LA MEMORIA: UN TESTIMONE NON ATTENDIBILE?
di Martino Feyles
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Nelle molte migliaia di esempi di ricordo che ho raccolto […] la rievocazione letterale era molto rara. Tranne poche eccezioni […] ciò che si verificava non sembrava assolutamente una rieccitazione di tracce individuali. Prendiamo per esempio in considerazione nei particolari il caso del soggetto che sta ricordando una storia che aveva udito circa cinque anni prima e confrontiamolo con quello in cui il soggetto riceve un certo materiale schematico e costruisce quella che egli definisce una storia nuova. Ho tentato il secondo esperimento ripetutamente e, non solo la forma effettiva e il contenuto dei risultati ma […] gli atteggiamenti dei soggetti in questi due casi erano sorprendentemente simili […][19] .
La conclusione cui giunge Bartlett a questo proposito – ossia che tra il ricordo e la fantasia vi sia solo una differenza di grado – è fenomenologicamente inaccettabile [20] , ma le evidenze sperimentali su cui questa conclusione si fonda possono essere interpretate senza forzature dal punto di vista fenomenologico e possono essere chiamate in causa per confermare la concezione husserliana della rimemorazione come fantasia tetica.
2) Proprio in conseguenza dello stretto legame che unisce fantasia e ricordo, è possibile costruire esperimenti che mostrano quanto sia facile influenzare e deformare i ricordi altrui. Il punto di riferimento principale, per gli studi di questo genere, è il lavoro di E. Loftus. La Loftus a partire dagli anni ’70 ha condotto una serie di esperimenti sulle distorsioni della memoria, che gli hanno procurato una fama mondiale e una serie di prestigiosi riconoscimenti internazionali. Le sue ricerche hanno dimostrato fino a che punto sia possibile suggestionare un soggetto che ricorda, deformando la sua rappresentazione di un fatto passato. In un celebre articolo del 1974, la psicologa americana dimostrò che era possibile modificare il modo in cui i soggetti ricordavano un incidente stradale formulando in modi diversi la domanda a proposito dei fatti accaduti [21] .
L’esperimento descritto nell’articolo in questione è nello stesso tempo semplice e convincente e merita di essere velocemente descritto. Un gruppo di 150 studenti universitari assiste alla proiezione di un filmato in cui è ripreso un incidente stradale. Successivamente viene loro chiesto di rispondere ad un questionario a proposito dei fatti accaduti. Ma la domanda cruciale circa la velocità dei veicoli coinvolti nell’incidente, viene formulata in alcuni questionari attraverso l’espressione “About how fast were the cars going when they hit each other?”, in altri invece attraverso l’espressione “About how fast were the cars going when they smashed each other?”. Circa una settimana dopo gli stessi studenti sono interrogati nuovamente a proposito dell’incidente cui hanno assistito e viene loro chiesto: “Did you see any broken glass?”. Nel video proiettato la settimana precedente non c’era traccia di vetri rotti, ma i soggetti interrogati tramite l’espressione “smashed” mostrarono una tendenza nettamente superiore a ricordare un dettaglio dell’episodio del tutto inesistente. Dal momento che la presenza di vetri rotti sulla scena è un dato coerente con l’immagine di due auto che si “schiantano” (e meno coerente con l’immagine di due auto che si “urtano”), i soggetti in questione furono indotti a ricostruire l’evento in modo alterato.
Proseguendo i suoi studi sulle distorsioni della memoria la Loftus si è spinta molto oltre lo studio delle conseguenze del cosiddetto “misinformation effect” e ha mostrato che è possibile non solo modificare i dettagli di un ricordo altrui, ma anche addirittura “impiantare” un falso ricordo in un soggetto ignaro. In un altro esperimento altrettanto suggestivo e altrettanto celebre la psicologa americana ha mostrato come sia possibile innestare il ricordo di un episodio dell’infanzia mai accaduto (essersi persi in un supermercato) grazie alla collaborazione dei familiari del soggetto coinvolto [22] .
