CENNI STORICI SULLA COLPEVOLEZZA «FONDANTE» E SULLA COLPEVOLEZZA «GRADUANTE»*
di Mauro Ronco
Università degli Studi di Padova
6. Una conferma in Francesco Carrara.
Ben nota è la posizione del Maestro toscano in ordine alla struttura del dolo, che egli fonda sulla volontà criminosa. Ovvio che a formare il dolo debba concorrere la coscienza, perché la volontà senza la coscienza non può dirsi dolosa. La parte “sostantiva” [59] del dolo sta però nella “parte dalla quale ebbe impulso l’azione… e siccome cotale impulso muove dalla volontà, mentre la coscienza…non potrà in eterno mai essere causa di movimenti; così la parte sostantiva della definizione del dolo deve fornirsi dall’elemento della volontà e non da quello dell’intelletto” . [60] Da qui la definizione di dolo come “l’intenzione più o meno perfetta di fare un atto che si conosce contrario alla legge” . [61] Ora, partendo dall’accento posto sulla volontà come parte «sostantiva» del dolo, Carrara distingue quattro gradazioni di tale elemento soggettivo, in funzione delle “cause che spinsero l’uomo all’azione malvagia” . [62] I criteri adottati per la quadripartizione sono due: il primo è da rintracciarsi nelle condizioni anteriori al suo sorgere, cioè alla sua genesi, con relazione al fatto che ha influito intrinsecamente sulla determinazione dolosa; il secondo nella situazione che si determina nell’animo del soggetto successivamente al sorgere della determinazione dolosa, sostanzialmente nella perseveranza e durata in interiore animi del malvagio proposito. Da qui la focalizzazione dei quattro gradi del dolo:
“Primo grado – Spontaneità e perseveranza in stato positivo – “Perseveranza del malvagio proposito, e assenza di violenta “passione. Ecco il delitto freddamente premeditato.
“Secondo grado – Spontaneità minorata: perseveranza in stato “positivo – Si ha la continuazione del malvagio proposito per “non breve intervallo; ma sotto il predominio di veemente “passione. Ecco quella che la pratica denominò semplice “deliberazione.
“Terzo grado – Spontaneità in stato positivo: Perseveranza in “stato negativo – Animo scevro dall’ebbrezza di cieca “passione; ma deficienza di intervallo fra la terminazione e “l’azione. Ecco, il delitto che dicesi volontario semplice; o “d’improvvisa risoluzione. Un affetto bisogna bene supporlo “sempre anche in questo grado di dolo, ma non un affetto che “tolga la riflessione ed il calcolo.
“Quarto grado – Spontaneità minorata: Perseveranza in stato “negativo – Non fu tra la determinazione e l’azione intervallo “di tempo: e fuvvi impulso di cieca passione. Ecco il delitto “che dicesi commesso sotto l’impeto degli affetti. Potrà spesso “questo quarto grado di dolo equipararsi al terzo nel suo “rapporto con la politica imputabilità, per l’evidente ingiustizia “della causa che concitò la passione, ma nelle sue condizioni “psicologiche ne sarà sempre distinto: perché o giustamente, o “ingiustamente eccitata, la passione precipitò sempre la “violazione” .
[63] Interessa in questa sede verificare il substrato ontologico, secondo Carrara, delle condizioni di questi quattro gradi di dolo, che portano a un diverso livello di imputazione morale. Il dolo è più grave, in funzione del profilo tanto della spontaneità quanto della perseveranza, perché “una volontà è tanto maggiormente malvagia e corrotta, quanto più a lungo e tenacemente si pasce di rei disegni: un animo si mostra tanto più depravato e perverso, quanto meno fu trascinato al reo proponimento da moti passionali, che agitato lo spingessero fuori dal retto sentiero. Per colui che delinque nell’accesso di cieca passione, il delitto è l’eccezione: per l’altro è l’abito” . [64] Dunque, le circostanze che eccitano “il delirio di un affetto veementissimo” sono ragione ontologica di una minorata imputabilità e, dunque, di una minore “imputazione politica del dolo” .[65] Questo l’insegnamento della classica dottrina italiana, che mai ha abbandonato il principio della colpevolezza, vuoi in chiave «fondante», vuoi anche in chiave «graduante» la imputazione giuridica, in funzione dell’ontologica diversa appartenenza dell’azione al soggetto.
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*Dedico questo scritto a Francesco Gentile, nel primo anniversario della sua morte, in devoto segno di affetto per Colui che ha risvegliato in me l’amore per la filosofia del diritto.
1 P.J. A. FEUERBACH, Revision der Grundsätze und Grundbegriffe des positiven peinlichen Rechts, I. Teil, Erfurt, 1799; II. Teil Chemnitz, 1800.
