DALLA CRISI DELLO STATO AI NUOVI PARADIGMI: “GLOBAL GOVERNANCE”, “ARENA PUBBLICA” O “RETE”?
Recensione a Sabino Cassese, La crisi dello Stato, Laterza, 2002
di Paolo Silvestri

In ogni modo, il risultato di queste due crisi (dell’unità dello stato e della sua sovranità economica) è, ancora una volta, la costituzione di ordini ultranazionali, costituiti in rete piuttosto che in gerarchie, e che finiscono con l’imbrigliare lo stato. Da queste conclusioni, sembra sorgere spontaneamente la domanda posta nel titolo del quarto saggio, "L’erosione dello stato: una vicenda irreversibile?". Per rispondere a tale quesito, l’Autore ripercorre l’arretramento della sovranità sotto forma di "perdita di terreno" da parte dello stato nel controllo della forza, nel dominio della tecnologia e dell’economia, e torna sul corrispondente fenomeno, eguale e contrario, dello sviluppo dei poteri pubblici ultrastatali (internazionali e sovranazionali). Tra le caratteristiche di questo "mondo ultrastatale" (su alcune delle quali torneremo in seguito) evidenzia "l’aumento del numero di produttori di diritto" e la diffusione di ""soft law", nel senso che esso è spesso negoziato e nel senso che non si impone con formule rigide"; inoltre, questi poteri pubblici ultrastatali, sebbene siano creati dagli stati, finiscono con imbrigliarli nella loro rete (l’Autore ribadisce ancora una volta questa tendenza evidenziata con ricorrenza nel libro, quasi che l’adozione della metafora della rete sia un dato acquisito, tuttavia, come vedremo, opterà per la metafora dell’arena). Nonostante questo, l’erosione dello stato non appare una vicenda irreversibile. Infatti, sembranoripetersi esperienze del passato quali quella dello "ius commune", quando cioè ""ius commune" e "iuria propria" vivevano l’uno accanto agli altri, e quella della "indirect rule" del colonialismo inglese, specialmente del XIX secolo, in cui convivevano diritto costituzionale inglese e diritto amministrativo e civile locali. Oppure quella degli stati compositi ("Res publica composita", secondo l’espressione di Pufendorf), come il "Kaisertum Oesterreich" o l’impero ottomano, costituiti da stati multinazionali con più componenti […] e pochi organi e funzioni comuni, ordinati in strutture a più livelli, con equilibri precari e continuamente negoziati". Ma è nel sesto saggio che l’Autore si soffermerà più ampiamente sull’idea de "L’Unione europea come organizzazione pubblica composita". Dunque, uno dei dati ricorrenti di questa situazione sembra essere quello della negoziabilità del diritto. Per gli stati si tratterebbe, allora, di "riposizionarsi" o di "ritrovare la propria identità" visto che, come Cassese evidenzierà nel quinto saggio, "Gli stati nella rete internazionale dei poteri pubblici", "tutti e tre i principi su cui si reggono gli stati moderni sono così messi in discussione. Il primo, quello per cui la sfera della pubblicità dipende dallo stato, perché essa è ormai anche legata all’intervento di organismi ultrastatali. Il secondo, quello dello stato come centro, perché al centro, ormai, sta l’Unione. Il terzo, quello dello stato come unità, perché singole sue parti (alcune branche dell’esecutivo e il giudiziario) operano anche in funzione di interessi ultrastatali". A questo punto si può tentare una lettura congiunta degli ultimi tre saggi, dal momento che essi sembrano condurre a "L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo stato", come recita il titolo del VII ed ultimo saggio. Infatti, il tratto finale del filo rosso si snoda, di volta in volta, mostrando, da un lato, l’inadeguatezza dei modelli tradizionali e, dall’altro, l’emersione di nuovi.Innanzitutto vengono in rilievo le qualità specifiche del nuovo assetto dei poteri pubblici contrapposte a quelle che informavano i vecchi paradigmi. In primo luogo, si passa dalla concentrazione dei diritti negli stati (cui si accompagna la loro esclusività) alla dispersione dei diritti su altre entità che "comporta, da un lato, minori poteri per lo stato; dall’altro, per i cittadini, il moltiplicarsi di referenti ultrastatali, presso i quali far valere i propri diritti". In secondo luogo, l’ordinamento si struttura "su più livelli e a rete. In altre parole, alla moltiplicazione dei poteri pubblici non ha fatto riscontro una loro gerarchizzazione, per cui ruoli, compiti e posizioni sono solo parzialmente definiti; non vi sono chiare linee di confine per aree o materie, ma interdipendenza strutturale e funzionale; le procedure non sono sequenze articolate lungo chiare linee di autorità, ma azioni svolte a supporto reciproco". In terzo luogo, a ciò si accompagna una fluidità e una incompiutezza del nuovo assetto