Il problema della democrazia in Antonio Rosmini
di Markus Krienke
(Facoltà di Teologia di Lugano)

4. Il rischio della libertà della società civile
Proprio nelle concezioni di Hobbes e di Rousseau, Rosmini analizza un rischio specifico della società ci-vile, che si verifica nel momento in cui essa non è impostata sussidiariamente a partire dal suo «fine remoto», quindi secondo il criterio social-etico di “legittimità”. In questo modo, tali concezioni non di-stinguono tra i diritti fondamentali, «extra-sociali» (come li chiama Rosmini per indicare la loro originali-tà e la loro consistenza che non è la società a conferire) e la modalità dei diritti. Secondo Rosmini, è la funzione più propria della costituzione definire questa distinzione attraverso i modi e le istituzioni ne-cessari. Qualora essa non viene rispettata, si delinea il pericolo del dispotismo che Rosmini concepisce come il vero rischio di ogni forma politica. In altre parole, la sua concezione della società civile è scettica nei confronti di qualsiasi modello che profila la “democrazia” tout court, soltanto in contrapposizione a “monarchia” o ad “aristocrazia”, ma che proprio tramite questa definizione adombra e scavalca le ne-cessarie distinzioni social-etiche. Per Rosmini, però, non è la domanda “chi” governa che risolve il problema dell’abuso del potere da parte dell’amministratore che così trasforma la società in dispotismo, ma quali sono i suoi limiti e come possa essere assicurato l’esercizio più responsabile possibile di que-sto potere. Proprio nella riduzione della questione politica a quella sul “chi” deve governare, Rosmini rivela, rifacendosi evidentemente a Tocqueville, in quanto in tutte e tre le forme dello Stato si può rea-lizzare il pericolo del dispotismo: «Il dispotismo non si coglie se non si prescinde dalla forma di governo e non lo si raggiunge nel suo originale covile, il quale è la società civile stessa qualunque forma ella si abbia. La società civile stessa deve essere purgata dal dispotismo, cioè deve essere sottoposta al suo vero diritto, e non foggiata sopra un diritto preteso, che le dà piena balia di fare tutto ciò che può e vuole» .[63]
La legittimazione etica del governo non dipende, quindi, dalla domanda in quante mani sta la sovranità, ma nell’equilibrio tra sovranità (i diritti sociali) e diritti extra-sociali. La sovranità può essere dispotica anche nelle mani di tanti: «non differisce punto l’errore di quelli che vogliono dedurre tutte le leggi dalla volontà del capo della società, a rege lex, dall’errore di quelli che non vogliono riconoscere altro fonte delle leggi se non la volontà popolare» .[65] In chiave attualizzante, Pietro Piovani trova in Rosmini non solo la diffidenza verso la tendenza che lo Stato democratico potesse minare il “lato interiore” della società in quanto sfera della dignità umana, e sostituirla con una politica dei mezzi; la stessa posizione rosminiana egli rivela anche nei confronti dello Stato assistenzialista .[66] Siccome la dimensione finalistica del diritto, riconnessa alla dignità della persona, si realizza attraverso il riconoscimento sussidiario delle due società che esprimono la stessa dignità umana, allora il ricono-scimento della Chiesa e della famiglia sono per Rosmini i due momenti principali per evitare il dispoti-smo: «[l]a società civile, ogni qualvolta violò i diritti della Chiesa o quelli della famiglia, esercitò la tiran-nia e una tirannia più funesta di tutte quelle dei tiranni, perché radicale e coperta sotto lo scudo di una dottrina politica ingannosa e perfidissima» .[67] Come ulteriore elemento della sua analisi, secondo Rosmini in una tale democrazia diretta si realizze-rebbe una «inaudita intolleranza» , [68] in quanto l’ordine sociale si ridurrebbe «ad un individuo-tipo ed alla uniformità prevedibile dei suoi bisogni ed azioni» [69] e non lascerebbe libertà alla pluralità. Proprio in questa dimensione Rosmini riconosce il comune problema in Rousseau, nel giacobinismo e nel socialismo. Invece di «intolleranti», si potrebbe definire queste posizioni anche “antidemocratiche”, proprio perché capovolgono l’intuizione fondamentale della democrazia nel suo contrario. In questo ragionamento, che si evince tra le righe di Rosmini, possiamo trovare un’ulteriore