IL “PROBLEMA MULTICULTURALE”
TRA SOCIOLOGIA, FILOSOFIA E DIRITTO:
UN APPROCCIO COGNITIVO
di Giovanni Bombelli*
Università Cattolica “S. Cuore” – Milano

Provo a rispondere a questi interrogativi soffermandomi sinteticamente su tre aspetti, tutti in qualche modo concatenati in quanto strutturano il paradigma politico-istituzionale moderno: “diritto soggettivo”, “Stato” e “democrazia”.
[37] Il concetto di “diritto soggettivo” rappresenta uno degli esiti principali, se non il più rilevante, del pensiero filosofico-giuridico moderno. Nato a tutela della sfera individuale, esso ha ormai da tempo travalicato gli stretti confini del dibattito politico-giuridico, entrando a far parte dell’ethos comune e integrando, soprattutto nella declinazione di “diritti umani”, un patrimonio sentito come universale ed irrinunciabile (sia nei contesti occidentali, sia nelle altre zone del mondo da questi influenzate). Tuttavia, i nuovi scenari connessi alla “questione multiculturale” potrebbero costituire l’occasione per un suo ripensamento.
Senza stravolgerne la natura giuridica, si potrebbe forse passare, cioè, dalla tradizionale concezione tuzioristica del diritto soggettivo, che vede in quest’ultimo essenzialmente uno strumento di tutela della sfera individuale, ad una prospettiva più marcatamente “identitaria”, in cui cioè esso costituisce il momento di emersione e articolazione dell’identità personale (un profilo, a ben vedere, presente fin dalle origini della catalogazione moderna dei “diritti soggettivi” ). [38] Ciò non significa, beninteso, aprire a un “diritto delle collettività”, come già osservato difficilmente configurabile, né, ancor meno, contemplare una “quarta età” dei diritti. [39] Si tratta, certamente, di un’impostazione tutta da discutere, riguardo alla quale, però, non mancano precisi segnali, sia a livello di cronaca spicciola, [40] sia a livello di dibattito teorico, come, ad esempio, quello sviluppatosi a proposito del diritto di “cittadinanza”. Dalla denuncia dei suoi limiti come strumento di integrazione, in ragione del carattere meramente formale che connoterebbe tale diritto, si è approdati alla proposta, altrettanto problematica, di una “cittadinanza multiculturale”, secondo alcuni in grado di meglio interpretare le specificità individuali. [41]
Ma i nuovi scenari sollecitano la riflessione anche intorno alla figura dello “Stato” che, in ambito moderno, rappresenta in qualche modo il contesto storicamente “naturale” entro il quale trovano la loro articolazione i diritti soggettivi. Anche qui si tratta, forse, di passare da una concettualizzazione in qualche modo tradizionale dell’impalcatura statuale, che ne ha a lungo privilegiato il profilo formale-istituzionale (o pubblicistico-ordinamentale), ad una prospettiva più spiccatamente comunitario-identitaria (o sostanziale): in una battuta, dallo Stato-apparato allo Stato-comunità.
Parlare di Stato-comunità, va subito precisato, non significa rifluire necessariamente in una visione “eticista”, che, nella storia recente del pensiero filosofico-giuridico, a partire da Hegel arriva (filosoficamente molto indebolita) fino ad alcune tesi del comunitarismo contemporaneo. Ma non significa neppure approdare ad una sorta di neo-organicismo à la Gierke, o, comunque, analogo a quello elaborato in ambito tedesco nella seconda metà dell’Ottocento. La sottolineatura della natura “comunitaria” della compagine statuale intende, invece, evidenziarne la capacità di riflettere realmente (non come pura fictio iuris) l’identità collettiva dei consociati, e cioè, in termini più semplici, di esprimerne le molteplici articolazioni.
[42] Del resto, la nascita dello Stato moderno attesta come quest’ultimo si sia originariamente configurato in termini quasi “multiculturali”, e, cioè, come sintesi politico-istituzionale di identità molteplici stanziate in un territorio spazialmente definito. [43] In questa prospettiva, la stessa “Europa” appare tuttora, almeno in una certa misura, multiculturale, stante la molteplicità di identità “culturali” che da sempre la compongono e che, tuttora, ne animano la dialettica interna (dagli autonomismi spagnoli alla storica contrapposizione ‘valloni-fiamminghi’ fino alle spinte secessioniste che attraversano lo scenario italiano).
Concretamente, a livello giuridico-istituzionale ciò si traduce nella necessità di ripensare alcune dimensioni specifiche del corpo statuale: dalla sfera educativa, centro nevralgico dell’impalcatura statuale moderna (e per la quale passano concretamente le istanze multiculturali ), [44] alla possibile rilettura della classica partizione ‘pubblico-privato’, messa radicalmente in discussione da modelli socio-culturali (come quello islamico) in cui tale binomio mostra di essere assente.

