AD OCCHI CHIUSI: UNA LUCE TRA LE OMBRE
di Alberto Scerbo
Università degli Studi “Magna Grecia” di Catanzaro
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Il XXVII Congresso Nazionale della Società di Filosofia del Diritto si è svolto presso il Villaggio Guglielmo a Copanello di Stalettì, nel luogo in cui nel 1984 ha avuto inizio l’avventura degli incontri dell’Ircocervo. Per chi aveva partecipato attivamente all’organizzazione delle giornate di studio all’insegna dell’ircocervo è sembrato di avere compiuto un improvviso salto indietro nel tempo. Per alcuni versi tutto appariva immutato: le stesse contrattazioni, le medesime preoccupazioni, uguale impegno ed attenzione. Eppure tutto era cambiato! Nelle persone nuove che allora non c’erano; nelle persone che allora erano presenti ed oggi assenti; nei volti e negli animi di chi ancora c’era. Per qualcuno era evidente un vuoto assordante, perché mancava chi aveva prima sognato, poi realizzato e quindi caratterizzato quegli incontri: mancava il Professore Francesco Gentile.
L’assenza era, però, solamente fisica. Il professore Gentile era presente nel cuore di alcuni. Ed era inevitabile che si rinverdissero i ricordi. Soprattutto quando negli stessi spazi di oltre venticinque anni prima si vedevano aggirare Giampiero Calabrò, Danilo Castellano, Marco Cossutta e ritornavano immagini di discussioni animate, di riflessioni teoriche, ma anche di conviviale giovialità. In un’atmosfera carica di idee, progetti, speranze, forse anche illusioni, tenuta desta dall’entusiasmo contagioso del professore Gentile, che faceva intravedere direttrici di ricerca, percorsi di studio e ipotesi di sviluppo dottrinario.
La stagione dell’Ircocervo esprimeva compiutamente la volontà di riunire filosofi del diritto e della politica di provenienza differente intorno ad un nucleo comune di pensiero e di costruire un’autentica scuola, contrassegnata da unità metodologica e condivisione dei fini da perseguire. Ma emergeva anche la reale attitudine a “vivere” la dialettica “classica” del comune e del diverso. Il professore Gentile rifuggiva, infatti, da ogni possibilità di pervenire ad una uniformità di idee, perché il suo intento era sempre quello di indirizzare ognuno verso la ricerca dell’essenza delle cose, senza interferire nelle scelte di carattere operativo. Riuscivano a convivere, così, opzioni ideologiche diverse, a volte anche contrapposte, ma tutte proiettate verso la dimensione “filosofica”, in un continuo rimbalzare tra le prospettive offerte dalla “scienza” giuridica e politica e il desiderio di s-velare le ragioni del perché delle cose.
Il testo di riferimento era per tutti Intelligenza politica e ragion di stato. Nella Premessa erano indicate le linee guida di una concezione filosofica che si muoveva nell’ottica di un rinnovamento degli studi giuridici in direzione della ricomposizione di forma e sostanza, di pubblico e privato, di interiorità ed esteriorità, di teoria e prassi. E non è casuale che tutti gli incontri dell’Ircocervo sono stati contrassegnati dalla formula “Teoria e prassi alle radici di”, che costituiva il tratto “comune” del ragionamento, a cui si affiancava il “diverso” delle distinte branche del diritto oggetto di analisi critica: di seguito, il diritto civile, il diritto costituzionale, il diritto internazionale, il diritto amministrativo ed il processo. E particolare era anche l’impianto degli incontri, che vedevano protagonista, di volta in volta, un diverso giurista positivo, che era chiamato a confrontarsi con i filosofi del diritto, in un gioco dialettico che, seguendo le modalità tipiche dell’arte maieutica, favoriva la messa in discussione da parte di ognuno delle proprie convinzioni e un ripensamento a partire da una prospettiva “altra”.
I risultati degli incontri dell’Ircocervo si coniugavano con i concetti sviluppati in precedenza da Gentile attraverso lo studio critico delle fondamentali tematiche della filosofia del diritto. Sì che i lavori di ricerca che si andavano susseguendo nelle collane “L’Ircocervo” e “La Crisalide”, dirette da Gentile per i tipi delle Edizioni Scientifiche Italiane, si prefiggevano il compito di affrontare il pensiero e l’opera dei maggiori giuristi e filosofi, ma anche di importanti concezioni giuridiche e politiche, del Novecento, al fine di rivelare la forza propulsiva della filosofia del diritto e la sua capacità di offrire un contributo decisivo al modo attuale di intendere il “politico” e il “giuridico”.
Tutti gli allievi hanno preso avvio da questo genere di ricerca e tutti si ritrovano, almeno con un libro, all’interno di queste collane. E a tutti il professore Gentile ha offerto il suo aiuto, dando i giusti suggerimenti, discutendo le tesi sostenute e apportando le correzioni dovute: sempre con profondo rispetto per chi era giovane, sempre con un sorriso benevolo ed una parola di incitamento.
Io ho ricevuto insegnamenti che ancora mi accompagnano. Non solamente sul piano strettamente scientifico. Infatti, abitualmente traccio la scaletta delle lezioni o gli interventi ai convegni e agli incontri di studio e sintetizzo gli appunti sui libri e i saggi letti su fogli a righe da inserire in quaderni ad anelli secondo le modalità e lo schema consigliatimi dal professore Gentile quasi trenta anni fa e trascritti di suo pugno su un foglio di carta azzurrina, che campeggia sempre su ogni mio nuovo quaderno. Tutto ciò è diventato ormai prassi consolidata; e non vi è alcun bisogno di riguardare quelle indicazioni; ma, ogni volta che mi accingo ad iniziare un altro lavoro mi riappare la scena di un professore, di un’altra epoca e di un altro tipo di università, che, in una fredda serata invernale, chino sulla scrivania, è intento a spiegare al suo allievo come leggere, come raccogliere le idee, come fare le citazioni, come impostare un saggio, per avviarlo alla vita della ricerca. E la malinconia affiora, per quello che poteva essere e non è stato, per quello che è mancato, ma soprattutto per quello che è stato rinviato ed è definitivamente sfuggito.
Restano comunque due rimpianti. Innanzitutto di non aver inviato al professore Gentile l’ultimo libro, perché potesse leggere il mio ringraziamento per tutti gli insegnamenti ricevuti. Speravo di incontrarlo. Il destino ha deciso diversamente. E poi il fatto di non avere potuto ascoltare le sue riflessioni ed i suoi pensieri nei momenti della sua strenua e coraggiosa lotta per la vita. Trovatomi nella stessa situazione avrei sicuramente potuto affrontare meglio la mia lotta per la vita.
Ora rimane soltanto un soffio con il quale voltare queste pagine. Ma è un soffio d’amore.