per cui prevale l’"indirect rule". Tuttavia – nella relazione di apertura al II Congreso Internacional de la Asociacion de Derecho Publico del Mercosur, tenutosi nel 1999, e riportata appunto nel VI saggio – il Cassese scriveva che "una soddisfacente formula di sintesi per indicare il nuovo regime internazionale" caratterizzato da "fenomeni di aggregazione autoregolativa, pur in assenza di una autorità centrale dotata di supremazia, non è stata ancora sviluppata. È stata affacciata quella, che dà il titolo ad un libro, di "governance without government". Ma questa tradisce in parte la realtà che vuole cogliere e sintetizzare, sia perché nella realtà sono presenti poteri pubblici ancor più numerosi che in passato sia perché la formula sottintende la ricerca di un centro mondiale di governo che non esiste e non può esistere in un ordinamento a rete". A tal proposito si vogliono aprire due brevi parentesi. In primo luogo, bisogna sottolineare lo sgomento della dottrina di fronte all’impossibilità di comprendere quei "fenomeni di aggregazione autoregolativa, pur in assenza di una autorità centrale dotata di supremazia". Ciò lascerebbe pensare ad un’incapacità di questa di uscire fuori da quel paradigma per cui, da Hobbes in poi, consapevolmente o inconsapevolmente, senza "una autorità centrale dotata di supremazia" non rimarrebbe che uno stato naturale di caos e anomia. Di qui l’incapacità di intendere "fenomeni di aggregazione autoregolativa". In secondo luogo, occorre accennare ad una certa indecisione terminologica e concettuale, sulla quale torneremo fra poco ed in conclusione. Come si è visto sin dal titolo del primo saggio (il più recente), Cassese dichiara di accettare e usare la parola "governance" ma qui è ragionevole ritenere, sulla base delle sue parole, che ciò che egli critica non è tanto l’espressione intera "governance without government" (altrimenti non avrebbe utilizzato la parola "governance"), quanto la sua parte "without government". E la critica viene fatta contrapponendo ad essa la più confacente metafora della rete, che bene esprime sia la presenza di una pluralità (numerica) di pubblici poteri sia l’assenza di centro. Tuttavia, se si è d’accordo sull’invito, con cui si chiude il VI saggio, a non utilizzare vecchi modelli che non possono comprendere la nuova realtà, il Cassese, da un lato, scrive che "al centro sta l’Unione", dall’altro, preferirà la metafora dell’arena pubblica al posto della rete, nonostante il frequente uso di quest’ultima.
Arrivati a questo punto, l’Autore, tirando i fili del discorso, ripercorre le crisi dei paradigmi tradizionali. Tra questi, particolare attenzione viene posta a quello fondato sul binomio tradizionale stato-cittadino, tant’è vero che l’ultimo saggio si conclude decretando la fine del bipolarismo. Tale paradigma esprimeva l’idea che pubblico e privato, autorità e libertà, non sono solo contrapposti ma retti da regole diverse: per il pubblico "il diritto svolge una funzione positiva di direzione e comando"; mentre per il privato, "il diritto pone solo un confine esterno. Al primo tutto è vietato salvo ciò che èespressamente consentito; al secondo tutto è consentito, salvo ciò che è espressamente vietato". A ciò si aggiunga l’altro paradigma di stampo weberiano, a questo connesso, sebbene più recente, fondato sulla distinzione tra il "potere legale-razionale burocratico" e l’"agire economico-razionale". Ma ecco che l’Autore si propone "di illustrare la presenza di un diverso paradigma. Questo è il frutto in parte di un diverso assetto normativo, in parte della prassi e dell’azione giudiziaria. Per cui l’analisi che segue si svolgerà, a seconda dei casi, su piani diversi, quello delle leggi, quello della giurisprudenza e quello della pratica attuazione delle leggi". A tal proposito va ricordato che il Cassese prende in esame: a) I contratti di scambio dell’alta velocità; b) Le misure comunitarie correttive per le telecomunicazioni; c) La ricerca di un diritto nazionale più favorevole. "Al nuovo paradigma (o forse, meglio, ai nuovi paradigmi) si è assegnata una denominazione provvisoria [mutuata dalla scienza politica anglosassone], quella di "Arena pubblica"". Questa, "indicando uno spazio, non pregiudica le posizioni dei soggetti che vi operano (lo stato in alto, i cittadini in basso, secondo il paradigma tradizionale), non stabilisce una volta per tutte le relazioni che vi si stabiliscono (di opposizione secondo il paradigma tradizionale), non vincola l’agire dei soggetti a un tipo (come quello della discrezionalità, valevole per la pubblica amministrazione, e quello della libertà, applicabile al privato, secondo il paradigma tradizionale).