Al lavoro di scienziato la Loftus ha affiancato anche un’incessante attività di collaborazione con il sistema giudiziario americano, specializzandosi in modo particolare nella valutazione dei casi di falso ricordo legati a presunti abusi sessuali in età infantile.
Nello sconvolgente libro in cui rende conto della sua lunga esperienza maturata sul campo, The myth of repressed memory, la Loftus mostra in modo davvero convincente quanto spesso le testimonianze delle presunte vittime dei presunti abusi sessuali siano il risultato di una drammatica confusione di fantasia e ricordo [23] .
3) I tentativi messi in atto fino a questo momento per ottenere un criterio obbiettivo per distinguere un’immagine di fantasia da un’immagine memorativa, basandosi sulla vivacità intuitiva della rappresentazione o sulle tecniche di neuroimmagine, non hanno prodotto risultati significativi [24] . D. Schacter ha condotto una serie di laboriosi esperimenti per verificare la differenza delle reazioni cerebrali nel caso di un vero ricordo e nel caso di un falso ricordo (cioè di una fantasia erroneamente presa per “reale”). In alcuni di questi esperimenti ai soggetti viene presentata una prima lista di parole affini (“filo”, “spilla”, “capocchia”, “cucito”, “appuntito” ecc.) e successivamente una seconda lista (“cucito”, “dormire”, “ago” ecc.). Durante la presentazione della seconda lista ai soggetti viene chiesto di riconoscere le parole già udite e si può osservare che molti di loro sbagliano sostenendo di aver già udito parole che non hanno mai udito (per es.“ago”). Sarebbe questo, secondo Schacter un caso di falso ricordo prodotto in laboratorio. Grazie a questo artificio che permette di “produrre” un falso ricordo, diviene possibile visualizzare, tramite una particolare tecnica di risonanza magnetica (PET), cosa avviene nel cervello nel caso del vero ricordo (vero riconoscimento) e nel caso del falso ricordo (falso riconoscimento). Si possono così constatare delle piccole variazioni nella attività cerebrale. Schacter si domanda dunque: «Si potrebbero usare le PET per mettere fine alle controversie sui ricordi degli abusi subiti nell’infanzia, dove qualcuno descrive per filo e per segno un orrendo abuso e qualcun altro nega disperatamente? Potrebbero aiutare a stabilire l’attendibilità di un testimone oculare?»
La domanda potrebbe anche essere formulata così: esiste un criterio obbiettivo per distinguere fantasia e rimemorazione? La risposta però è deludente: «Sono quesiti affascinanti, che presentano enormi implicazioni per la società. Ma i risultati ottenuti mi costrinsero a raffreddare gli entusiasmi. Le somiglianze tra vero e falso riconoscimento erano sorprendenti e generalizzate, le differenze poche e al massimo suggestive» [25] . Ciononostante il celebre neuroscienziato di Harvard rimane fermamente convinto che in futuro sarà possibile perfezionare gli esperimenti e ottenere risultati significativi: «Ancora non sappiamo con esattezza perché i pazienti sviluppano diverse forme di errata attribuzione, ma qualcosa mi dice che le tecniche di bioimmagine contribuiranno presto a svelare il mistero» [26] . A mio avviso, invece, il fallimento delle ricerche orientate in questo senso apre la strada ad una considerazione fenomenologica fondamentale: la differenza tra ricordo e fantasia non è una differenza di contenuti intuitivi. Per quanto ne so questa considerazione non è ancora un punto di partenza per una ricerca scientifica sistematica. Ma io credo che il fallimento dei tentativi che partono dal presupposto empirista di una differenza di grado tra le immagini mentali dovrebbe indurre gli psicologi a considerare ipotesi alternative.