prova per la sua argomentazione che insiste sul fatto che proprio nella fondazione dei diritti fondamentali si trova la base per una democrazia stabile e duratura. Nell’interesse come un concetto critico di democrazia oggi possa imparare dalla lezione rosminiana, si potrebbe quindi conchiudere che nessuna democrazia si può definire una forma per sé immune dal pericolo dispotico ossia dal pericolo di ledere la dignità umana. Anzi, proprio per questo, essa deve essere integrata con un sistema costituzionale che fa sì che l’individuo non può essere in nessun modo reso a disposizione del potere dello Stato, anche se un tale atto si legittimerebbe dalla maggioranza dei sudditi.La distinzione del concetto rosminiano di società civile dalla signoria ha proprio questo senso, di sepa-rare il fine della politica non solo come sottratto, ma come lo stesso suo criterio remoto, in quanto il governo è istituito per rendere possibile a tutti il conseguimento del loro bene personale-naturale. Dal-le leggi devono essere imposti quindi i limiti invalicabili per l’azione del governo perché «difficilmente un Governo si mette un limite da se stesso, e qualunque ne sia la forma, c’è l’appetito sfrenato di co-mandare, e di comandare in tutto e per tutto, di quello che si sa e di quello che non si sa, e che per allo-ra, e per ora, non c’è davvero altro che portare pazienza» .[70] Non per ultimo, proprio su questa base Rosmini si fa fautore della dottrina liberale della proprietà pri-vata, in quanto, come ha dimostrato Kant, è il suo riconoscimento che nella modernità assicura l’indipendenza sociale dell’individuo dallo Stato. Ovviamente, in tale prospettiva, la proprietà acquisi-sce un’importante dimensione etica: «noi non limitiamo la parola proprietà a solo indicare con essa il dominio sulle cose esterne; ma la prendiamo nella sua estensione originaria e nativa, nella quale signi-fica tutto ciò che la persona ha sé congiunto come parte di sé, ossia come suo» [71] » . Così, libertà e proprietà si rivelano i fondamenti dell’ordinamento libero e democratico. «Tutti i diritti, non esclusi quelli sulla propria persona e sui propri atti, non escluso il legame dell’uomo con Dio, sono riducibili alla libertà e proprietà: quella è proprietà in potenza; questa è libertà in atto» . [72] » . Se la libertà esprime socialmente, come già accennato, la dignità umana, così la proprietà privata ne segnala la prima conseguenza a livello sociale e quindi il primo diritto che spetta all’individuo in quanto individuo . [73]
Ma contrariamente alla concezione kantiana, in Rosmini non avviene una riduzione del concetto di “proprietà” al “possesso” dei beni materiali (e non), ma esso ha il significato antropologico del diritto originale della persona di svilupparsi ed esprimersi, di realizzarsi e di segnare così un ambito del “suo”. Perciò la “proprietà” per Rosmini diventa la chiave della libertà individuale ed espressione della sua dignità, in quanto segna lo spazio dinamico della sua realizzazione. «Tutti gli uomini in quanto persone, cioè individui dotati di un principio sostanziale intelligente, sono “originariamente” proprietari, hanno lo status di proprietari, in quanto tutti hanno una propria sfera di azione in cui si esprime la loro libertà giuridica» . [74] Infatti, il concetto contrario a questo termine antropologico di “proprietario” non è “nullatenente” o “povero”, ma “servo”. Non si può, quindi, ridurre materialisticamente il significato di “proprietà” – come avviene nelle concezioni socialiste.
In questo modo esso diventa la base etico-sociale dell’ordinamento liberale che lo Stato deve ricono-scere . [75] Il momento cruciale in questa dimensione è che tale esercizio di “libertà” e “proprietà” è strettamente personale e non può essere trasferito dall’individuo allo Stato. Per questo, l’individuo, secondo Rosmini, deve essere fondato in una relazionalità che oltrepassa la dimensione dei rapporti sociali. Infatti, abbiamo già rilevato questa dimensione nel radicamento trascendente della persona. Perché dotata con l’intuizione dell’idea dell’essere, essa è autorità originaria, e la società è sussidiaria rispetto ad essa. Si realizza fondamentalmente nella proprietà, e lo Stato non deve immettersi in questa sfera di dignità personale.
