L’UOMO «VIRTUALE».
IL PARADIGMA ANTROPOLOGICO
DELLA TEORIA POLITICO-GIURIDICA MODERNA
di Antonio Vernacotola
Università della Calabria

46 La qualificazione dello stato di natura secondo la forma specifica di un’ipotesi, d’altronde, trova il proprio rilevante supporto teoretico nell’attribuzione ai dati provenienti dall’esperienza di un carattere icasticamente fenomenistico ed ipotetico. Ed invero, tutta la filosofia della natura hobbesiana, nonché il materialismo meccanicistico da essa accreditato, appaiono contrassegnati dalla medesima costituzione fenomenistica. L’analisi svolta da Hobbes, nello sviluppo della sua filosofia dell’uomo, va detto, è condotta sulla base di osservazioni o di induzioni introspettive – le quali, in ogni caso, rientrano sotto la specie dell’esperienza soggettiva – e pertanto risulta, essa stessa, connotata da uno stigma di strutturale ipoteticità. O, per essere ancora più precisi, tale analisi, pur traendo origine da un dato esperienziale, può assurgere alla qualifica di paradigma della scienza civile, solo «trasformandosi» in un’ipotesi scientifica. Cfr. F. GENTILE, ult. op. cit., p. 74. Sugli aspetti filosofici del meccanicismo e del fenomenismo hobbesiani, cfr. S. BONTADINI, Materialismo e fenomenismo in Hobbes, in «Rivista di filosofia neoscolastica», XXXVI, 1944, pp. 1-28; A. PACCHI, Convenzione e ipotesi nella formazione della filosofia naturale di Thomas Hobbes, Firenze, 1965, pp. 216-231; A. G. GARGANI, Hobbes e la scienza, Torino 1971, spec. pp. 173-196; G. ROSSINI, Natura e artificio nel pensiero di Hobbes, Bologna 1988.
47 “Intendo significare, con questa parola – il termine «timore», come possiamo leggere in un’interessante nota del De Cive – una specie di previsione di un male futuro. E credo che sia proprio di chi teme non solo il fuggire l’oggetto che ispira timore, ma anche il diffidare, il sospettare, il guardarsi, il provvedere a eliminare le ragioni del timore stesso. Chi va a dormire, chiude la porta; chi fa un viaggio, si arma; l’uno e l’altro temono i ladri. Gli Stati sogliono difendere i loro confini con presidii, cingere le città di mura, per timore dei popoli vicini; e anche eserciti fortissimi e pronti al combattimento aprono talvolta trattative di pace, temendo ciascuno la forza dell’altro, e per non essere vinti. Per timore avviene che gli uomini si guardino gli uni dagli altri, fuggendo e nascondendosi, pensano di non potersi difendere altrimenti.”, T. HOBBES, ult. op. cit., pp. 82-83.
