L’UOMO «VIRTUALE».
IL PARADIGMA ANTROPOLOGICO
DELLA TEORIA POLITICO-GIURIDICA MODERNA
di Antonio Vernacotola
Università della Calabria

“Ogni scienza – afferma ancora Nietzsche – […] si propone oggi di dissuadere l’uomo dal rispetto sinora avuto per se stesso, come se questo altro non fosse stato che una stravagante presunzione; si potrebbe persino dire che essa ripone il suo proprio orgoglio, la sua propria austera forma di atarassia stoica nel conservare presso di sé questo faticosamente conquistato autodisprezzo dell’uomo come il suo estremo e più severo titolo di stima.”
[60] L’uomo è visto come un tutto, come un assoluto, in quanto gli si predica una volontà onnicomprensiva e lui stesso si riduce a mera volontà; l’individuo, dunque, altro non è che un automa, il centro d’imputazione di una serie di atti esprimenti una volontà che non è libera, bensì determinata; è una falsa volontà, quella dell’uomo, una volontà asservita, [61] tanto sotto un profilo materiale, in quanto rappresenta il prodotto degli impulsi che ne delimitano l’oggetto, quanto sotto un profilo formale, poiché tale volontà, nella sua stessa costituzione, è data da un’ipotesi e delinea i tratti della natura umana solo in dipendenza di un funzionalismo convenzionale a sfondo utilitarista. La configurazione dell’uomo, tornando alla filosofia hobbesiana, si definisce secondo canoni icasticamente aporetici: nel momento in cui viene affermata la libertà assoluta dell’individuo, svincolata da ogni presupposto razionale ed estesa in modo esattamente identico alla sua potenza – una potenza tendenzialmente protesa al possesso su ogni cosa – la volontà, che di una siffatta libertà cagiona l’orientazione oggettuale, appare rigidamente determinata da un complesso di istanze fisio-psicologiche definite, e poste a fondamento dell’antropologia, attraverso l’ipotesi dello stato di natura.
Per essere ancora più espliciti, l’assolutezza della libertà umana, allo stato di natura, è postulata allo scopo esclusivo di accreditare una medesima potestà al sovrano, la cui facoltà d’azione, non soggiace ad alcun vincolo legale neppure dopo l’istituzione dello stato civile, essendo detto sovrano escluso dai legami previsti dal contratto sociale.“L’unicità del privato – riconosciamo con il Gentile – la disposizione cioè dell’individuo, l’uomo dello stato di natura, a considerarsi libero da qualsiasi regola, perché soggetto esclusivamente alla propria volontà e solo giudice delle proprie azioni, si manifesta a livello pubblico nell’assolutezza della Sovranità, nell’assenza cioè di limiti di obbligazioni da parte del potere statale. Già Jean Bodin aveva affermato perentoriamente che Sovrano è «chi nulla riceve dagli altri» e «non dipende altro che dalla sua spada». Ma è Hobbes a dedurre more geometrico da questo principio che lo Stato non solo non può essere vincolato dalle leggi, espressione della sua volontà libera ed insindacabile, ma neppure condizionato dal contratto sociale, da cui è favorito senza esservi legato, non essendone parte contraente.”
[62] L’assolutezza, prima ancora di essere un dato tipico della politica, è un fattore proprio dell’antropologia; [63] anzi, essa diventa l’elemento centrale della forma del politico, proprio per il fatto di essere il fattore sintetico che caratterizza il modello di uomo emergente dallo stato di natura. La secolarizzazione del «divino» e la divinizzazione del «politico» – ma, più coerentemente, dovremmo dire, con le parole del Gentile, della «ragion di stato» –[64] sono i due fenomeni innescati dal processo teorico da cui si origina la nozione di sovranità, fenomeni, questi, alle cui radici si nasconde una strutturale aporeticità. “Lo evidenzia bene il Gentile[65] – scrive Elvio Ancona – sostenendo che, per potersi dire davvero indipendente, il sovrano non solo non deve essere condizionato da principi estranei alla libera determinazione della sua volontà, ma deve porsi esso stesso come principio. Con l’inevitabile conseguenza aporetica: la parte che si stacca dal tutto, per liberarsi dal condizionamento di questo, deve essa stessa affermarsi come tutto. E con l’altrettanto inevitabile conclusione: il concetto di sovranità è un concetto teologico secolarizzato.” [66] L’impianto costruttivistico adottato dall’epistemologia hobbesiana non può, quindi, fare a meno di palesare, alle propria genesi e nella sua stessa conformazione, un carattere apertamente apologetico nei riguardi del potere costituito. Aggettando, in questo modo, su una fondamentale paradossalità che contrassegna l’intera costruzione della filosofia politico – giuridica del Filosofo: una paradossalità che è data dalla profonda discrasia sussistente tra l’assunzione di un modulo ipotetico – convenzionale, nella determinazione delle premesse e nella costituzione della metodologia, e la contestuale finalizzazione dell’impianto facente capo ad un siffatto modello, alla giustificazione, sul piano etico, dell’esercizio fattuale di un potere che si disvela intensamente reale. È, questo, il paradosso di una teoria del diritto che, seppur fondata su presupposti dati per ipotesi e tradotti in un sistema che, a sua volta, pone i suoi principi primi in base ad un criterio di pura arbitrarietà convenzionale, si scopre essere la maschera ideologica, costruita con una strumentazione d’icastica virtualità, del più concreto ed invasivo dei fenomeni sociali, l’apparato coercitivo su cui si sorregge un potere statale che si auto-impone come legibus solutus; la maschera ideologica, ovvero – volendo evocare l’efficace immagine kelseniana – del volto pietrificante della Gorgone del potere. [67]

