DALLA CRISI DELLO STATO AI NUOVI PARADIGMI: “GLOBAL GOVERNANCE”, “ARENA PUBBLICA” O “RETE”?
Recensione a Sabino Cassese, La crisi dello Stato, Laterza, 2002
di Paolo Silvestri
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Dalla crisi dello stato nazionale sovrano all’emersione di nuovi paradigmi: questo il filo rosso rintracciabile nella raccolta di saggi di Sabino Cassese dal titolo La crisi dello Stato. Scopo precipuo del libro sembrerebbe quello di mettere in evidenza come le trasformazioni in corso modifichino i modelli tradizionali dell’ordinamento giuridico statale e come sia ormai impellente lanecessità di inquadrare gli eventi alla luce di nuove categorie. I saggi sono stati scritti tra il 1996 e il 2001; tuttavia, dalla loro sistemazione logica e non cronologica si evince una certa rilevanza attribuibile al primo (inedito) e all’ultimo (il più recente dopo l’inedito) che si presentano non solo sotto veste di introduzione e conclusione del libro, ma anche come premessa e conclusione di una riflessione su un vasto tema che l’Autore fa da alcuni anni. Così, se nell’economia della presente recensione si tenterà di ricostruire descrittivamente, e nella maniera più chiara e ordinata possibile, tale filo rosso, ci si soffermerà soprattutto su questi due saggi per alcune riflessioni critiche.
L’Autore, dopo aver passato in rassegna i vari concetti di "crisi dello stato", chiarificati di volta in volta alla luce delle cause che la determinano, dichiara di volersi soffermare su quella crisi che coinvolge "la perdita di unità del maggiore potere pubblico al suo interno e la sua perdita di sovranità verso l’esterno". Tale crisi, come dirà in seguito, ha come risultato la formazione di ordini ultranazionali costituiti in rete piuttosto che in gerarchie. Nella disamina di questa crisi, occorre riconoscere all’Autore la particolare attenzione, presente in tutto il libro, rivolta al law in action e all’interrelazione di questo con il law in the books. Infatti, nel primo saggio, "Crisi dello stato e "global governance"", la scelta dei casi non poteva essere migliore. Questi si presentano come case studies emblematici. Il primo, il caso Amadeus, ovvero un caso di divisione internazionale del lavoro amministrativo attraverso la collaborazione tra autorità antitrust di stati diversi; il secondo, il caso General Electric-Honeywell, ovvero un caso di concorrenza tra i regolatori del mercato, la cuirilevanza sta nella produzione di effetti ultraterritoriali delle decisioni di autorità antitrust nazionali; il terzo, il protocollo di Kyoto, un caso d’interessi globali e di mercato dei diritti, emblematico della formazione di forme di governo mondiale di settore. In sintesi, essi si presentano come casi "particolari" di una tendenza più generale: la formazione di ordinamenti ultrastatali che s’impongono agli stati, anche se questi hanno contribuito a costituirli. Ora, tali ordinamenti ultrastatali, chiamati anche ordinamenti pubblici globali o di "global governance", "non sono strumento della globalizzazione, ma mezzo per tenerla sotto controllo". E, l’Autore dopo aver specificato cosa intende per globalizzazione – utilizzando la definizione di L. Gallino, in Globalizzazione e disuguaglianze: "negli ultimi decenni del ‘900 lo spazio del mercato sembra aver raggiunto i confini demografici e territoriali del mondo (onde il sinonimo, preferito dagli studiosi francesi, di mondializzazione)" – chiarisce che la ragione per cui si parla di "global governance", e non di "global government", è che manca una supremazia e un sovrano, e soprattutto, "tratti funzionali, regole, procedure, comportamenti, prevalgono su organizzazioni e strutture", cioè, "queste vi sono, ma il loro ruolo non è prevalente, come negli stati apparati, né il loro assetto è gerarchico, bensì reticolare". Tali ordinamenti pubblici globali presentano ulteriori tratti distintivi: hanno "carattere composito" (ved. infra IV e VI saggio), "mirano a governare valori economici e materiali" e in essi "gioca un ruolo dominante l’amministrazione, piuttosto che la politica. Per questo motivo per essa non si pongono problemi propri dei corpi politici degli stati, come quelli di cittadinanza, di rappresentanza, di democrazia, bensì quelli di "rule of law", "expertise", "accountability", "speed", "fairness", "due process of law", trasparenza […] Diverso il caso di quella parte della "global governance" che inizia a coinvolgere problemi politici". Conclude ricordando che in questo caso, come in altri, "è difficile che si ripeta l’esperienza degli stati nazionali, con le sue due componenti essenziali, quella rousseauiana (la democrazia politica) e quella montesquieuiana (la divisione dei poteri e le garanzie). Mentre si può essere sicuri che la via del potere politico globale non sia la stessa di quella degli stati nazionali, è difficile dire, allo stato magmatico attuale, quale essa potrà essere. Questo sarà uno dei più affascinanti problemi dei prossimi anni".
Nel secondo saggio, "Poteri indipendenti, stati, relazioni ultrastatali", il Cassese affronta, da un lato, la crisi dell’unità dello stato (che, di volta in volta, prende le forme di frammentazione dei poteri pubblici, policentrismo e nascita di poteri indipendenti che sfidano i principi più consolidati dell’ordinamento); dall’altro, la crisi della sovranità economica. Se con l’acquisizione della sovranità economica da parte degli stati i confinidell’economia erano divenuti i confini dello stato, con la globalizzazione dei mercati, generandosi un’asimmetria tra economia e stato, è proprio quella sovranità ad essere messa in crisi. Tale fenomeno è stato spiegato sinteticamente con il felice titolo di un’opera collettanea precedente: "nazioni senza ricchezza, ricchezza senza nazioni". Le risposte a questo squilibrio vanno dalle varie forme di cooperazione tra poteri pubblici alle discipline bilaterali, multilaterali e sovranazionali. Tuttavia, è nel terzo saggio, "La fine della sovranità economica dello stato", che vengono mostrati gli effetti strutturali, politici e giuridici, della globalizzazione economica sullo stato. La fine della sua sovranità economica viene efficacemente riassunta in tre passaggi fondamentali, sintetizzati nei titoli dei paragrafi in cui si scompone il saggio: dalla sovranità statale sull’economia alla sovranità dell’economia sullo stato; dallo stato pedagogo allo stato regolatore; dall’unità alla frammentazione del controllo dell’economia. In quest’ultimo caso, si ritiene sintomatico il richiamo alla metafora dello stato orologiaio: "allo stato organizzatore del progresso economico si affianca lo stato orologiaio: questo controlla che i diversi organismi scandiscano il tempo, operando secondo rotismi predeterminati". Tale metafora sembrerebbe rinviare ad una visione meccanicistica del mercato diffusa nella metà del ‘700. Ciò potrebbe spiegare la ricorrenza nel testo dell’idea di armonia spontanea degli interessi.