2 I KANT, Critica della ragion pura, 1787, tr. it. di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Bari, 2007, P. II, II, L. II, Cap. II, Sez. IX, 338-365, in particolare 349, ove la questione della libertà è posta nei seguenti termini: “…se la libertà sia comunque soltanto possibile, e se, ove sia possibile, essa possa stare insieme con l’universalità della legge naturale di causalità; quindi, se sia una proposizione esattamente disgiuntiva, che ogni effetto nel mondo deve provenire o da natura o da libertà, ovvero se non possa piuttosto, in un medesimo avvenimento, aver luogo insieme l’una e l’altra cosa sotto rispetti diversi…Se, infatti, i fenomeni sono cose in sé, non c’è più scampo per la libertà. Allora la natura è la causa completa e in sé sufficientemente determinante di ogni avvenimento, e la condizione di questo è contenuta sempre solo nella serie dei fenomeni, che, al pari dei loro effetti, sono necessariamente subordinati alla legge naturale. Se, invece, i fenomeni non son presi per nulla più di quello che sono in fatto, cioè non per cose in sé, ma semplici rappresentazioni, legate fra loro secondo leggi empiriche, allora devono essi stessi avere delle cause che non siano fenomeni. Ma una tale causa intelligibile, rispetto alla sua causalità, non è determinata da fenomeni, benché i suoi effetti siano fenomeni e perciò possano essere determinati da altri fenomeni. Essa, dunque, con la sua causalità, è fuori della serie; al contrario i suoi effetti rientrano nella serie delle condizioni empiriche. L’effetto pertanto può, rispetto alla sua causa intelligibile, essere considerato come libero, e nondimeno insieme, rispetto ai fenomeni, come una conseguenza di essi secondo la necessità della natura; distinzione che, se si propone in generale e in modo del tutto astratto, deve sembrare straordinariamente sottile ed oscura, ma si chiarirà nell’applicazione”.
3 FEUERBACH, Revision, cit., Einleitung, XXI: “la libertà, ovvero, secondo altri, la volontarietà, deve essere condizione dell’intera punibilità esterna. Ma la libertà è invero esclusivamente un concetto morale, che soltanto in un modo e in un senso assai diverso ha contenuto e significato”.
4 Ibidem, I, 33.
5 Ibidem, I, 43: “lo scopo dello Stato consiste in ciò, che colui il quale ha tendenze antisociali (antigiuridiche), sia impedito psicologicamente a determinarsi effettivamente secondo la spinta di queste tendenze”.
6 Ibidem, I, 44: “resta allo Stato nessun altro strumento che operare attraverso la sensibilità sulla sensibilità e contrastare l’impulso attraverso un altro impulso, la molla sensibile del fatto attraverso un’altra molla sensibile”.
7 Ibidem, I, 46: la convinzione che all’azione antigiuridica seguirà la pena “opera come motivo contrario a ogni desiderio antigiuridico, lo supera, lo distrugge e rende impossibile che l’impulso antigiuridico determini il soggetto ad agire realmente”.
8 Ibidem, I, 49-56.
9 Ibidem, I, 49.
10 Ibidem, I, 152.
11 Ibidem, II, 275.
12 Ibidem, II, 284.
13 Ibidem, II, 289.
14 Ibidem, II, 290.
15 Ibidem, II, 304.
16 Ibidem, II, 306.
17 Ibidem, II, 324.
18 Ibidem, II, 334.
19 L’Autore, nato a Bormio, prese parte al movimento illuminista per la riforma del diritto penale. Tra le sue opere principali, di tipo strettamente penalistico, cfr. Del furto e sua pena, 1776, nonché, di filosofia del diritto, Saggio critico storico e filosofico sul diritto di natura e delle genti e sulle successive leggi, istituti e governi civili e politici, in due tomi, opera postuma apparsa a Milano nel 1822. Svolgo le mie considerazioni riferendomi all’opera fondamentale di DE SIMONI, Dei delitti considerati nel solo affetto ed attentati, con Prelegomeni illustrativi della medesima opera di F. Turotti, Milano, quinta edizione, 1851.
20 Dei Delitti, cit., 212.
21 Ibidem.
22 Ibidem, 203.
23 Ibidem.
24 Ibidem, 214.
25 Ibidem.
26 Ibidem.
27 Ibidem.
28 Ibidem, 215.
29 M.T. CICERONE, De Oratore, lib. 1, cap. 44, in ID., Opere retoriche, a cura di G. Norcio, v. I, Utet, Torino, 1976, 188-189.
30 Novella Leonis 105, citata in DE SIMONI, op. cit., 215.
31 DE SIMONI, op. cit., 215.
32 Ibidem, 216.
33 Ibidem, 216.
34 Ibidem.
35 Ibidem, 219.
36 Ibidem.
37 Ibidem.
38 Ibidem.
39 Ibidem, 220.
40 Ibidem, 221.
41 Ibidem.
42 Così DE SIMONI, op. cit., che cita una massima di Antonio Genovesi (1713-1769), dalla Metafisica, tom. 4, lib. 1, cap. 15, § 13.
43 Ibidem, 222.
44 Ibidem.
45 Ibidem.
46 Ibidem, 263.
47 Ibidem.
48 Ibidem, 262.
49 DECIANI, Tractatus criminalis D. Tiberii Deciani utinensis Duobusque Tomis distinctus, Venetiis, Apud Franciscum de Franciscis Senensem, 1590, I. 6.16.
50 Ibidem, I. 4.9.
51 DE SIMONI, op. cit., 263.
52 Ibidem.
53 Ibidem, 264.
54 Ibidem, 265.
55 Ibidem.
56 S. TOMMASO L. 2, quaest. 78, a. 1: la malizia piena è una “pravitas quaedam mentis studiose et de industria, praeponens malum bono”.
57 DE SIMONI, op. cit., 268.
58 Ibidem, 269.
59 Uso come testo di riferimento, tra i tanti possibili, CARRARA, Dolo (Sunto di una lezione), in Opuscoli di Diritto Criminale, v. I, Sesta edizione, Firenze, 1909, 309-334. La parola citata è a p. 312.
60 Ibidem, 312-313. Mi permetto di esprimere il mio parziale dissenso con il pensiero del grande Maestro, che non distingue adeguatamente tra coscienza e intelletto e che sottovaluta il ruolo dell’intelletto nella struttura del dolo.
61 Ibidem.
62 Ibidem.
63 Ibidem, 318-319.
64 Ibidem, 320.
65 Ibidem.