—————————————————


1 F. GENTILE, Ordinamento giuridico. Tra virtualità e realtà, 3 edizione integrata da Quattro Codicilli, Padova 2005.
2 ID., Politica aut/et statistica. Prolegomeni di una teoria generale dell’ordinamento politico, Milano 2003.
3 Nella prospettiva materialistica di un Democrito o di un Leucippo, l’individualità è dunque sinonimo di un’ente indivisibile che si configura in termini tipicamente materiali: indivisibile, ovvero «atomon», è ogni elemento che risulti irriducibile, attraverso un procedimento di scomposizione della materia, a qualsiasi altra «radice».
4 I termini “identici per accidente – leggiamo nella Metafisica – non si dicono in universale: infatti non è vero dire che ogni uomo è lo stesso che il musico, perché gli attributi universali appartengono alle cose per sé, mentre gli attributi accidentali non appartengono alle cose per sé ma solamente degli individui si predicano senza restrizione. Infatti «Socrate» e «Socrate musico» sono manifestamente la stessa cosa; ma «Socrate» non è predicabile di molti individui, e perciò non si dice «ogni Socrate» così come si dice «ogni uomo».” ARISTOTELE, Metafisica, a cura di G. Reale, Milano 2000, ? (V), 9, 1017b 33-1018a 4, p. 217. Individuo, dunque, è ogni elemento cui non si possa predicare più di un singolo oggetto. Ad una siffatta concezione soggiace, evidentemente, un’accezione della nozione di individualità di tipo metafisico; un’accezione pertanto che, assumendo gnoseologicamente un principio di individuazione capace di effettuare un’opera di determinazione di un dato ente nella sua peculiare singolarità, risulti parimenti in grado di collocare il concetto di individuo in un quadro propriamente ontologico, ovvero, nell’ambito di un approccio teoretico facente perno sulla nozione di «sostanza individuale». Per approfondimenti, cfr. C. ROSSITTO, Riflessioni sulla struttura logica della filosofia. A proposito dell’odierna metafisica di tradizione aristotelica, Padova 1982.
5 Nella visione esposta da Aristotele nella Metafisica, la specie, in quanto derivante da una divisione dei generi oltre la quale, in un’opera di applicazione delle categorie logiche ai dati della natura, risulta impossibile procedere ad ulteriori determinazioni tassonomiche, rappresenta, sotto un profilo siffatto, il dato antonomastico dell’individualità. ARISTOTELE, ult. op. cit., ? (V), 10, 1018b 1-7, p. 221; ID., Analitici secondi, ed. cit., II, 13, 96b 15.
6 Di particolare efficacia rappresentativa è la definizione che ne fornisce Severino Boezio: “Si dice individuo ciò che non si può dividere per nulla, come l’unità o la mente o ciò che non si può dividere per la sua solidità, come il diamante; o ciò che non si può predicare di altre cose simili, come Socrate.” S. BOEZIO, In Isagogen Porphirii commenta, rist. anast., New York 1966, trad. it. Isagoge/Porfirio, Milano 1995, II, in P. L., 64, col. 97. Ancora più icastica e rigorosa, come ci rammenta N. ABBAGNANO (voce Individuo, in Dizionario di filosofia, p. 481), risulta la formulazione dell’individualità espressa da Pietro Ispano, il futuro Giovanni XXI: “Individuo è ciò che si predica di una sola cosa, come Socrate e Platone.” P. ISPANO (papa Giovanni XXI) , Summulae Logicales, 2, 9.
7 “L’individuo vago – osserva l’Aquinate nella Summa Theologiae – per esempio, l’uomo, significa una natura comune con un determinato modo d’essere che compete alle cose singole, cioè che sia un sussistente per sé e distinto dagli altri. Ma l’individuo singolo significa invece qualcosa di determinato e che distingue; così il nome di Socrate significa questa carne e questo volto.” TOMMASO D’AQUINO (San), Summa Theologiae,trad. it., La somma teologica, testo latino dell’ed. leonina, tr. e commento a cura dei Domenicani italiani, Firenze 1959, I, q. 30, a. 4.
8 Cfr. A. POPPI (padre), Sul problema della sostanzializzazione dell’ente e dell’uno in S. Tommaso d’Aquino, in «Rivista di filosofia neoscolastica», a. 56, 1954.
9 Per quanto concerne, specificamente, le ascendenze aristoteliche della logica boeziana, cfr. G. F. PAGALLO, Per un’edizione critica al “De hypoteticis syllogismis” di Boezio, in Italia medievale ed umanistica, 1958.
10 Per un quadro generale del pensiero di Scoto, si rinvia a F. TODESCAN, Giovanni Duns Scoto, Padova 2002.
11 “Individuo – afferma Duns Scoto – cioè uno di numero, si dice ciò che non è divisibile in molte cose e si distingue numericamente da ogni altra.” G. DUNS SCOTO (beato), In Metaphysica, VII, q. 13, n. 17, in Opera omnia, 12 voll., Hildesheim 1968, ripr. facs. dell’ed.: Lugduni 1639. Per una bibliografia critica relativa alla revisione della tradizionale interpretazione «antitomista» del pensiero di Scoto, cfr. A. GHISALBERTI, La filosofia medievale. Da S. Agostino a S. Tommaso, Prato 2002, pp. 200-204; A. POPPI (padre), Classicità del pensiero filosofico di Duns Scoto, in AA. VV. Regnum hominis et regnum Dei, Acta quarti congressus scotistici internationalis, Roma 1978; ID., Scienza ed esperienza nel commento alla Metafisica di Giovanni Duns Scoto, in «Laurentianum», 9, 1968.

Pages 1 2 3 4 5 6 7