48 F. GENTILE, ult. op. cit., pp. 101-102.
49 Cfr. F. M. DE SANCTIS, Tra antico e moderno. Individuo, eguaglianza, comunità, Roma 2004.
50 L’uguaglianza che accomuna tutti gli uomini non è un dato emergente dalla loro comune natura, né si presenta come un carattere relativo all’esteriorità formale della loro costituzione, ad una considerazione della natura umana, cioè, per come si manifesta all’esterno. Nella determinazione di una siffatta uguaglianza concorrono, invero, due elementi che abbiamo visto connotare, in guisa di postulati, il paradigma dell’unicità: la definizione dell’uomo come «unico» soggetto del mondo naturale (e dunque l’avversione verso qualunque potenziale concorrente si presenti al cospetto dell’individuo nella sua attività di assoggettamento del mondo, da cui deriva la violenza dello stato di natura) e l’istinto di autoconservazione che determina l’insorgenza, in ciascuno, di quel sentimento di timore che caratterizza, in modo decisivo, le relazioni interindividuali. Da quanto fin qui osservato emerge come il paradigma dell’unicità, evidentemente contrario, già di per sé, alla più elementare esperienza, e pertanto orienta to ad un radicale funzionalismo costruttivistico – come Hobbes stesso riconosce in talune osservazioni esplicative (T. HOBBES, ult. op. cit., I, 2, n. a, pp. 78-79) – venga a generare un principio di uguaglianza che risulta totalmente avulso, non solo da una visione realistico – metafisica, ma anche dalla stessa fenomenologia dell’agire umano; gli uomini non sono uguali perché dotati della medesima natura o di una dignità assiologica di pari grado: la loro eguaglianza è semplicemente presupposta in forza della contemplazione di una «possibilità» data come probabile in conseguenza dell’adozione di un protocollo di base definito per ipotesi. Una simile uguaglianza, per quanto impiantata su un presupposto che può trovare riscontro nella realtà effettiva delle cose, e cioè su un’eventualità concretamente traducibile ad effetto, risulta riferirsi, non ad un carattere costitutivo degli individui cui si predica un tale attributo, né ad un comportamento rilevabile, da un punto di vista fenomenologico, come una pra ssi comune nella gestione dei rapporti intersoggettivi, bensì ad un protocollo di fatto «costruito» in vista di un risultato dimostrativo già pregiudizialmente prefissato, un risultato nel quale, in ultima istanza, sono già implicite le definizioni che di suddetto protocollo rappresentano i principi primi.
51 G. P. CALABRÓ-P. B. HELZEL, op. cit., p. 36.
52 Qui, come in altri passaggi – T. HOBBES, ult. op. cit., pp. 80-81 – per provare una siffatta asserzione, che sta alla base della sua antropologia, Hobbes si affida ad una serie di esempi tratti dall’esperienza comune, ai quali, evidentemente viene commessa la funzione di suffragare persuasivamente l’assunto adottato, evitando, nello stesso tempo, che ad esso venga comunque riconosciuto uno statuto teoretico di veridicità empirica. Lo statuto di tale asserzione non è, difatti, quello tipico di una proposizione inferita per mezzo di un procedimento d’induzione, bensì quello di un paradigma ipotetico posto a fondamento di un processo dimostrativo propriamente scientifico, e quindi, icasticamente virtuale. Un paradigma, pertanto, la cui necessaria arbitrarietà definitoria è imposta, come condicio sine qua non, dalla stessa scientificità di cui la filosofia giuridico – politica di Hobbes appare investita. Cfr. F. GENTILE, Ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, pp. 29-30.
53 T. HOBBES, ult. op. cit., I, 4, pp. 84-85.
54 «Homo homini lupus, homo homini Deus». Un siffatto adagio esprime, con sintesi ed efficacia emblematiche, il nucleo contenutistico del paradigma antropologico hobbesiano. Epperò, non si può affermare che esso abbia a radicarsi in un’autentica attività di induzione, o che proponga una descrizione realistica della natura umana; la ferina famelicità dell’individuo è una mera definizione convenzionale, formulata per dare spiegazione a quella varietà di giudizio considerata come la causa principale della guerra civile. Cfr. F. GENTILE, Filosofia del diritto, cit. pp. 10-21; per approfondimenti, A. FERRARIN, Artificio, desiderio, considerazione di sé. Hobbes e i fondamenti antropologici della politica, Pisa 2001.
55 “Se si riduce la coscienza ad epifenomeno di eventi cerebrali – scrive Roberto De Mattei trattando dell’antropologia modernista – se il nostro pensiero è dipendente dai processi elettrochimici del cervello, non c’è vera conoscenza né vera libertà possibile. Può esistere vera conoscenza e vera libertà, solo se esiste indipendenza causale della mente dalla materia. Privo dell’anima l’uomo è ridotto alla sua corporeità, ma il corpo è in questo caso sottomesso alle leggi ferree di ogni organismo puramente materiale. R. DE MATTEI, L’anima dell’Europa, in L’Europa: radici e confini, Atti del Convegno, 7 giugno 2005, in «Nova historica», a. IV, 14, 2005.
