LA MEMORIA: UN TESTIMONE NON ATTENDIBILE?
di Martino Feyles
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Il problema è che dal punto di vista giuridico le cose sono diverse. In una testimonianza resa durante un procedimento penale i dettagli sono il più delle volte l’essenziale. In un processo penale non importa affatto la certezza che il testimone ha di aver assistito ad una rapina, di aver visto due uomini, un motorino ecc. Ciò che importa sono i dettagli: il rapinatore aveva i capelli biondi? il motorino era verde? ecc. Se questi dettagli non sono già parte del senso noematico dell’esperienza (cioè se non sono stati “notati”) non potranno mai e in nessun modo venir ricavati da una ispezione accurata dell’immagine memorativa, perché l’immagine memorativa è una pura fantasia. Se poi – disgraziatamente – il testimone si sentisse in dovere o venisse sollecitato ad analizzare più a fondo tale immagine memorativa, potrebbe anche accadergli, alla fine, di riuscire a “rivedere” il dettaglio che cercava: “sì, in effetti il motorino era verde, ora me ne ricordo, lo vedo”. In questo caso egli cadrebbe vittima di quella confusione tra elementi memorativi autentici e elementi di fantasia di cui si parlava prima. E un innocente potrebbe finire nei guai.
Non sono in grado – perché non ho le competenze necessarie – di discutere il problema giuridico della testimonianza. Mi sembra però che, se di accetta la tesi husserliana del ricordo come fantasia tetica – e io credo che ci siano molte buone ragioni per accettarla – diviene necessaria una riflessione molto approfondita sul significato e sui limiti della testimonianza all’interno di un procedimento penale. Non essendo competente in materia vorrei proporre a tal proposito non tanto delle considerazioni, quanto piuttosto delle domande, che formulerò in modo piuttosto ingenuo e diretto e che rivolgo in primo luogo alla comunità degli studiosi di questioni giuridiche.
La prima domanda è di ordine generale: che peso ha nell’economia di un procedimento penale la prova testimoniale? Una sentenza di condanna – mi riferisco soprattutto ai processi penali, dove il problema è più grave – può essere fondata solo su una prova testimoniale? Il codice di procedura penale stabilisce (art. 533) che “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Evidentemente l’interpretazione di cosa si debba intendere per “ragionevole dubbio” è affidata al giudice, ma io domando: la legge consente al giudice di emettere una sentenza solo sulla base di una testimonianza che egli ritiene attendibile? Per esempio nel caso dei processo per stupro o violenza sessuale accade spesso che, in mancanza di prove oggettive (peli pubici, sperma ecc.), l’unica prova rilevante ai fini di una condanna dell’imputato sia costituita dalla testimonianza della vittima che riconosce il volto del suo stupratore. Ammettendo che sia riconosciuta come attendibile, che valore ha in questi casi una testimonianza?
Il secondo ordine di questioni è più circostanziato. Rispetto alle cosiddette “prove oggettive” la prova testimoniale presenta di per sé un margine di incertezza molto maggiore. Che il testimone possa mentire e che possa sbagliare è una cosa nota dall’alba dei tempi. Ma le ricerche sulle distorsioni della memoria condotte negli ultimi quarant’anni hanno ampliato di molto la nostra conoscenza circa le possibilità che una testimonianza in buona fede risulti falsa, malgrado la convinzione con cui viene sostenuta. In che modo il sistema giuridico italiano ha recepito i risultati di queste ricerche? L’art. 188 del codice di procedura penale contiene un riferimento esplicito al problema della memoria come fondamento della testimonianza e stabilisce il divieto di “alterare la capacità di ricordare i fatti”. Si tratta però di un divieto che sembra principalmente orientato a impedire qualsiasi operazione volontaria di influenza sulla testimonianza altrui, mentre la possibilità di una suggestione involontaria – che è molto più frequente, più sottile e più pericolosa – da parte di chi conduce le indagini, raccoglie le testimonianze, interroga il testimone, ecc., non viene nominata. Che garanzie ci sono per l’imputato a questo proposito? La legge stabilisce l’obbligo di verificare che i testimoni non siano, o non siano stati, oggetto di suggestioni involontarie? Per esempio il giudice ha l’obbligo di verificare che la testimonianza di un bambino in un processo per pedofilia non sia influenzata dai timori o dalle opinioni dei suoi genitori? Oppure un indagine di questo tipo è affidata alla sua discrezione?
