L’ABROGAZIONE DELL’ART. 15 DELLA LEGGE CRISPI
Il problema concettuale dell’abrogazione nella sua fase applicativa.
Il ruolo del giurista.
di Federico Casa
Scarica l’articolo > |
"Lo schema dell’abrogazione presenta un rapporto tra due atti di pari grado nell’ordine gerarchico delle fonti e mette capo ad un determinato effetto che l’atto posteriore produce sull’oggetto e di riflesso sull’efficacia dell’atto anteriore in presenza (e in conseguenza) di una esplicita pronuncia – e si versa nell’ipotesi di abrogazione espressa – oppure di una situazione obiettiva d’incompatibilità tra nuova e vecchia disciplina, ed allora si verifica il caso di abrogazione tacita" (dalla voce "Legge" dell’Enciclopedia del Diritto).
"La dottrina allorché si occupa dell’abrogazione, si limita a considerare il problema concettuale (che cosa è l’abrogazione), mentre ignora gran parte dei problemi che del resto sorgono così numerosi, in concreto, per qualsiasi nozione giuridica" (Giannini, Problemi relativi all’abrogazione delle leggi, Padova, 1942, p. 6).
"Si dice "coerente" quell’ordinamento in cui non esistono norme incompatibili: si dice, invece, "completo" quello in esiste sempre una norma o la norma con questa incompatibile. All’inverso, si dice "incoerente" quell’ordinamento in cui esiste e una norma che regola quella determinata fattispecie e quella incompatibile"; si dice "incompleto" quello in cui non esiste né la norma che regola una determinata fattispecie, né quella incompatibile" (dalla voce "Lacune del diritto", a cura di N. Bobbio, in Contributi ad un dizionario giuridico).
Se da un punto di vista teorico-generale il concetto di abrogazione, ci si riferisca a quella espressa oppure a quella tacita, e non volendo certo in questa sede analizzare la questione se sia esatta quella suggestiva tesi dottrinale secondo la quale l’effetto abrogativo troverebbe la propria fonte non già nella legge posteriore abrogatrice ma nella stessa legge anteriore abrogata (Esposito, Modugno), o se non sia forse preferibile seguire l’indirizzo quasi del tutto prevalente secondo il quale è la legge posteriore a costituire la causa, non certo l’occasione dell’abrogazione, non suscita particolari problemi teorici, ben diversa appare la questione qualora l’interprete debba verificare in concreto quando la nuova normativa risulti incompatibile con la vecchia disciplina.
Sul punto la manualistica (Ziccardi, Crisafulli, Mortati, Barile, Paladin, Rescigno) risulta più preoccupata di svelarne il meccanismo operativo del procedimento, di chiarire cioè in che modo l’effetto abrogativo, segnandone nel tempo l’efficacia, delimita l’ambito di applicazione della legge alla quale si riferisce, salvo poi finire per concludere che vi sarebbe una antinomia solo apparente tra vecchia e nuova disciplina, piuttosto che cercare di indicare dei criteri i quali consentano, oggi che appare sempre più sfumata la distinzione tra abrogazione espressa e tacita, di orientare l’interprete nella disamina e nella valutazione di "quella situazione di obiettiva incompatibilità".
E’ nostra convinzione che l’analisi di alcuni rilevanti casi pratici e le indicazioni fornite dall’interprete nel tentativo di risolvere i problemi prospettatigli permettano non solo di dare conto di queste difficoltà, ma consentano anche di toccare con mano come opera il giurista quando è chiamato non tanto ad esercitarsi nella tranquillizzante attività di esegeta della volontà del legislatore, ma piuttosto quando gli viene chiesto di indicare una via, una soluzione, la quale evidentemente non potrà prescindere dal "dover essere" del dettato legislativo, ma nemmeno potrà trascurare quella realtà dei fatti, quell’"essere" dell’esperienza che certo non diventa "esperienza giuridica" solo perché vi è una norma che seleziona e qualifica come giuridici determinati fatti.
Il caso posto all’attenzione dell’interprete (caso che purtroppo abitualmente viene definito "pratico", come se vi fossero casi pratici che non pongono problemi teorici, oppure, peggio ancora, problemi teorico-generali che non hanno alcuna rilevanza pratica) riguarda il comportamento che deve essere tenuto da parte di ciascun componente l’organo amministrativo di un istituto di assistenza e beneficenza (nel proseguo per comodità "IPAB"), quando vengano discussi e votati ordini del giorno l’oggetto dei quali potrebbe essere ricondotto ad interessi propri dell’amministratore o propri di altre persone giuridiche dal medesimo stabilmente gestite.
In altri termini, il problema posto oggi all’attenzione non sarà certo quello di verificare quali siano le delibere che di volta in volta comportino un obbligo di astensione da parte del consigliere d’amministrazione, né comprendere se quel complicato e discusso concetto giuridico che prende il nome di "conflitto d’interesse" debba essere accertato in astratto (virtualmente) o in concreto, al momento del compimento dell’atto medesimo oppure attraverso quel complicato meccanismo di matrice penalistica che prende il nome di prognosi postuma, quanto piuttosto si vorrà solo cercare di stabilire come debba comportarsi il consigliere d’amministrazione chiamato a partecipare ad una seduta del consiglio nel quale si dibattano questioni di carattere generale che potenzialmente possano riguardare interessi suoi o di altre persone giuridiche da lui stabilmente amministrate.