L’UOMO «VIRTUALE».
IL PARADIGMA ANTROPOLOGICO
DELLA TEORIA POLITICO-GIURIDICA MODERNA
di Antonio Vernacotola
Università della Calabria

31 Questa accezione, di rilevanza capitale nel pensiero classico, è quella in virtù della quale la nozione di natura assume una peculiare valenza filosofica; in questo senso, infatti, quest’ultima, esplicandosi come il principio dell’identificazione e della primaria costituzione ontologica degli enti sostanziali, rinviene la sua specifica collocazione, nonché la propria caratteristica funzione, nel contesto di quella dottrina della sostanza che costituisce il perno della metafisica essenzialistica di Aristotele, il primo e più importante teorico di siffatta idea – che è l’idea propriamente filosofica – della natura. Tale particolare semantema, dunque, in forza di codesta caratterizzazione sostanzialistica, assolve ad un insostituibile ruolo di qualificazione della materia su basi prettamente realistiche, ruolo che esplica la propria validità tanto nel campo della fisica, quanto in quello, ad esso tipicamente peculiare, della metafisica.
“La natura è il principio e la causa del movimento e della quiete della cosa alla quale inerisce primieramente e di per sé, non accidentalmente.” (ARISTOTELE, Fisica, II, 1, 192 b 20, tr. it. a cura di M. Zanatta, Torino 1999).
Se, dunque, in una prospettiva fisica, la nozione di natura descrive la causa del movimento (o della quiete) dell’ente cui afferisce, allora, essa può rivendicare una sua legittimità teoretica anche all’interno di visioni filosofiche molto lontane da quella dello Stagirita, come, ad esempio – per citare l’esempio portato dallo stesso Aristotele a seguito del passo appena riferito (Ibidem, II, 1, 193 a 28 ss.) – quelle dei cosiddetti Fisiologi, Talete, Anassimene e Anassimandro, ove, avendo in sé, i diversi elementi del cosmo, il proprio principio di movimento e di trasformazione, la natura giunge infine a risolversi nella materia stessa.
32 ID., Metafisica, ?, (V), 4, 1015 a 13.
33 È una concezione, questa, che affonda le proprie radici in un determinismo universale nella cui prospettiva ogni possibilità di accidentalismo naturalistico viene drasticamente negata e lo stesso agire dell’uomo, in taluni casi, ove compreso nell’azione di questa a?????? metastorica, perde la propria reale autonomia e finisce per diventare mera rifrazione di una superiore necessità. In Diogene Laerzio tale dottrina è espressa compiutamente: “La Natura – egli scrive – è la disposizione a muoversi da sé secondo le ragioni seminali, disposizione che porta a compimento e tiene insieme tutte le cose che da essa nascono a determinati tempi e coincide con le cose stesse dalle quali si distingue.” (DIOGENE LAERZIO, Raccolta della vita e della dottrina dei filosofi, VII, 1, 148).
34 La prima compiuta espressione, giustamente celebre, dell’esistenza di un diritto naturale, inscritto nella coscienza degli uomini e superiore alle leggi positive si rinviene, com’è noto, nelle toccanti parole che l’Antigone sofoclea rivolge a suo zio Creonte, re di Tebe. “Questo editto non Zeus proclamò per me, né Dike, che abita con gli dei sotterranei. No, essi non hanno sancito per gli uomini queste leggi; né avrei attribuito ai tuoi proclami tanta forza che un mortale potesse violare le leggi non scritte, incrollabili, degli dei, che non da oggi né da ieri, ma da sempre sono in vita, né alcuno sa quando vennero alla luce.” SOFOCLE, Antigone, in, Antigone, Edipo re, Edipo a Colono, tr. it., intr. e prem. a cura di F. Ferrari, (testo greco a fronte), Bergaro Torinese (TO) 1999, pp.91-93.
35 Nella prospettiva stoica, che sta alla genesi, tra l’altro, del pensiero filosofico giuridico di un Cicerone, di un Seneca e di un Ulpiano, “la legge di natura – come ci ricorda l’Abbagnano – è la regola di comportamento che l’ordine del mondo esige sia rispettata dagli esseri viventi, regola la cui realizzazione, secondo gli Stoici, era affidata o all’istinto (negli animali) o alla ragione (nell’uomo).” (N. ABBAGNANO, ult. op. cit., p. 606). Nel Rinascimento, una siffatta concezione, che pure, come si diceva, aveva conosciuto delle rappresentazioni alquanto mitigate, quanto alle possibilità di una sua deriva nella direzione di un determinismo metastorico, viene ripresa, oltre che nell’ambito del magismo di ascendenza neoplatonica, dall’Aristotelismo quattro e cinquecentesco. Leonardo da Vinci e Pietro Pomponazzi, in particolare, sono gli artefici più avvertiti di tale recupero, che realizzano non esimendosi dall’esercitare un certo influsso, non solo sulla riflessione dei contemporanei, ma anche su quello che sarà il pensiero dei teorici della Rivoluzione scientifica, primo fra tutti, Galileo Galilei.
La necessità – asserisce Leonardo – è tema e inventrice della natura, e freno e regola eterna.” (LEONARDO DA VINCI, Works, ed. Richter, n. 1135).
36 Il primo e più importante teorizzatore di tale concezione è Plotino che, nelle Enneadi, propone un Neoplatonismo di stampo monistico – metafisico in virtù del quale la nozione di Natura viene a subire una drastica degradazione.