Alla luce delle evidenze fenomenologiche e sperimentali circa la natura schematica e ricostruttiva delle immagini memorative, diviene ragionevole una posizione cauta a proposito dell’attendibilità del riconoscimento visivo di un volto fondato sul ricordo. Quali sono i criteri precisi per stabilire l’attendibilità delle ricognizioni (art. 213-217)?
Per esempio: il riconoscimento da parte del testimone di un imputato può essere ritenuto attendibile se avviene ad una distanza temporale considerevole rispetto ai fatti che si intende verificare? Quanto tempo può passare tra gli eventi a proposito dei quali il testimone rende testimonianza e la raccolta della testimonianza stessa?
Gli esperti di psicologia forense e psicologia della testimonianza che si occupano di questi problemi sono in grado di fornire delle indicazioni pratiche di grande importanza per il lavoro del giudice, degli inquirenti, degli agenti di polizia ecc. Tali indicazioni non si fondano sulla fenomenologia della memoria husseriliana, ma si basano sul riconoscimento della natura ricostruttiva del processo rimemorativo e dei limiti intrinseci di ogni testimonianza e sono perciò perfettamente compatibili con quanto ho sostenuto in questo saggio. Nella sua relazione al CSM del 2003 Ugo Fornari, per esempio, spiega in modo circostanziato quanto possa essere utile videoregistrare tutte le dichiarazioni dei testimoni e i procedimenti con cui sono raccolte, in modo da poter verificare in ogni momento e a proposito di ogni dettaglio che non siano intervenuti fattori in grado di suggestionare o influenzare in qualche modo il racconto dei fatti [27] . Per la stessa ragione Fornari suggerisce di utilizzare negli interrogatori e nelle interviste una tecnica che privilegi la libera espressione e il racconto spontaneo del testimone, così come la posizione di domande aperte che non suggeriscano implicitamente e inconsapevolmente nessuna informazione. Sono indicazioni che hanno un’importanza particolare nei casi che riguardano i minori e che implicano la testimonianza dei bambini, ma a mio avviso dovrebbero essere estese a tutti le testimonianze rilevanti ai fini di un procedimento penale grave. Mi sembra che favorire e sostenere il lavoro di ricerca in questi campi possa portare a risultati importanti e di grande aiuto per imparare a discriminare con maggiore oculatezza le testimonianze attendibili e quelle inattendibili. A questo proposito quali sono le iniziative di aggiornamento e formazione dei giudici, degli inquirenti, degli agenti di polizia e di tutto il personale coinvolto nelle indagini e nei procedimenti penali? È evidente poi che il ruolo dei periti e dei professionisti chiamati in causa per verificare l’attendibilità dei testimoni la loro idoneità a rendere testimonianza è cruciale. Ma allora quali sono i criteri che guidano la selezione dei periti chiamati in causa e quali meccanismi ci sono per verificare la loro professionalità?
È chiaro che non è possibile pensare di regolamentare ogni aspetto che riguarda la testimonianza. Il ruolo essenziale del giudice non può venir messo in discussione e mi sembra inevitabile che il giudizio circa l’attendibilità di una testimonianza rimanga in ultima analisi affidato alla “prudenza” del giudice. Questa dimensione “prudenziale” non può essere sostituita e non deve essere considerata come intrinsecamente negativa.
Ponendo queste domande, non è affatto mia intenzione mettere in dubbio in assoluto la capacità del sistema giudiziario – e del giudice in particolare – di accertare il vero. E nemmeno intendo gettare discredito sull’idea di testimonianza in generale. Al contrario a questo proposito il mio pensiero è esattamente opposto: una società non può sussistere senza la possibilità di dar credito alle testimonianze. Occorre dunque accettare quasi a priori l’idea che la testimonianza sia uno strumento attendibile per accertare il vero. Tuttavia, quando si considera il problema del valore della testimonianza alla luce della fenomenologia del ricordo che ho proposto, è legittimo assecondare una preoccupazione di fondo. Vorrei esprimere anche tale preoccupazione di fondo nella forma di una domanda rivolta alla comunità degli studiosi del diritto. Una domanda di carattere molto generale che però in questa sede si ripropone con una urgenza nuova: il sistema giudiziario si deve ispirare ad un principio giustizialista o garantista? Cos’è più ingiusto: che un criminale la faccia franca sfruttando un riconoscimento giuridico eccessivo della debolezza della prova testimoniale, o che un innocente sia condannato sulla base di un falso ricordo imprudentemente considerato attendibile? L’interpretazione di quel “oltre ogni ragionevole dubbio”, di cui parla il codice penale, non dovrebbe essere spinta fino alle sue più estreme conseguenze?
