“Diritto e politica. Le nuove dimensioni del potere”
XXVII Congresso della Società italiana di Filosofia del diritto
Copanello di Staletti (CZ) 16-18 settembre 2010
Cronaca di un Congresso
a cura di Silvia Fanari, Andrea Favaro, Gonzalo Letelier Widov, Tommaso Opocher

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Legenda
Nei paragrafi che seguono alcuni giovani studiosi di filosofia del diritto hanno steso in termini sintetici i vari appunti presi personalmente nel corso dell’ultimo Congresso della Società italiana di filosofia del diritto. La descrizione di quanto appreso e discusso si è svolta tramite il confronto tra gli Autori che si assumono l’intera responsabilità di un lavoro non esaustivo (in attesa dell’uscita degli Atti) ma che desidera fornire un contributo alla memoria di temi e dibattiti emersi su questioni di estrema attualità che forse anche per ciò abbisognano di una celere messa a disposizione di un pubblico più vasto e diffuso dell’uditorio presente in quella accogliente sede in riva al Mar Ionio.

Introduzione.
Terminati i saluti istituzionali, ma non per questo solo formali vista anche la sede dell’evento e la caratura istituzionale dei loro latori, il Presidente SIFD, Prof. Vincenzo Ferrari, ha introdotto i lavori del XXVII Congresso della Società italiana di Filosofia del diritto ringraziando innanzi tutto gli organizzatori, Proff. Alberto Scerbo e Massimo La Torre.
Una breve disamina quella svolta dal Ferrari, tutta avviluppata attorno a due nuclei nevralgici: il felice imbarazzo di dedicare il Congresso della società al nodo cruciale che da tempo immemore innerva l’intera Filosofia del diritto e il timore sincero che proprio su questo tema sono state svolte così tante analisi che potrebbe sorgere il dubbio che vi è poco altro da aggiungere rispetto a quanto ci regalano i secoli passati e che quindi il convenire per metterlo a fuoco ancora una volta potrebbe risultare finanche superfluo.
Imbarazzo e timore che il Presidente ha però provveduto subito a sedare cogliendo l’occasione per valorizzare, soprattutto dinanzi agli studiosi giovani partecipanti in numero considerevole al Congresso, la lettura dei “classici” che molto possono offrire per riconoscere il fondamento di problematiche attuali e per abbozzare orizzonti futuri.
E così sono risuonati nell’ampio auditorium alcune preziose citazioni di un Omero riletto da Russell e attualizzato nell’odierna non sempre felice scena politica italiana; di un Aristotele e la sua lezione sulla democrazia; di un Dante e il suo attualissimo “De Monarchia”; di un San Tommaso; di un Hobbes; di un Locke; di uno Spinoza; di un Montesquieu. Tutti però non isolati nella torre eburnea del “passato”, ma connessi con l’evoluzione sociale, economica e tecnologica che investe la ricerca odierna sul tema “Diritto e Politica. Le nuove dimensioni del potere”.

 

I Sessione: “Le fonti politiche del diritto”.
La I Sessione si è così aperta all’insegna del riconoscimento delle “fonti politiche del diritto” con una introduzione del Prof. Amedeo G. Conte tutta versata sulla probabile (e così feconda) iniziale ambiguità del titolo della Sessione che poi si è palesata essere invece una omonimia di due espressioni linguistiche differenti (da una parte un enunciato, dall’altra un sintagma nominale). Omonimia che avrebbe potuto costringere l’uditorio (ma finanche i Relatori) a domandarsi quale tra le due espressioni sia la poziore. Probabilmente la scelta, come ha indicato il Prof. Conte nella chiosa finale dipende molto dalla risposta che ciascuno riconosce all’orizzonte, ma questo rischierebbe forse di vincolare il tema fondativo ad un insufficiente letto di Procuste.