“La saggezza – vi leggiamo – è il primo termine, la natura è l’ultimo. La natura è l’immagine della saggezza ed è l’ultima parte dell’anima: come tale non ha in sé che gli ultimi riflessi della ragione […] L’intelligenza ha in sé ogni cosa, l’anima dell’universo riceve le cose eternamente e essa è la vita e l’eterna manifestazione dell’intelletto; ma la natura è il riflesso dell’anima nella materia. In essa, o anche prima di essa, la realtà finisce giacché essa è il termine del mondo intellegibile: oltre di essa, non ci sono che imitazioni.” (PLOTINO, Enneadi, ed. cit., IV, 4, 13).
Oggetto di studio della teosofia rinascimentale, in particolare, nella riflessione di J. BÖHME, (De signatura rerum, IX, Stuttgart 1957), una simile determinazione della nozione di natura diventa un concetto cardine di tutte le metafisiche spiritualistiche, riscuotendo un notevole successo nel periodo del Romanticismo, soprattutto in Germania; ne trattano approfonditamente importanti letterati, come Goethe, Novalis (F. NOVALIS, Frammenti, n. 1384, tr. it. di E. Pocar, intr. di E. Paci, Milano 1991) e Hölderlin (cfr. A. L. MACOR, Friedrich Hölderlin. Tra illuminismo e rivoluzione, Pisa 2006) e diviene un punto centrale della riflessione dell’Idealismo, con una significativa accentuazione nei sistemi di Hegel e Shelling, ove pure, viene riguardata secondo posizioni valutative pressoché antitetiche. Per Hegel, infatti, la dimensione naturale individua il dato di una «esteriorizzazione» della realtà spirituale, equivalente ad una sua alienazione in un’alterità «oggettiva», depauperata della propria originaria connotazione «formale», per cui: “nella natura non solo il gioco delle forme è in preda ad una accidentalità sregolata e sfrenata; ma ogni forma manca per sé del concetto di se stessa.” Per Schelling, invece, in contrapposizione diretta alla posizione di Fichte, alla cui dottrina veniva attribuita la riduzione della natura ad un puro nulla, il rapporto di identità dialettica tra Spirito e Natura viene profondamente valorizzato; la natura viene ivi presentata sotto la forma, di perspicua ispirazione spinoziana, di concreta manifestazione dello Spirito, secondo modalità per le quali al dato dell’identità ontologica, seppur all’interno di un contesto dialettico, tra il Principio dello Spirito e la sua esplicazione nella natura, viene conferito un chiaro primato speculativo rispetto alla considerazione della loro separatezza. “Si può infatti – osseva ancora l’Abbagnano – da un lato insistere sugli aspetti per cui la natura si distingue dallo spirito e in qualche modo si contrappone ad esso, cioè sull’esteriori tà, l’accidentalità, il meccanismo. Ma si può anche, dall’altro lato, insistere sull’aspetto per cui la natura, come manifestazione dello spirito, presenta i suoi stessi caratteri sostanziali.” (N. ABBAGNANO, ult. op. cit., p. 607).
37 La natura, in quest’accezione, individua “il campo oggettivo cui fanno riferimento sia i vari modi del percepire comune sia i vari modi dell’osservazione scientifica, così come è intesa e praticata nelle varie branche della scienza naturale.” N. ABBAGNANO, ult. op. cit., p. 608.
38 Bene arguisce una siffatta continuità il Coccopalmerio: “Nell’uomo ad una concezione negativa succede una concezione positiva. Per la prima, l’uomo è una monade; la sua monadicità si ripercuote sulla classe; la classe è una monade più grande, sempre ostile, sul piede di guerra, armata contro tutti: quanta eco di Hobbes! Ma senza meraviglia, giacché il mateialismo storico è una variante del giusnaturalismo moderno.” D. COCCOPALMERIO, Introduzione alla dottrina dello Stato. Temi permanenti e problemi emergenti nella prospettiva attuale, Verona 1998.
39 Cfr. S. MAFFETTONE, Marxismo e giustizia, Milano 1983; E. RIPEPE, Alla ricerca della concezione marxista del diritto, Torino 1987; D. ZOLO, Stato socialista e libertà borghesi, Roma-Bari 1977.
40 L. FEUERBACH, L’essenza del Cristianesimo, tr. it. a cura di F.Tomasoni, Roma-Bari 1997.
41 M. STIRNER, L’unico e la sua proprietà. L’uomo anarchico, tr. it. e pres. a cura di L. Michelini, Bussolengo (VR) 1996; cfr. G. ZACCARIA, Considerazioni attuali sull’individualismo radicale di Max Stirner, Napoli 1974.
42 Hobbes, invero, costruisce una filosofia dell’uomo integralmente artificiale, astraendo il soggetto umano dalla propria concretezza esistenziale e considerandolo come una monade individuale, orientata al solipsismo; in virtù della sua fondamentale unicità strutturale e rappresentativa, un siffatto ente monadico risulta dotato dei caratteri propri di un’egoità capace di riconoscere – ma forse dovremmo dire di conoscere e costituire – solo se stessa, autoponendosi in un universo concettuale di pura virtualità, del tutto scardinato da un ancoraggio fondazionale all’esperienza o alla metafisica, e basato, invece, su canoni conoscitivi che risultano definiti ed impostati in modo puramente convenzionale. Cfr. F. GENTILE, Filosofia del diritto, cit. pp. 10 ss.
43 F. GENTILE, Politica aut/et statistica,. cit., p. 68.
44 Cfr. Ibidem.
45 T. HOBBES, De Cive, I, 2., tr. it. Elementi filosofici sul cittadino, in Opere politiche di Thomas Hobbes, a cura di N. Bobbio, vol. I, Torino 1959, p. 80.

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