Questa dinamica, basata sull’idea dell’essere, questa teleologia umana di realizzare il suo bene, fonda una struttura morale per cui è sempre l’uomo che in quanto individuo libero tende alla sua perfezione, che può raggiungere, però, in ultima analisi solo nella prospettiva escatologica. Infatti,l’“antiperfettismo” rosminiano non significa “antiperfettibilismo” della persona. Anzi proprio l’incivilmento, adoperato dal Cristianesimo, ha aperto la prospettiva della perfettibilità dell’umana na-tura, irragiungibile con mezzi contingenti, e perciò bisognoso della grazia. In quanto tale, è poi questa perfezione della persona e della natura umana, attraverso il Cristianesimo, che ha le sue caratteristiche conseguenze anche per l’ambito politico. Da questo approccio risulta, come precisa Rosmini, che l’istanza della perfezione è sempre l’individuo e non può essere trasferita alla società. In questo punto si realizza la massima distanza di Rosmini alle concezioni di Rousseau, dei giacobini e dei socialisti. Per il Roveretano, il protagonista della storia è l’uomo, e la società è sussidiaria alla persona. Essa tende so-lo nel secondo momento al bene della persona, in quanto la realizzazione del bene comune si deve misurare ad esso. Qualsiasi sistema politico che tende direttamente e senza rispetto del limite che gli è imposto dalla dignità umana e dai suoi diritti fondamentali, realizzerà una forma di dispotismo. Questa considerazione si traduce nell’«antiperfettismo» politico rosminiano. «Il perfettismo, cioè quel sistema che crede possibile il perfetto nelle cose umane, e che sacrifica i beni presenti alla immaginata futura perfezione, è un effetto dell’ignoranza. Egli consiste in un baldanzoso pregiudizio, pel quale si giudica dell’umana natura troppo favorevolmente, se ne giudica sopra una pura ipotesi, sopra un postulato che non si può concedere […]. In certo ragionamento, io parlai del gran principio della limitazione delle cose e ivi dimostrai, che vi sono de’ beni la cui esistenza sarebbe al tutto impossibile senza l’esistenza di alcuni mali» . [76] La conseguenza più caratteristica di questo perfettismo, per il concetto di “democrazia”, è che esso non riesce a concepire il valore delle minoranze qualificate. Ecco il principale difetto che Rosmini analizza nelle costituzioni moderne; così esso assegna al governo e alla sua politica una dimensione dispotico.
Al contrario, dalla critica rosminiana a questa comprensione di “democrazia” e quindi come criterio eti-co di un’odierna riflessione critica, risulta il divieto di abbassare la personalità dell’uomo ad un’unità di voto, ma di riconoscerla nella concretezza della sua libertà individuale. Per questo, affinché la “demo-crazia” si possa realizzare in modo etico-personale attraverso il diritto fondamentale del voto politico, ciò si deve basare sul riconoscimento costituzionale di spazi di libertà per tutti. Questi “spazi di libertà” possono realizzarsi solo nella società civile e nei gruppi intermedi che sussidiariamente vengono rico-nosciuti. Infatti, per Rosmini solo in queste associazioni intermedie anche le minorità riescono ad e-sprimersi e quindi a sviluppare autorità politica, mentre nel voto universale spariscono nel risultato che assegna il potere politico solo al partito vincente: «[l]e Costituzioni moderne […] non rendono giustizia a tutti, perché contro il potere politico le minorità e gl’individui non hanno alcun giuridico richiamo: non avvi tribunale a cui possano ricorrere nel caso di violata giustizia. Il potere legislativo si suppone infallibile, e perciò può esser violata anche nella formazione delle leggi». Come gruppo intermediario più importante, perché non solo un’“associazione” ma quella fondamentale società che è radicata nella relazione esistenziale della persona stessa all’assoluto trascendente e che quindi assicura il fondamen-to extra-sociale, assoluto di tutti gli individui, Rosmini riconosce la Chiesa, e prosegue: «[p]er la ragione la libertà e i diritti della Chiesa rimangono sacrificati in tutte le Costituzioni altrettanto, se non anco più, che nei poteri più assoluti» .

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