56 “La natura non è circoscritta dalle leggi dell’umana ragione, che ha di mira soltanto la vera utilità e la conservazione degli uomini, ma si estende alle infinite altre che riguardano l’eterno ordine di tutta la natura, di cui l’uomo è una piccola parte e dalla cui sola necessità tutti gli individui sono determinati a esistere e a operare in un certo modo.” B. SPINOZA, Tractatus theologico – politicus, tr. it., Trattato teologico – politico, a cura di A. Droetto e E. Giancotti Boscherini, intr. di E. Giancotti Boscherini, Torino 1972, p. 379.
57 AA. VV., Guglielmo di Ockam, a cura di A. Ghisalberti, F. Todescan e L. Zanolli, Padova 2007. Sulle origini del volontarismo si rinvia alla trattazione di F. TODESCAN, Metodo, diritto, politica. Lezioni di storia del pensiero giuridico, 2 ed., Bologna 2002, parte II, cap. 4
58 C. SCHMITT, Le categorie del politico. Saggi di teoria politica, a cura di G. Miglio e P. Schiera, Bologna 1998²; G. DUSO, Tra Schmitt ed Hegel. Il problema del «politico» moderno, in «Filosofia politica», 1994, pp. 467-474; A. DEL NOCE, L’epoca della secolarizzazione, Milano 1970; P. GROSSI, Mitologie giuridiche della modernità, Milano 2007.
59 F. NIETZSCHE, Genealogia della morale, tr. it. a cura di F. Masini, Milano 1968, pp. 359-360.
60 Ibidem.
61 T. HOBBES, Libertà e Necessità; Questioni relative a libertà, necessità e caso, a cura di A. Longega, Milano 2000, p. 207.
62 F. GENTILE, Politica aut/et statistica…, cit., p. 70.
63 La nozione di assolutezza viene invero a conformarsi in guisa di autentica costante, dallo spessore trans-disciplinare, dell’intera parabola del pensiero moderno, per quanto il suo disvelarsi patente quale forma della persona naturale e della persona artificiale, del privato come del pubblico, rinvenga la propria esplicitazione più compiuta ed articolata nella dottrina di Rousseau. E nondimeno, com’è ancora il Gentile ad insegnare, l’identificazione dell’individuo con l’intero assoluto realizzata dal Ginevrino attraverso un’operazione di spogliamento del soggetto umano da ogni sua caratteristica particolare, o meglio, da ogni suo elemento che risulti essergli derivato da qualche fonte ad esso esterna, per quanto sia tipica del pensiero rousseiano, specialmente nelle implicazioni politiche da essa discendenti, ha un antecedente fondamentale nella dottrina antropologica e filosofico politica di Hobbes. Cfr. F. GENTILE, ult. op. cit., pp. 74 ss. Si veda anche: M. FRACANZANI, Sovranità, diritto e forza, in AA. VV., Diritto e forze armate, a cura di S. Riondato, Padova 2001; G. DUSO, Genesi e aporie dei concetti della democrazia moderna, in AA. VV., Oltre la democrazia. Un itinerario attraverso i classici, a cura di G. Duso, Roma 2003; M. AYUSO, Despues del Leviathan? Sobre el estado y su signo, Madrid 1996.
64 F. GENTILE, Intelligenza politica e ragion di stato, Milano 1983.
65 ID., Politica aut/et statistica. Prolegomeni di una teoria generale dell’ordinamento, cit., pp. 112, 147.
66 E. ANCONA, All’origine della sovranità. Sistema gerarchico e ordinamento giuridico nella disputa sui due poteri all’inizio del XIV secolo, Torino 2004, p. 10.
67 H. KELSEN, Teoria generale del diritto e dello stato, tr. it. di S. Cotta e G. Treves, pref. di E. Gallo, intr. di G. Pecora.

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