Consente, al contrario, interscambiabilità dei ruoli, modificazione dei rapporti, commercio delle regole e dei principi ordinatori". I casi presi in esame mettono in evidenza "un nuovo assetto giuridico nel quale, da un lato, al tradizionale binomio stato-cittadino si affianca o si sovrappone un complesso di rapporti più ricco di soggetti e meno fondato sulla contrapposizione; dall’altro, il vecchio modello legale-razionale dei poteri pubblici è sostituito da un modo di agire pubblico simile a quello privato. Se tradizionalmente stato e mercato, come modelli di azione, sono contrapposti, si riscontra qui, invece, un’assimilazione da parte del primo di moduli propri del secondo". Certamente emblematico della prima situazione è il ruolo della Commissione che, stabilendo "relazioni dirette con le comunità statali […] mentre si vale delle asimmetrie nazionali per attuare il diritto comunitario", "arriva fino alle comunità statali, valendosene in funzione antistatale, proprio in virtù della coincidenza tra interessi privati [della Omnitel nel caso specifico] e interessi pubblici comunitari". Inoltre, "la Commissione riesce così a dare unità all’ordinamento giuridico sovranazionale che sarebbe, altrimenti, continuamente disaggregato dagli stati nazionali e dalle loro diversità". A ciò si aggiunga che, come Cassese osserva nell’ultimo caso, la ricerca di un diritto nazionale più favorevole o "meno severo" o, meglio, la possibilità di sceltadell’ordinamento giuridico più favorevole, mette gli ordinamenti giuridici in competizione tra di loro; ciò "conferma quanto più volte osservato sul fondamento liberistico della comunità". Se è evidente che la scelta dei casi serve, come vuole l’Autore, a mostrare le tendenze in atto per cogliere i nuovi paradigmi, è proprio tale metodo (con riferimento alle constatazioni empiriche e alla costruzione per via induttiva dei modelli) a sollevare qualche perplessità che, prima di procedere oltre, occorre evidenziare. Innanzitutto, se si verificano casi di "coincidenza tra interessi privati e interessi pubblici comunitari", non è lecito supporre che, parafrasando Hume, domani vedremo sorgere il sole (Ricerche sull’intelletto umano, VI, I). In secondo luogo, e in connessione a quanto appena detto, se è vero che gli stati si sono presentati come fattore di disarmonia dell’Unione, non si capisce come la Commissione riesca "a dare unità all’ordinamento giuridico sovranazionale" proprio grazie ai forti poteri privati la cui "diversità" non è detto che sia inferiore a quella degli stati. Anzi, come la stessa esperienza dimostra, sono proprio le pressioni di interessi privati che si servono degli stati a rendere il comportamento di questi "disarmonizzante". Il caso EdF (Electricité de France) docet. Questo dovrebbe anche far nascere il sospetto che la "coincidenza tra interessi privati e interessi pubblici comunitari" sia solo una "coincidenza", cioè, frutto di un calcolo utilitario e contingente dei primi sui secondi e/o sulle istituzioni o ordinamenti giuridici più convenienti. E, visto che ciò è sempre possibile, l’iniziale affermazione che gli ordinamenti pubblici globali "non sono strumento della globalizzazione, ma mezzo per tenerla sotto controllo" richiederebbe almeno un chiarimento. Ma, come si vedrà in seguito, il Cassese ha in mente la metafora smithiana della mano invisibile. In terzo luogo, lo stesso Autore, in opere precedenti (si veda ad es. La costituzione economica), aveva criticato l’incoerenza del professato liberismo degli stati, vista la nota e contemporanea sussistenza di politiche protezionistiche. Non si vede come mai la stessa critica non possa essere rivolta al "fondamento liberistico della comunità". Per l’Autore si tratta ora di mostrare quali sono i nuovi paradigmi dello stato che vengono meglio chiarificati attraverso una comparazione con quelli vecchi. Sebbene non a tutti sia stato dato un nome, il Cassese in qualche modo ne ha sintetizzato il contenuto e la dinamica nei titoli dei paragrafi che, ai fini di una loro disamina, verranno qui ripresi. 1) L’ordinamento giuridico da un dato a una scelta: la concorrenza tra istituzioni "Si registra il passaggio da una struttura ordinata dall’alto a un congegno autoordinantesi". È quello che può essere chiamato il paradigma "della "mercatizzazione" delle istituzioni" che, come dimostra il caso della ricerca di un diritto nazionale più favorevole, altrove chiamato di "Law Shopping", "smentisce il paradigma tradizionale per il quale le istituzioni si impongono ai privati costituendo unprerequisito, al quale questi ultimi debbono necessariamente adattarsi", cioè, smentisce due paradigmi tradizionali: quello della esclusività e quello della superiorità dell’ordinamento giuridico. In verità, anche se non detto, entrambi possono ritenersi di diretta derivazione dal principio di sovranità.

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