L’UOMO «VIRTUALE».
IL PARADIGMA ANTROPOLOGICO
DELLA TEORIA POLITICO-GIURIDICA MODERNA
di Antonio Vernacotola
Università della Calabria
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Abstract
Starting from the category of «virtuality» that Francesco Gentile shows to be a characterizing trait of modern thought, the present essay aims to reconstruct the modalities through which, beginning from the seventeenth century, a new anthropological model takes root. The notion of man is expunged from the metaphisical reflection and detached from reality to be structured on the basis of a purely conventional set of definitions. Conceived in this way, it is placed in the guise of paradigm of a legal political theory that is purported to be constituted in the form of scientific discipline. The concepts of individual, nature and freedom are made object of a semantic reconsideration, through which it is created a «virtual man», as determined according to the forms of a «unicity» towards which the dimension of intersubjective relation appears extraneous. Such a model, ultimately, proves to be functional, in accordance with an operational protocol, to the construction of a principle of sovereignity in which is fulfilled, in the words of Gentile, the secularization of the «divine» and the deification of the «politics».
É difficile ritrovare, in un coacervo di ricordi che s’accavallano e s’intrecciano fra loro, un pensiero, un’immagine, un’espressione che possa restituire, seppur in modo appena sfrangiato e necessariamente povero, la figura del prof. Francesco Gentile. Si tratteggiano nella memoria, quasi in forma di vividi altorilievi, immagini della Terra Santa, con i suoi abbacinanti bagliori, i suoi silenzi, le sue ineffabili voci; una Terra, questa, ch’Egli sembrava alfine guardare con serena e lucida franchezza quale propria destinazione suprema; si stagliano ancora, nel rimembrare, la squisita finezza dell’uomo ed una delicatezza di levatura assai rara; riappare infine la soavità del suo sorriso.
Con eguale vivezza, tuttavia, si compongono nella mente i tratti di una dottrina autenticamente magistrale, ch’Egli seppe maturare, nel corso di lunghi decenni, fissando e custodendo, come stelle polari, la dedizione all’insegnamento che così alacremente lo animava e, massime, l’amore per la verità. Non spetta al sottoscritto presentare con compiutezza, di questa elevata dottrina, contenuti e tematiche. Altri, più autorevolmente, potranno farlo in modo profittevole. Ciò che vorrei qui riportare è l’esperienza di un giovane ed appassionato studioso di filosofia del diritto che ha avuto il privilegio d’incontrare e conoscere, nel proprio percorso di studio, il magistero del Professore.
Le prime opere gentiliane che ho avuto modo di avvicinare sono state Ordinamento giuridico; tra virtualità e realtà [1] e Politica aut/et statistica; prolegomeni di una teoria generale dell’ordinamento politico. [2] Per tal ragione, è a questi testi che qui vorrò maggiormente guardare, pur perlustrando il novero copioso delle pubblicazioni del Maestro. Ed invero, non mi esimo dall’affermare che la lettura di codesti saggi, nonché, del pari, il confronto franco e frequente con il Professore medesimo, hanno prodotto in me un’impressione affatto rimarchevole. Il mio modo di guardare al dato dell’esperienza giuridica e, più in generale, alla Modernità come struttura di pensiero, ne è risultato radicalmente trasformato. L’elemento che mi ha più colpito, additandomi più lati orizzonti ermeneutici, è stato il constatare con quale incisività un paradigma «virtuale» – sua felice espressione – abbia progressivamente informato di sé le diverse branche del sapere, ed in ispecie, la filosofia del diritto e dello stato. Orbene, quello che in questa sede intendo indagare, prendendo punto le mosse dai volumi sopra citati, è esattamente il modello antropologico che, assumendo tale conformazione viene ad assidersi quale archetipo della teoria politico-giuridico moderna.
