologi degli anni Sessanta del secolo scorso parlavano di “eclisse del sacro”, e si pensava che mai più esso sarebbe tornato alla ribalta. Così non è stato. E l’eclisse si è rivelata per quella che astronomicamente è: un temporaneo oscuramento. Dio, insomma, non era morto: si era soltanto addormentato ed ora assistiamo con stupore al suo vigoroso risveglio. Ciò che infatti sta sotto gli occhi di tutti è il riemergere prepotente della religione, dal forum internum della coscienza, dal privato in cui era stata confinata, e questo anche in società come le nostre che sino a poco tempo fa si ritenevano ampiamente secolarizzate.
L’Europa continentale può ormai essere definita una società post-secolare, poiché in essa la religione nelle diverse forme in cui essa storicamente si manifesta, avanza nuovamente la pretesa di valere come forza sociale vincolante, chiudendo in tal modo l’epoca della sua neutralizzazione pubblica.
Molteplici sono le ragioni di questa rinascita della religione anche laddove veniva considerata ormai in via di estinzione. In questo mio intervento, richiamerò velocemente l’attenzione su tre aspetti, evidenziando la sfida che questo fenomeno ci lancia e come si è cercato di rispondere ad esso.

 

I

Comincio con un aspetto che forse è quello decisivo, anche se nell’analisi degli osservatori – con l’eccezione di Jürgen Habermas, che a partire da Glauben und Wissen (un discorso da lui tenuto nel 2001 nella Paulskirche di Francoforte) ha continuato ad insistervi [2] – è rimasto piuttosto sullo sfondo. Di fronte ad una ragione sempre più strumentale e assoggettata al dominio della tecnoscienza la religione si presenta come un grosso serbatoio di senso, non ancora esaurito. La secolarizzazione con il suo disincantamento (Entzauberung) ha provocato il dissolvimento dell’immagine religiosa del mondo, la sua sdivinizzazione (Entgötterung), ma il risultato – oggi palpabile – è stato un inaridimento di senso. I nostri cervelli e i nostri corpi sono ormai colonizzati dalle macchine (il portatile è finito dalla scrivania nella camera da letto e ormai non si chiudono più gli occhi prima di aver guardato sul Blackberry le ultime mail), contaminazioni fra l’organico e l’inorganico, tra il naturale e l’artificiale, tra l’umano e il non umano, lasciano già intravvedere l’orizzonte del postumano. Siamo tutti in rete, ma anche tutti intrappolati nella rete. Video sempre accesi e schermi onnipresenti. Persino la crisi economica attuale è stata paragonata ad un videogame in cui appena è stato sconfitto un mostro ne ricompare subito un altro. E così il gioco può continuare all’infinito.
L’effetto di tutto ciò è un vuoto di relazioni e una sempre più accentuata estraneazione dell’uomo dal mondo reale e dal senso della sua esistenza. Non c’è in fondo da stupirsi se Dio e la religione siano di nuovo evocati come possibili risposte all’attuale crisi nichilistica. Basti un esempio: di fronte alla “situazione limite” dell’eugenetica che mira alla creazione di una nuova stirpe postumana riaffiora il bisogno di ripensare la propria origine riconducendola ad un inizio indisponibile. Ma come soddisfare un tale bisogno se non rielaborando razionalmente contenuti di senso che ci provengono da rappresentazioni in ultima istanza religiose? Tornerò su questa domanda nella conclusione di questo intervento: qui basti intanto sottolineare come essa tocchi il nodo cruciale del rapporto tra fede e sapere.

 