La teoria fenomenologica del ricordo si presenta come un paradigma teorico di base che ha una sua giustificazione intrinseca, fondata su evidenze non sperimentali ma puramente fenomenologiche. Tuttavia mi sembra che si possa affermare che tale teoria è in grado di rendere conto e di chiarire molte delle più significative evidenze sperimentali raccolte dagli psicologi e anche di semplificare numerosi pseudo-problemi.
5. Il valore della testimonianza: implicazioni giuridiche
L’insistenza con cui ho sottolineato il rapporto tra ricordo e fantasia non deve indurre ad una conclusione sbagliata. La teoria husserliana della memoria non è una teoria scettica, né relativistica. Al contrario è una teoria che nasce da una preoccupazione realistica. Ma il realismo fenomenologico non è ingenuo e non è dogmatico e perciò implica il riconoscimento senza remore della centralità della fantasia nella conoscenza del passato.
La parentela tra ricordo e fantasia apre la strada alla possibilità dell’inganno memorativo. Ma bisogna fare attenzione a non assumere il falso ricordo come il modello di ogni attività rimemorativa. Proprio per perché la rimemorazione è una fantasia tetica, la coscienza che ricorda è sempre esposta al pericolo di incorrere in tre gravi errori: a) scambiare in toto una fantasia per una rimemorazione che riguarda un evento remoto del proprio passato b) “mescolare” insieme dettagli di un episodio effettivamente ritenuti e dettagli di fantasia ricostruiti in modo schematico c) “mescolare” dettagli effettivamente ritenuti che appartengono però ad episodi diversi. Un ricordo può dunque essere falso o inattendibile in molti modi. Ma lo stesso accade anche per la percezione. Un’esperienza percettiva può essere illusoria, indeterminata o ambigua. Eppure noi non dubitiamo della capacità della percezione di attestare il vero. La possibilità dell’errore di per sé, non implica alcun discredito delle possibilità umane di conoscenza.
Alla domanda da cui abbiamo preso le mosse – la memoria è attendibile? – la fenomenologia dà una risposta risolutamente affermativa. Il ricordo è nella stragrande maggioranza dei casi attendibile. Ma ciò che l’analisi fenomenologica rivela è che l’attendibilità del ricordo è legata alla ritenzione del senso noematico dell’esperienza e non alla vivacità dell’immagine del passato. Questo rilievo, apparentemente marginale, è in realtà decisivo e ha delle implicazioni molto importanti. Consideriamo un esempio. Un uomo assiste ad una rapina e si trova per qualche secondo faccia a faccia con due criminali armati. Molto probabilmente il senso dell’esperienza che ha vissuto in quel momento gli rimarrà “impresso” in modo indelebile per tutta la vita. Anche a distanza di molto tempo il soggetto in questione potrà ricordare quanto è accaduto nel modo più certo. Quando però un poliziotto intervenuto sulla scena del crimine poche decine di minuti dopo la rapina, gli chiede di descrivere i due malviventi, il malcapitato si accorge che non riesce a ricordare quasi nessun dettaglio. Che aspetto avevano i malviventi? Come erano vestiti? Di che colore era il motorino su cui sono scappati? La valigia che hanno preso come era fatta? La risposta a queste domande dipende da ciò che il testimone ha esplicitamente notato nel momento in assisteva al crimine. Ciò cui ha prestato attenzione (per esempio: “uno dei due aveva uno strano cappello”), ciò che è intervenuto nella costituzione del senso percettivo della scena che aveva di fronte, sarà ritenuto e dunque sarà possibile ricordarlo in modo certo.
Di tutto il resto l’individuo in questione non potrà che avere rappresentazioni schematiche. Questo che cosa significa? Che la memoria è inattendibile? No. Il ricordo del testimone è nella sua sostanza attendibile. Il senso di quella esperienza percettiva è indubitabile. È solo dei dettagli che si può dubitare. Dunque dal punto di vista epistemologico il ricordo è un atto di conoscenza di cui non bisogna affatto sospettare a priori.