Ai primi lucori del Seicento, si origina invero un modo del tutto nuovo di concepire l’uomo, che viene analizzato secondo categorie di pensiero deliberatamente anti-realistiche ed improntate altresì ai principi metodici dell’astrazione analitico – deduttiva e del convenzionalismo ipotetico. Un modello antropologico siffatto riscuoterà vasta e subitanea accoglienza da parte dei maggiori filosofi delle generazioni successive, in particolare Locke, Rousseau e, nel XIX secolo, Stirner, diventando un tratto tipico della Modernità ed influenzando non solo l’antropologia filosofica, ma la teoria politica, le scienze giuridiche e, più in generale, l’intera civiltà occidentale. Un punto d’importanza capitale, nell’elaborazione di tale visione, riguarda l’accostamento di un principio di inconoscibilità circa l’essenza dell’uomo, ad un’istanza di costruttivismo ipotetico, volto all’istituzione, su un piano prettamente virtuale, di un uomo artificiale, un modulo antropologico costruito in base a parametri e finalità di pura positività convenzionale ed utilitarista. L’individualismo, la dottrina che da questo modello trae origine, è fondato, dunque, su un paradigma puramente ipotetico, che non presenta alcun riscontro fondazionale con la realtà obbiettiva e si configura, invece, in corrispondenza di una serie di finalità di precipuo carattere operativo.
1. «Individuo». Genealogia di un concetto
Una premessa essenziale di questo processo giace nella primigenia determinazione dell’idea di individuum, che, per quanto desostanzializzata da parte degli approcci filosofici dominanti l’età moderna, rinviene la propria genesi nel suo primitivo incardinamento alla nozione metafisica di sostanza e, parimenti, nella sua applicazione al dato dell’individualità umana. Sorto nell’ambito della riflessione atomistica , [3] il concetto di individuo viene dunque, ad indicare originariamente un elemento dotato delle qualità dell’unità e dell’indivisibilità.
A tale caratterizzazione, di stampo marcatamente fisico, con il progresso del pensiero occidentale nelle forme tipiche della Classicità, se ne viene ad aggiungere una diversa e più articolata: ad Aristotele, in particolare, si deve l’elaborazione di un significato di detta nozione di ordine propriamente logico: secondo questa prospettiva, l’individuo viene ad identificarsi con l’impredicabile , [4] , con ogni ente, dunque, la cui specifica definizione nominale non si può predicare ad alcun altro oggetto all’infuori di se stesso, all’infuori, ovvero, dell’oggetto dato dall’ente cui tale denominazione primieramente appartiene . [5] Una simile qualificazione del concetto di individuo è stata ulteriormente specificata dalla speculazione dei Logici del primo Medioevo, che ne hanno sancito la rigorosa assimilazione all’ idea di impredicabilità . [6] Un decisivo approfondimento della nozione viene, di fatto, realizzato da S. Tommaso D’Aquino, il quale si fa assertore di una concezione che, per quanto risolutamente impiantata su una visione sostanzialistica, viene ad imprimere al nomen individuum una divaricazione semantica dispiegantesi in corrispondenza della duplice accezione di individuum vagum e di individuum singulum[7] . Compaiono, infatti, nella definizione dell’Aquinate, due differenti semantemi del termine individuo: da una parte, questo viene concepito come individuo vago, cioè come l’«unità» di “una natura comune con un determinato modo d’essere che compete alle cose singole,” l’unità numerica, in altre parole, con la quale si identifica ogni natura individuale che conferisce alle singole cose la propria specifica identità; dall’altra, l’individuo viene a significare l’ente stesso, distintamente sussistente in una natura ben circoscritta e delimitata, nonché dotato di una propria, unica ed irripetibile realtà esistenziale .