La I relazione (Prof. Massimo La Torre) dal titolo «La “patria delle ombre”. Diritto e politica nella società dello spettacolo» si è dipanata lungo sei densi paragrafi e concentrata, specie nella I parte, su una rilettura dell’Italia dell’età moderna (agli occhi di acuti osservatori stranieri del tempo) che poco si distingue da quella contemporanea (specie nei suoi vizi privati e pubblici). E così è possibile assistere ad un ritratto ante-litteram della Penisola tratteggiato da Madame de Staël, Dickens, Taine, Kerr, che ricava un icastico sunto dalla penna di Stendhal «Volete qui [ndr: in Italia, rectius a Roma ]
[1] essere disprezzati oppressi e distrutti? Siate giusti e umani».
La disamina, in un secondo momento, si concentra su “I Promessi Sposi” di Manzoni e “La Certosa di Parma” ancora di Stendhal per cogliere il nesso tra politica, potere e diritto (nelle figure mai così attuali di un Azzeccagarbugli e di un Procuratore generale Rassi). Da ultimo, il Prof. La Torre punta il dito sul nesso potere-spettacolo per denunciare un vulnus sempre presente ma che oggi rischia di perpetrare una pressione inarrestabile, oltre che indebita, sulla formazione del diritto. Così l’iconocrazia diventa la regina indiscussa e i suoi latori, invero nemmeno troppo celati nella relazione, diventano i manipolatori della verità e così del diritto poiché «noi siamo in larga misura ciò che guardiamo, ciò su cui si dirige, su cui si fissa la nostra attenzione. Facciamo tendenzialmente ciò che vediamo fare». Così, in un excursus che forse mantiene poco dell’originale scientificità, dall’immagine che il mezzo televisivo ci impone si declina alla “farsa”, dallo spettacolo si corre il rischio di degenerare nel “festino”, dal politico barocco si devia verso «un seno scollacciato e una gustosa barzelletta». E il diritto? «si fa suppellettile del salone delle feste» e così l’amara conclusione non potrebbe essere altra che «le fonti politiche del diritto sono state avvelenate».

La II relazione (Prof. Carlo Menghi) si è concentrata invece sull’importanza dei sistemi sociali nell’attuale evoluzione del diritto, mutuando molte delle considerazioni esposte anche di recente dal Teubner, il quale per il tema della Sessione qui analizzata propone una «dilatazione semantica del concetto di diritto “in modo tale che possa includere anche le norme operanti a prescindere dalle fonti giuridiche dello Stato e del diritto internazionale”». Di qui la cifra per un “diritto sociale globale” in un processo di costituzionalizzazione non statale (e non politico) ma retto dalla società. In questa prospettiva assume un profilo importante pure la disamina di Habermas grazie anche alla quale il Prof. Menghi può dedurre il fallimento del «rapporto duale tra individuo e Stato» come pure quello «di una società civile economicamente sussunta, che ha progressivamente rinunciato al dialogo tra norma e consenso». Quale spazio allora ad una eventuale pars construens? Il Relatore concentra l’attenzione sulla feconda cifra del “rischio” e della sua indeterminabilità che scardinerebbe l’istituzionalità del potere e la autodeterminazione dell’individualità. Proprio sulla scia tracciata da questi accenni sarebbe possibile eludere allora l’alternativa insufficiente tra sovranità statuale e globalizzazione dei criteri normativi e provocare le intelligenze nella lettura dell’attuale processo di destrutturazione dei diritti ma anche dei fondamenti della ratio juris e «assiste[re] alla promozione di un indefinito dovere di debito» al fine di promuovere una estensione del diritto sociale civile.

Dopo queste due relazioni intense, che l’esiguo spazio di una Cronaca non concede di illustrare come meriterebbero, è seguito un dibattito davvero vivace e per certi versi palesato in termini più espliciti di quanto ci si potrebbe attendere in contesti simili. I temi presi in considerazione dai vari interventi (otto in totale) si possono circoscrivere in due categorie: da una parte alcune indicazioni/suggerimenti ai relatori per ampliare i temi trattati, dall’altra parte taluni rilievi critici e richieste di approfondimento specifiche.
Così è stato indicato a più riprese a La Torre che il mezzo televisivo forse non è, ad oggi, quello maggiormente aggiornato per calibrare metafore politico-giuridiche (rispetto, ad esempio, ai cellulari e al web) e a Menghi che la lettura di Luhmann potrebbe palesarsi utile per completare in termini più esaustivi la sua disamina.
Ancora più stimolanti sono stati gli interventi della seconda categoria dove con Menghi si è tornati sul rapporto tra società, consenso ed interessi e con La Torre si è verificato se il soggetto da compatire nella sua delusa lettura sia il suddito o il potente, se il richiamo dell’«immagine» possa costituire per il giurista (oggi, come lo è stato anche nel passato) un richiamo utile, fisiologico per il proprio ruolo nella società e non solo una denuncia dal sentore patologico e, infine, se quella che è stata definita “iconocrazia” possa realmente dirsi “politica”.

