NOTE D’APPUNTI SULLA “SUSSIDIARIETÀ”
IN TAPARELLI D’AZEGLIO
di Ottavio De Bertolis
Pontificia Università Gregoriana
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Abstract
The paper investigate Taparelli d’Azeglio´s positions on rule of society and its articulations like consortium on development of community. This political analysis of the society implies the affirmation of principle of subsidiarity, trough ts etymology (subsidium), like the natural key to really understand the relations of rights and duties between society and its articulations.
Proseguiamo la riflessione sul testo del p. LUIGI TAPARELLI D’AZEGLIO sj, Saggio teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto, 2 voll., Roma, ed. “La Civiltà Cattolica”, 19287, pp. 398 ss. Ai paragrafi (numerati) del Saggio segue o è premesso, in corsivo, un breve commento del p. Ottavio De Bertolis, sj.
Vogliamo rivolgere la nostra attenzione alle osservazioni sviluppate nel capo VI della dissertazione III, dal titolo: «Gradi di subordinazione fra società diverse, ossia diritto ipotattico», ove l’Autore svolge una dottrina che “riguarda generalmente tutta la teoria del dritto di società subordinate che fanno parte di altra maggior società, ove cercano riunite un ben comune” (§ 685, corsivo nel testo). Infatti “ogni gran società è composta non solo d’individui, ma anche di altre società minori (le diremo consorzi), le quali hanno dei dritti loro propri” (§ 686).
Oggi noi parleremmo, usando la dizione dell’art. 2 della Costituzione, di formazioni sociali nelle quali gli individui svolgono la loro personalità. E’ tuttavia interessante osservare che la titolarità dei diritti viene riconosciuta non solamente agli individui, ma alle società intermedie stesse, di modo che non si tratta solo di diritti individuali che completano o sviluppano la personalità dei singoli, ma di veri e propri diritti collettivi, o di collettività distinte dagli individui stessi, dotate di propria personalità giuridica. Infatti l’Autore continua:
“Il fatto che dappertutto osserviamo della subordinazione di varie società (che chiameremo associazione ipotattica) ci presenta a prima vista una conseguenza notabile: se ogni maggior società è composta di consorzii, e se questi consorzii sono qualche cosa, ossia hanno un essere; questo essere è diverso dall’essere della maggiore, altrimenti non vi avrebbe alcuna differenza fra la società composta di consorzii e la società composta d’individui; eppure chi non vede altro essere una moltitudine di due mila uomini, altro una legione composta di 20 centurie? […] Nelle centurie voi ravvisate una unità propria e una propria organizzazione, tendente bensì ad ottener vie meglio il fine comune, ma fondante a tal fine appunto, un sistema da sé. […] Dunque ogni consorzio ha un essere suo proprio”(§ 688).
Questi consorzi o società minori sono dunque reali, dotati di un essere distinto da quello della società maggiore o più vasta nella quale si innestano: principio unificante, organizzazione e fine sono affatto propri, e dunque sono un sistema da sé. Queste società intermedie non ricevono l’essere dalla società maggiore o statuale, ma lo hanno da sé: in questo senso, l’Autore riconosce che non esistono solo gli individui, ma anche le collettività, il che è tanto più interessante in quanto la cultura giuridica ottocentesca “ufficiale”, imbevuta delle dottrine del Code napoleonico, individualistico e borghese, emarginava il loro ruolo, che voleva ridotto a mera sopravvivenza storica e residuo della situazione di diritto intermedio. Eppure il ruolo indiscusso delle collettività anche nell’Ottocento è ben testimoniato: rinvio all’interessantissimo P. GROSSI,‘Un altro modo di possedere’. L’emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Milano 1977.
L’Autore non si mostra interessato a risolvere una questione speculativa, quale l’anteriorità della più vasta società ai consorzi, o viceversa, affermando che accade ora l’uno or l’altro fenomeno: quel che gli interessa è il fatto in sé, ossia che ogni vasta società è organizzata in consorzi. Di più, il consorzio nasce dalla necessità di tutela dei beni “più vicini”, che sarebbero meno facilmente difendibili da una posizione più esterna. E’ qui che troviamo la radice stessa del principio di sussidiarietà, come notiamo nella stessa espressione usata:
“Potrà il consorzio avere una esistenza posteriore o anteriore alla società, giacchè talor accade che la divisione si forma nell’intero, talora che l’intero si compone di elementi prima separati; e l’un modo e l’altro viene dalla natura adoperato così nel morale come nell’ordine fisico: ma una vasta società non organizzata in corpi diversi (in consorzii), questo non si vede giammai. (§ 690).