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[1] B. WILKOMIRSKI, Frantumi: un’infanzia, 1939-1948, Mondadori, Milano, 1996.
[2] Cfr. D.L. SCHACTER, The seven sins of memory: how the mind forgets and remembers, Houghton Mifflin, Boston, 2001, tr. it. I sette peccati della memoria, Mondadori, Milano, 2002, “Introduzione”.
[3] «Ma che cosa rispondere alla domanda, se il rimemorato sia stato veramente? E alla domanda circa la validità della rimemorazione? Essa si riferisce a una percezione precedente e la pone come realmente avvenuta. Questo glielo vediamo addosso, è un dato. Ma è proprio necessario che questa posizione sia valida? […] Sembra così che, nei nostri enunciati fenomenologici, noi siamo legati mani e piedi ai fenomeni attuali, ai fenomeni nella loro presenza reale; finché il fenomeno dura, finché vi è là ciò che essi pongono come fenomenologicamente essente e così e così costituito. Ma appena il fenomeno è passato, l’enunciato perde il suo sostrato di validità. […] Questo è dunque poco meno che scetticismo assoluto. Anzi, possiamo tranquillamente affermare che è assoluto scetticismo». E. HUSSERL, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins: 1893-1917, Hua X, M. Nijhoff, The Hague, 1966, tr. it. Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Franco Angeli, Milano 2001, pp. 333-334 passim.
[4] cfr. PLATONE, Teeteto, Laterza, Roma-Bari 2010, 191c.
[5] D. HUME, A treatise of human nature, tr. it. Trattato sulla natura umana, Mondadori, Milano, 2008, p. 46.
[6] cfr. PLATONE, Teeteto, cit., 197b.
[7] F.C. BARTLETT, Remembering : a study in experimental and social psychology, Cambridge University press, Cambridge 1961, tr. it. La memoria. Studio di psicologia sperimentale e sociale, Franco Angeli, Milano 1974.
[8] «L’abbiamo ripetuto molte volte: il ricordo è in grandissima parte una ricostruzione del passato operata con l’aiuto di dati presi dal presente, e preparata d’altronde da altre ricostruzioni fatte in epoche anteriori, dalle quali l’immagine originale è uscita abbondantemente alterata. […] Possiamo dunque chiamare ricordi molte rappresentazioni che, almeno in parte, si basano su delle testimonianze o dei ragionamenti. Ma, allora, la parte del sociale, o se si vuole, dello storico nella memoria che abbiamo del nostro passato è molto più grande di quanto non pensassimo». M. HALBWACHS, La mémoire collective, Presses Universitaires de France, Paris, 1968, tr. it. La memoria collettiva, Edizioni Unicopli, Milano, 2001, p. 144.
[9] M. PROUST, À la recherche du temps perdu, tr. it. Alla ricerca del tempo perduto, vol. I, Mondadori, Milano, 2006.
[10] E. HUSSERL, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins: 1893-1917, Husserliana X, M. Nijhoff, Den Haag, 1966, tr. it. Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Franco Angeli, Milano, 2001, p. 78.
[11] La presentazione delle tesi di Husserl che propongo in questo paragrafo è per ovvie ragioni di spazio molto sintetica. Per una trattazione più approfondita e meno sbrigativa dei numerosi problemi relativi alla fenomenologia della memoria rimando a M FEYLES, Studi per la fenomenologia della memoria, Franco Angeli, Milano, 2011.
[12] «Prendiamo l’esempio di una melodia o di una parte organica di essa. La cosa sembra, a tutta prima, assai semplice: udiamo la melodia, cioè la percepiamo, dato che udire è pure un percepire. Cionondimeno, è il primo suono che insorge, poi viene il secondo, poi il terzo ecc. Non si direbbe: quando attacca il secondo suono io odo quello, ma non odo più il primo, ecc.? In verità dunque, non è la melodia che odo, ma solo il singolo suono presente, che la parte trascorsa della melodia sia oggettuale per me, lo devo – si starebbe per dire – al ricordo; e che io arrivato a ciascun singolo suono, non presupponga che sia tutto qui, lo devo alla aspettazione antemirante.» E. HUSSERL, Per la fenomenologia della coscienza interna…, cit., pp. 59-60.
[13] Nel momento T4, quando la pallina è in D, l’istante iniziale (A) del movimento non è più effettivamente presente ma tuttavia è ancora percepito, non ha senso dire che è ricordato.