II

Vorrei però richiamare l’attenzione su due ulteriori aspetti che riguardano un altro nodo fondamentale: quello tra religione e politica. La caduta del Muro di Berlino e la grave recessione economica mondiale hanno generato le condizioni storiche propizie per un ritorno della religione anche in Occidente, proprio laddove sembrava ormai conservare una funzione meramente residuale. Crollata la fiducia nelle ideologie politiche dominanti nel secolo scorso con il collasso del “socialismo reale” e dopo il fallimento di un liberalismo del mercato che con la globalizzazione economica ha mostrato tutti i suoi limiti, la religione è tornata a rappresentare un punto di riferimento per uomini e donne sempre più disorientati da una società in crisi e incapace di uscirne. E qui va pur dato atto alla Chiesa Cattolica, proprio presentandosi nella veste comunitaristica e “antimoderna” di Papa Benedetto XVI [3] , di aver saputo cogliere l’occasione meglio delle Chiese protestanti, almeno di quelle organizzate su base nazionale e maggiormente caratterizzate in senso individualistico.
Venuti meno il socialismo e il liberalismo non resta che affidarsi a qualcosa che è in fondo sopravvissuto ad entrambi: il cattolicesimo; è questa l’unica “riserva escatologica” rimasta sul mercato, capace, se non altro, di “frenare” i suoi effetti più devastanti.
La Chiesa cattolica, in particolare, è così ritornata ad esercitare una importante funzione terapeutica: un punto fermo a cui aggrapparsi di fronte al crescente disagio sociale e all’incapacità di uscire dalle contraddizioni prodotte da un capitalismo ipertecnologico.
Ma anche la religione cattolica, pur essendo per sua stessa natura universale e transnazionale, non è più la religione dominante. Essa lo è ancora in Europa, ma l’Europa è ormai diventata un’entità fittizia, un pedone insignificante della scacchiera planetaria ed in più proprio in Europa – a seguito del massiccio fenomeno dell’immigrazione – il cristianesimo è chiamato, direi nella vita di tutti i giorni (costruzione di moschee e minareti, crocefisso nelle scuole, dieta alimentare negli asili, etc. ), a confrontarsi con la religione di provenienza dei migranti che è in prevalenza musulmana. Non c’è più da tempo un’Europa dominante nel mondo, così come non c’è più una religione dominante, ed il fatto nuovo è che gli dei hanno ripreso a combattersi tra loro. E così passo a considerare il terzo aspetto.
Il “politeismo dei valori” che nella vulgata weberiana esprimeva il riconoscimento laico di una pluralità pacificata di visioni del mondo (tutte ugualmente legittime) mostra di nuovo il suo volto conflittuale. Chiamata a rispondere al crescente bisogno di identità, la religione non può soddisfarlo se non agganciandosi a quell’ identità di cui è espressione e a cui al contempo vuol dare espressione.
La rinascita prima in America e poi anche in Europa del sentimento religioso cristiano può anche – ma sicuramente non soltanto, come mostra la forte crescita nell’America Latina degli evangelici – essere spiegata come una risposta ai movimenti musulmani più radicali ed al potenziale di violenza che hanno già prodotto e continuano a produrre. Basti qui ricordare l’episodio più recente: la strage cristiana all’uscita di una delle più importanti Chiese di Alessandria d’Egitto nella notte di questo nuovo anno. Nel momento in cui da una parte l’Islam fondamentalista cerca di affermarsi sulla scena del mondo, è inevitabile che dall’altra parte si riscoprano le radici giudaico-cristiane.
C’è dunque il rischio che il mondo diventi il teatro di una nuova conflittualità interreligiosa? La radicalizzazione dello scontro fra concezioni totalizzanti incompatibili e inconciliabili va sicuramente in questa direzione, ed è un fatto che la distinzione politica per eccellenza, quella tra amico e nemico, passi nuovamente attraverso l’appartenenza confessionale.

Come rispondere a questa sfida che porta con sé il ritorno della religione nell’arena politica? Non resta che prendere atto dello scontro tra civiltà (clash of civilizations [4] ) e agire di conseguenza o è sufficiente rivitalizzare quel senso di laicità connesso all’idea di uno Stato equidistante e neutrale che sarebbe stato incrinato dal “ritorno di sacro”?
Le due soluzioni attualmente in discussione rispondono in modo affermativo o alla prima o alla seconda domanda. Ma entrambe si rivelano insoddisfacenti. Vediamo perché, prima di accennare ad una proposta alternativa.

 

III

1. La soluzione realista è quella che prende atto dell’insanabilità del conflitto e decide di ribattere colpo su colpo, à la guerre comme à la guerre, chiudendosi nella difesa della propria confessione religiosa e auspicando, dopo il “divorzio” della secolarizzazione, una “nuova alleanza” tra religione nazionale e potere politico, tra Chiesa e Stato.
L’esempio forse più eclatante può essere offerto dalla rivendicazione dell’esposizione del crocefisso nei luoghi pubblici come risposta alla richiesta sempre più pressante di costruire moschee e minareti. Ma altre misure vanno nella stessa direzione, come quelle che facilitano (se non subordinano) l’accesso al territorio a immigrati che professano la religione dominante in esso o attribuiscono particolari agevolazioni alle attività di tale religione (spazi privilegiati nell’istruzione, sovvenzioni, sgravi fiscali e così via). A venir meno sarebbe l’equidistanza dello Stato da tutte le confessioni religiose; lo Stato sarebbe invece chiamato ad accordarsi con quell’unica religione nazionale riconosciuta come fattore di coesione sociale.
Questa soluzione sembrerebbe far rivivere il sogno ottocentesco (antiliberale e antiindividualistico) di uno Stato cristiano. Sia ciò desiderabile o meno, essa presuppone l’esistenza di un ethos cristiano condiviso e di uno Stato capace di appropriarsene.
Entrambe le condizioni oggi mancano. Lo Stato – nella forma in cui si è affermato nella modernità – sta tramontando: da soggetto che ha esercitato il controllo monopolistico della decisione politica è diventato esso stesso oggetto di decisioni prese in larga parte altrove. Anche l’idea di un mondo diviso in “grandi spazi”, quale ultimo distillato della crisi dello jus publicum Europaeum, come preconizzava Carl Schmitt [5] , è superata. La globalizzazione dei mercati e della tecniche esige un unico spazio: l’Impero invasivo e pervasivo del nuovo capitalismo immateriale, e tutti, indistintamente, siamo incapsulati in esso. Uscirne è impossibile.
D’altronde proprio in Europa risulta sempre più difficile parlare di un ethos cristiano condiviso. All’Europa dei burocrati e banchieri di Bruxelles gliene importa tanto poco della civiltà cristiana da aver imposto nel suo Trattato costitutivo l’esclusione delle radici giudaico-cristiane [6] . Inoltre, nolens volens il cristianesimo non può non confrontarsi con la religione musulmana di migranti, sempre più massicciamente presenti. La soluzione, insomma, non può essere crocefissi contro moschee e minareti e neppure laicità contro crocefisso e velo islamico, ma ampia libertà religiosa per tutti, e diritto alla sua libera espressione pubblica purché ciò non comporti odio, violenza e prevaricazione nei confronti di coloro che hanno convinzioni differenti. Insomma, quello che intendo sostenere è una sorta di “ammorbidimento” del laicismo.

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