II Sessione: “I limiti giuridici della politica”.
La prima relazione della sessione è stata affidata al Prof. Palombella con il titolo: «Il senso dei limiti (giuridici). Dagli stati alla governance globale». Che il diritto debba costituire un limite al potere (pubblico) è il fulcro del costituzionalismo moderno. La riflessione, tuttavia, richiede di essere approfondita alla luce dei mutamenti che l’ordinamento costituzionale globale ha conosciuto negli ultimi decenni.
Si è assistito, secondo il Relatore, ad una grande proliferazione di regimi autonomi che, a livello globale, costituiscono altrettanti «self contained legal regimes», ciascuno costituito a tutela di uno specifico bene (il commercio internazionale, l’ambiente, la salute, l’energia, i diritti umani, la sicurezza, la tutela del lavoro, ecc.). In questo ambito, il senso del limite giuridico (Rule of law) diventa non tanto quello di costituire un limite alla politica, quanto quello di impedire l’ingiustificata prevalenza di un regime (e quindi di un bene) sull’altro, che si ridurrebbe ad un «esercizio di potere dominante, ossia un’interferenza arbitraria». Compito del diritto è allora quello di affermare la prevalenza del «giusto» rispetto al «bene» particolare e di costituire, paradossalmente, un «freno al diritto». Il diritto deve essere in grado di «allontanare la possibilità che dominio, unilateralità e in una parola, ingiustizia, possano prodursi proprio per mezzo del diritto».

La seconda relazione è stata quella della Prof.ssa Ferrarese, dal titolo: «I limiti giuridici della politica tra continuità e discontinuità». La Relatrice ha voluto anzitutto mettere in evidenza la crisi della politica, caratterizzata, nel corso del XX secolo, da un «processo di trasferimento di poteri al diritto». Nel tentativo di analizzare i problematici rapporti fra politica e diritto Ferrarese si è avvalsa delle tesi di M. Weber e di H. Arendt. Il primo definisce la politica un’impresa di «potenza», il cui criterio finale di legittimazione – a fronte di certe derive «carismatiche» – dovrebbe essere di carattere «legale-razionale». La seconda ritiene invece che la politica debba essere anzitutto «tutela della vita» e «garanzia della libertà», laddove la libertà non costituisce però un fine ma piuttosto «un mezzo per garantire un certo profilo della politica». Il modello weberiano di stato «legale-razionale» troverebbe riflesso, secondo Ferrarese, nello «stato di diritto» europeo. Tale modello, nel corso del XX secolo, avrebbe conosciuto un processo di profonda trasformazione, che da un’idea di «stato legislativo di diritto» l’avrebbe condotto sino all’odierna idea di «stato costituzionale di diritto», caratterizzato dal ricorso al judicial review, il «controllo di costituzionalità effettuato da una corte di livello costituzionale su un atto legislativo». Secondo Ferrarese il processo di trasformazione che ha interessato nel secolo scorso la nozione di «stato di diritto», non è tuttavia destinato ad arrestarsi. Nell’ambito del processo di costituzionalizzazione in corso hanno infatti cominciato ad affacciarsi, soprattutto nell’ambito internazionale, soggetti nuovi dal carattere non soltanto costituzionale, ma persino «quasi-giudiziari», che impediscono al costituzionalismo odierno di identificarsi esclusivamente col sistema del judicial review e dunque dello «stato costituzionale di diritto».

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