[8] Quest’ultima significazione, evidentemente, trova la propria base teoretica, nonché le sue peculiari radici generative, nella nozione aristotelica di sostanza individuale. Oltre che nei pensatori alto-medievali, come Boezio, nei quali è più marcata una simile ascendenza , [9] la coimplicazione semantica dei concetti di individuo e di sostanza individuale, o ipostasi, si evidenzia anche in un importante esponente del Francescanesimo oxoniense, come Duns Scoto[10] , nel cui pensiero si ritrova una duplice rappresentazione del dato dell’individualità. Se, da un lato, vi si può infatti riscontrare l’incidenza di un principio di individuazione precipuamente declinato in senso ontologico, nel senso, cioè, del discernimento e della distinzione della concreta individualità di ciascun ente singolo, predicabile di un sostrato ipostatico, dall’altro, l’interpretazione dell’idea di individuo nei termini del semantema enucleato dall’espressione tomista di individuum vagum, viene ripresa ed indirizzata, ancor più risolutamente, nella direzione di una sua riconduzione all’idea di «unità numerica» . [11] Ecco, dunque, la doppia linea direttrice in corrispondenza della quale viene a divergere, nel pensiero della Modernità, il concetto di individuo: nella sua accezione classica, tale plesso teorico, elaborato originariamente in sede logica, in seguito alla sua applicazione all’individualità umana operata dai filosofi medievali, finisce per diventare sinonimo di persona, o, più precisamente, finisce per rappresentare uno dei primari fattori di qualificazione della nozione metafisica di persona, intesa, secondo la celebre definizione boeziana, come «rationalis naturae individua substantia» , [12] «sostanza individuale di natura razionale». La stessa possibilità di attribuire a ciascun essere umano la titolarità di un’intrinseca dignità personale – come può avvenire, e di fatto avviene, oltre che nell’ambito del giusnaturalismo classico, anche in taluni contesti di diritto positivo[13] – giace sul presupposto che ad ogni singolo individuo empirico venga riconosciuta una sussistenza concreta in una natura determinata che lo renda atto, ontologicamente, ad esistere in sé e per sé. Una sintesi assai efficace dei tratti di maggiore originalità emergenti sull’argomento dalla dottrina del pensiero medievale, la fornisce Livio Melina [14] commentando la definizione di persona prodotta da Riccardo di San Vittore, «intellectualis essentia, incommunicabils existentia». [15] La riflessione di S. Tommaso, riprendendo, con un significativo implemento teoretico, la definizione boeziana di persona, ne produce una nuova, nella quale il carattere di concreta individualità ad essa proprio, ed il portato assiologico implicito nella costitutiva afferenza del soggetto sussistente ad una natura precipuamente razionale, risultano ulteriormente chiarificati e valorizzati: “persona significat id quod est perfectissimum in tota natura scilicet subsistens in rationali natura” [16] afferma l’Aquinate nella sua ormai celebre formulazione di tale nozione. La persona, di ciò che esiste in natura, rappresenta quanto possa esservi di più perfetto, o per esser più precisi, il sommo compimento; essa è la realizzazione più compiuta ed elevata attraverso cui una forma sostanziale di natura razionale possa estrinsecarsi in un concreto e determinato ente corporeo che, pertanto, si costituisce, nella fattispecie della persona umana, in guisa di sinolo ilemorfico, composto da una materia umana e da una forma spirituale che ne attualizza progressivamente l’intrinseca «dynamis», la potenza ontologica «connaturale» alla sua essenza. Diversa, in quanto esclusivamente spirituale, è, ovviamente, la struttura ontologica degli altri enti dotati di natura razionale ma non incarnati, cioè Dio e le nature angeliche, parimenti definiti, in tale prospettiva, come persone. [17] In quanto «subsistens», «ente sussistente» di natura razionale, dunque, la persona è ontologicamente foriera di quella strutturale unità identitaria, o meglio, di quella sostanziale individualità che è fattore di primaria identificazione, nella metafisica di Aristotele come in quella di San Tommaso, delle «?p?´stase??» o «substantiae» concretamente individuate in una specifica determinazione singolare. [18] L’espressione usata dall’Aquinate per significare la concretezza e l’individualità che contraddistinguono ogni uomo, in quanto ente sussistente di natura umana, è, ancora una volta, di chiarezza lapidaria:
“In praedicta definitione personae ponitur substantia individua, inquantum significat singulare in genere substantiae.” [19]