[14] «[…] il fantasticare in generale è la modificazione di neutralità della presentificazione “posizionale”, dunque del ricordo nel senso più vasto che si possa pensare». E. HUSSERL, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosphie, Husserliana III, M. Nijhoff, Den Haag, 1976, tr. it. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, Libro primo: “Introduzione generale alla fenomenologia pura”, Einaudi, Torino 2002, p. 272.
[15] «Un ricordo non intuitivo di una persona che avevamo conosciuto qualche tempo fa si riempie, per esempio, grazie ad una rimemorazione intuitiva. Se esaminiamo però ora più precisamente l’“immagine rimemorativa” (Erinnerungsbild), notiamo allora che, per esempio, la fisionomia, la barba riprodotta, gli occhiali, ecc. hanno il carattere effettivo del ricordo, ma non il colore della barba, il colore degli occhi, ecc; in questi ultimi casi ciò che è intuitivo è raffigurazione, riempitivo». E. HUSSERL, Analysen zur passiven Synthesis. Aus Vorlesungs- und Forschungsmanuskripten, 1918-1926, Husserliana XI, Martinus Nijhoff, Den Haag 1966, tr. it. Lezioni sulla sintesi passiva, Milano, Guerini e Associati, 1993, p. 127.
[16] «Die Phantasievorstellungen zerfallen in blosse Vorstellungen und Erinnerungen. Die letzten [sind] ebenfalls durch Glauben ausgezeichnet» [«Le rappresentazioni di fantasia si dividono in fantasie semplici e ricordi. Questi ultimi sono caratterizati dalla credenza»]. E. HUSSERL, Phantasie, Bildbewusstsein, Erinnerung. Zur Phänomenologie der anschaulichen Vergegenwärtigung, Husserliana XXIII, Kluwer Academic Publishers, Dodrecht-Boston-London, 1980, p. 81.
[17] Cfr. E. HUSSERL, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., p. 125.
[18] Cfr. E. HUSSERL, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie. Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie, Martinus Nijhoff, Den Haag, 1976, tr. it. La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002.
[19] F.C. BARTLETT, Remembering: a study in experimental and social psychology, cit., p. 268.
[20] «Tuttavia, se affermiamo che la memoria è essa stessa costruttiva, come possiamo differenziarla dall’immaginazione e dal pensiero costruttivi? La soluzione più semplice è quella di dire che si tratta semplicemente di una differenza di «grado». Ivi, p. 389. «[…] in questo particolare contesto esso (grado) deve significare che la rievocazione, l’immaginazione ed il pensiero differiscono soltanto per ciò che riguarda il grado di fissità del particolare con cui esse hanno a che fare». Ibidem. In realtà non si tratta di una differenza di grado ma di coscienza. Qui Bartlett rimane disgraziatamente ancorato ad un presupposto empirista.
[21] E. LOFTUS and J.C. PALMER, Reconstruction of Automobile Destruction: An Example of the Interaction Between Language and Memory, in “Journal of verbal learning and verbal behavior”, 13, 1974, pp. 585-589.
[22] E. LOFTUS and J.E. PICKRELL, The formation of false memories, in “Psychiatric Annals”, 25, 1995, pp. 720-725.
[23] La Loftus sintetizza così il suo punto di vista generale: «La mia ricerca ha contribuito a creare un nuovo paradigma della memoria, a passare dal modello del magnetoscopio, dove i ricordi sono interpretati come delle informazioni fedeli e rigide, al modello detto “ricostruzionista”, nel quale i ricordi sono compresi come una ricostruzione permanente, un mélange creativo di fatti e finzione». E. LOFTUS, K. KETCHAM, The myth of repressed memory, St. Martin’s Griffin, New York, 1994, p. 24 (t.d.a.).
[24] «Psychologial science has not yet developed a reliable way to classify memory as true or false». E. LOFTUS, Our changeable memories: legal and practical implications, in “Nature Reviews: Neuroscience”, 4, marzo 2003, p. 232.
[25] D. L. SCHACTER, The seven sins of memory: how the mind forgets and remembers, Houghton Mifflin, Boston, 2001, tr. it. I sette peccati della memoria, Mondadori, Milano, 2002, p. 117.
[26] Ivi, p. 126.
[27] U. FORNARI, I meccanismi del ricordo e del narrare: la psicologia della testimonianza, Relazione tenuta al CSM a Roma il 30 giugno 2003 e il 13 ottobre 2003, in Trattato di Psichiatria Forense, Utet, Torino, 2004.