[…] Dunque per la materiale divisione di spazio, tempo, capacità ecc. gli uomini debbono necessariamente aggrupparsi in vari consorzii quando la società e vasta; e per la limitata forza di mente e di corpo in chi tiene l’autorità suprema, è necessità che ogni consorzio abbia della propria autorità particolare un particolar possessore ed amministratore, che conoscer possa i bisogni individuali dei suoi, e applicarvi al sussidio le forze del consorzio. (§ 691)
Qui il concetto di sussidio ci riporta all’origine etimologica del principio di sussidiarietà, quella del linguaggio militare: infatti le truppe sussidiarie o ausiliarie portavano aiuto dove l’esercito nella sua interezza non poteva sprigionare tutta la sua efficacia. Qui si tratta dei bisogni individuali che rischierebbero la non piena tutela se lasciati alla società nella sua interezza: il singolo e la sua utilità rimane dunque il fine dei consorzi.
“Quindi apparisce essere necessità di natura la divisione organica delle grandi società in società minori: e collo stesso raziocinio si potrà dimostrare che se i consorzii minori ancora contenessero tal numero di socii, che superasse coi bisogni da soddisfare le forze di un solo provveditore, dovrebbero anch’essi suddividersi in altri gruppi viepiù decrescenti finchè si giunga ad un gruppo sì limitato che possano i suoi bisogni da una sola intelligenza totalmente conoscersi, e agevolmente provvedersi di quegli esterni sussidi a cui la società umana è destinata” (§ 692).
Il modello organicistico è qui chiaramente espresso nella forma dell’unità organica della società vista appunto come un dato di natura: i gruppi minori sono dati dalla necessità di provvedere più agevolmente ai bisogni dei singoli con adatti sussidi.
“A ciascun de’ consorzi e gruppi subordinati, come voi ben vedete, dobbiamo applicare tutto ciò che della società genericamente abbiamo detto, giacchè ciascuno di essi è una, piccola sì, ma vera società. Ciascuno dunque ha il suo fine, l’autorità, l’operare; ciascuno può essere or naturale, or volontario, or doveroso; ciascuno considerato da sé sarebbe indipendente naturalmente, ma nella società divenendo parte di un maggior tutto perde la indipendenza sua propria e partecipa della libertà sociale… insomma ciascun consorzio è società detto questo, è detto tutto” (§ 693).
Fin qui abbiamo spiegata la prima idea di associazione ipotattica la cui natura può ormai esprimersi in forma di general principio dicendo che ogni GRANDE associazione è composta, per necessità di natura d’altre società minori. Potrebbe taluno domandare che intendo per grande società, e qual numero si ricerchi a pretendere tal titolo […]: grande è quella società la cui amministrazione supera le forze di una sola mente ordinatrice. Dal che scende una legge universale, principio di tutto il dritto ipotattico, nata dalla essenza di queste relazioni. Ogni consorzio dee conservare la propria unità in modo da non perdere la unità del tutto: ed ogni società maggiore provvedere alla unità del tutto, senza distruggere la unità dei consorzii. […] Dunque posta l’associazione, è contro natura e nel consorzio il separarsi dal tutto sociale e nel tutto l’annullar il consorzio, se pure alcuna causa di eccezione non intervenisse”. (§ 694)
Derivano dunque una serie di diritti e doveri reciproci tra la società e i consorzi, che l’Autore così sintetizza:
“Si domandava quali relazioni nascano dall’associazione ipotattica. Abbiam veduto che negl’individui nasce il dovere di obbedienza alla suprema autorità, e il dritto di riceverne protezione contro i disordini dell’autorità subordinata. Nei consorzi nasce la relazione di parte col tutto; e però il dovere di partecipare degli oneri, e il dritto di partecipare del bene comune. Nella società maggiore nasce la relazione di tutto colla parte, e però il dritto di valersene per comun vantaggio, e il dovere di tutelarne la esistenza e la felicità anche parziale. (§ 713)
Si domandava quali leggi nascano da tali relazioni e si è veduto: 1. che l’autorità particolare dee provvedere liberamente al bene del suo consorzio; 2. che ella dee ricevere dalla suprema e comunicare ai suoi dipendenti gli indirizzi pel ben comune; 3. che dee dalla suprema esser tornata all’ordine se talor ne esorbiti; 4. che sottentra al governo supremo quando questo venisse a mancare, affinché non rimanga la società in preda all’anarchia” (§ 714).