Infine, e in chiave più ampia, le “sfide” del multiculturalismo (lato sensu inteso) richiedono di riesaminare la struttura complessiva dei sistemi democratici (a prescindere dalla loro assimilazione o meno al liberalismo, una questione che qui appare secondaria). Insieme al “diritto soggettivo” e alla figura dello Stato, quest’ultimi rappresentano, infatti, un prodotto peculiare dell’evoluzione giuridico-politica occidentale degli ultimi quattro secoli.
Più precisamente, i sistemi democratici costituiscono uno strumento formale (un insieme di regole) “aperto” alla revisione, talora anche radicale, del proprio funzionamento, come testimonia l’evoluzione degli assetti sociali delineatisi progressivamente a partire dalla metà dell’Ottocento, e che ha visto la transizione dallo Stato di diritto liberale al modello del Welfare State.
I nuovi scenari socio-culturali spingono, però, a chiedersi in che misura tali assetti, di là da operazioni di maquillages istituzionali, saranno in grado di “ripensarsi” sotto l’influsso di visioni culturali ad essi estranee o, comunque, eterogenee. In prospettiva, la necessità di una profonda revisione del modello democratico nasce, quindi, da una “sfida”: essa è rappresentata dal profilarsi di un rapporto del tutto inedito, per l’Occidente, tra “pluralismo”, nell’accezione precedentemente precisata (cioè come “ambiente” socio-politico in cui la democrazia matura e di cui costituisce, al contempo, causa e effetto) e “multiculturalismo” (nelle varie accezioni menzionate).
Tuttavia, come accennato, le proiezioni socio-giuridiche della “questione multiculturale”, di cui si è appena detto, evocano un livello più ampio, squisitamente filosofico-giuridico, nel quale le prime si radicano.
A ben vedere, infatti, il punto decisivo è di natura teoretica, o, meglio, categoriale. Sono in gioco, cioè, “questioni di sostanza e non solo di regole”, [45] o, meglio, in prospettiva è in gioco la capacità di “tenuta” di alcune fondamentali categorialità filosofico-giuridiche occidentali: da quelle di carattere epistemologico, come ad esempio la nozione di “natura”, a nozioni prettamente giuridiche, quali i concetti di “dialogo”, “tolleranza”, “diritti umani”, ecc.
Si pensi, a titolo esemplificativo, alla figura del “dialogo”, molto presente, come inizialmente ricordato, nel dibattito sulla “questione multiculturale”. Da un lato non v’è dubbio che tale figura, frutto essenzialmente dell’intreccio della componente cristiana con quella illuminista, costituisca uno dei portati peculiari della complessa “tradizione” occidentale (da Buber a Calogero, ecc.). D’altro canto, proprio questa matrice “occidentale” solleva il problema della praticabilità della via dialogica come modalità di relazione con modelli socio-culturali strutturalmente alternativi (o sentiti come tali) a quello occidentale, e nei quali la figura del “dialogo” risulta assente. In questo senso, il ricorrente appello al valore della “dialogicità” risulta non solo retoricamente caricato, ma teoreticamente troppo disinvolto: ciò che va discusso, in sostanza, è la reciprocabilità del “dialogo”, cioè la possibilità che il suo valore venga realmente riconosciuto dall’“altro”.
[46] Ed è in questa linea che di seguito si può proporre una lettura alternativa della “questione multiculturale”, imperniata sul concetto di “polidimensionalità cognitiva”. Tale lettura riposa sulla convinzione che la “questione multiculturale”, come si accennava inizialmente, costituisca innanzitutto e essenzialmente (benché non esclusivamente) una questione di carattere cognitivo-categoriale.
È un’impostazione che, in qualche modo, si contrappone all’impianto (neo)illuminista largamente sotteso al dibattito sui temi multiculturali, e che evidenzia come la più volte menzionata “occidentalità” delle categorie normalmente evocate tenda ad ancorare la discussione ad una sorta di uniculturalismo “ben temperato”.

5. Identità e polidimensionalità cognitiva: una controproposta
Il cuore della proposta è costituito dal nesso tra “sfera identitaria” e “profilo cognitivo”. In sostanza, l’idea di fondo è che la valorizzazione delle “identità”, una istanza tipica del multiculturalismo (inteso in senso atecnico), non possa prescindere dal riconoscere che la dimensione identitaria esiti necessariamente in visioni molteplici della realtà.
In altre parole, ciò significa non solo che il profilo cognitivo rappresenta un aspetto strutturale dell’identità, ma che il suo mancato riconoscimento comporta la violazione di quest’ultima: non avrebbe alcun senso, infatti, parlare di “identità” senza che ciò si traducesse nella valorizzazione culturale, e nella tutela giuridica, del modello cognitivo da essa espresso.
In termini più precisi, e andando per gradi, la lettura alternativa appena abbozzata si articola intorno ad alcuni concetti, tra loro sequenziali, sui quali è utile soffermarsi: il concetto di “polidimensionalità cognitiva”, il rapporto di quest’ultima con l’antropologia filosofica, l’aprirsi della “questione del senso” e, infine, alcuni riflessi di carattere più strettamente giuridico-istituzionale.
In primo luogo, con l’espressione “polidimensionalità cognitiva” (o, per usarne una meno felice, “multiculturalismo cognitivo”) si vuole sottolineare la relazione diretta che viene a delinearsi tra modelli socio-culturali e visioni del mondo. Non si tratta di rilevare semplicemente il dato, ovvio e banale, per cui ogni sistema culturale veicola una lettura peculiare della realtà. Occorre, invece, cogliere in tutta la sua rilevanza un elemento del tutto innovativo rispetto allo scenario “tradizionale”, costituito dal progressivo profilarsi di sistemi culturali che articolano, sul piano filosofico-cognitivo, prospettive radicalmente eterogenee rispetto a quella occidentale.

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